Long Way Home
di umberto Poli
01 novembre 2024
recensione
Ray Lamontagne
Long Way Home
Liula / Thirty Tigers
Se c’è una domanda che possiamo rivolgere a Ray LaMontagne, è questa: com’è che ogni suo nuovo lavoro si impone a rotazione e non lascia spazio ad altro? Come mai ogni suo album spazza letteralmente via tutto il resto al punto da richiedere un’attenzione totalizzante?
Sarà che LaMontagne, da sempre così schivo, introverso e concentrato sulla propria arte, ha il pregio di confezionare dischi come lo si faceva un tempo; con pazienza, cura, amore per i dettagli, gusto per i suoni e attenzione alle sfumature: insomma, dischi che rigettano l’ormai diffusa pratica della fruizione usa-e-getta; dischi che esigono rispetto, lo stesso che l’autore ha impiegato nel comporli, dal momento in cui si clicca ‘Rec’ in sala d’incisione fino a quando il lavoro è pronto per essere mandato in stampa. Long Way Home, così come i precedenti titoli dell’artista statunitense (classe 1973), resta fedele ai punti sopra elencati, non fa eccezioni.
Nove brani, di cui due strumentali (La De Du, La De Da e So, Damned, Blue), che afferrano l’orologio, ne bloccano le lancette e chiedono di essere ascoltati dall’inizio alla fine, senza distrazioni, senza fretta. E mentre il tempo tutt’attorno si ferma, ecco che il cuore trabocca di buone...
l'articolo continua...
Sarà che LaMontagne, da sempre così schivo, introverso e concentrato sulla propria arte, ha il pregio di confezionare dischi come lo si faceva un tempo; con pazienza, cura, amore per i dettagli, gusto per i suoni e attenzione alle sfumature: insomma, dischi che rigettano l’ormai diffusa pratica della fruizione usa-e-getta; dischi che esigono rispetto, lo stesso che l’autore ha impiegato nel comporli, dal momento in cui si clicca ‘Rec’ in sala d’incisione fino a quando il lavoro è pronto per essere mandato in stampa. Long Way Home, così come i precedenti titoli dell’artista statunitense (classe 1973), resta fedele ai punti sopra elencati, non fa eccezioni.
Nove brani, di cui due strumentali (La De Du, La De Da e So, Damned, Blue), che afferrano l’orologio, ne bloccano le lancette e chiedono di essere ascoltati dall’inizio alla fine, senza distrazioni, senza fretta. E mentre il tempo tutt’attorno si ferma, ecco che il cuore trabocca di buone...
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vibrazioni, la mente riscopre le piccole e grandi gioie di tutti i giorni, il corpo va incontro a un autentico rilassamento e sul volto compare il timido sorriso di chi sa che, a volte, basta davvero poco per essere felici. Quel poco, in questo caso ha i tratti somatici di Ray LaMontagne, la sua folta barba scura, la voce roca di un cantastorie che sembra non essere mai sazio di incantare il suo pubblico, le sue canzoni disperse in qualche punto non ben definito, tra la terra e il cielo.
Anything that your heart can dream / You can make it reality. Inizia con queste parole il singolo apripista di Long Way Home, un brano a metà strada tra folk e soul che non sfigurerebbe nel repertorio di artisti di casa Stax, come Delaney & Bonnie o gli Staple Singers. L’incedere galoppante della batteria, linee di basso irresistibili, chitarra ritmica precisa e travolgente, meravigliosi cori femminili di matrice Seventies (Laura e Lydia Rogers aka The Secret Sisters): non si poteva chiedere un inizio migliore. Considerando, inoltre, che il video promozionale è stato realizzato dal pluripremiato videomaker Tobias LaMontagne, figlio di Ray, Step Into Your Power fuga ogni dubbio sul fatto che in famiglia il talento, davvero, non manchi.
Il resto del lavoro, pur non proseguendo sul filone soul di cui è imbevuta la traccia di apertura, rimarca il legame dell’autore con dischi e modelli storici che, qui più che mai, ricordano Neil Young e il suo country-capolavoro Harvest del 1972.
LaMontagne, il suono caldo e avvolgente delle sue Martin e delle sue chitarre acustiche Bourgeois [il marchio originario del Maine, gli ha anche dedicato una Signature] hanno il sapore di classici, quali Out On The Weekend e Heart Of Gold, mantenendo però una cifra che, a distanza di oltre cinquant’anni, mette in luce l’originalità del songwriter del New England, la sua personalità, il suo amore per le radici e la sua capacità di rubare in giusta quantità dal passato, senza però – qualità invidiabile – nè snaturarsi, nè copiare.
Long Way Home, prodotto da Seth Kauffman (coadiuvato in fase di registrazione e missaggio da Ariel Bernstein), saprà farvi viaggiare dalla California al New England, rispolverando sentieri già battuti in precedenza da Townes Van Zandt – dichiarata fonte d’ispirazione dell’album – e accogliendo a braccia aperta quanto di buono si possa dire, scrivere o pensare della sempreverde scena West Coast, David Crosby in testa. E non vi preoccupate se, dopo una prima immersione sonora, vi dovesse assalire la voglia di rimettere la puntina e ripartire da capo per lo stesso, meraviglioso viaggio. Come recita lo stesso LaMontagne nella titletrack posta in chiusura, assecondate questo desiderio e lasciatevi stupire ancora e ancora… again and again and again and again.
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