John Petrucci e le registrazioni di Parasomnia dei DREAM THEATER
intervista
Il 7 febbraio 2025 esce Parasomnia (Inside Out), sedicesimo album firmato Dream Theater e primo album della band con Mike Portnoy dal 2009. Tutto è diventato chiaro nel 2020, quando Petrucci è tornato a collaborare con Portnoy per il suo album solista, Terminal Velocity . In quell’istante il mondo metal ha capito che i Dream Theater sarebbero ben presto tornati a contare sul loro batterista delle origini, con buona pace di Mike Mangini, mai definitivamente reso parte della band e della sua eredità.
Con 40 anni di carriera ai quali brindare ed un ritorno in studio di registrazione che profuma indiscutibilmente di...
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nostalgia, i Dream Theater vivono una seconda adolescenza. Certo, si tratta di un’adolescenza un po’ più pacata, magari anche saggia, ma pur sempre adolescenza. John Petrucci è il primo a non nascondersi dietro a un dito quando gli viene chiesto se questo album sia stato un progetto divertente, e il risultato finale parla chiaro.
Portnoy di nuovo dietro le pelli, James LaBrie in buona forma al microfono e quel duo inscalfibile formato da John Myung e Jordan Rudess, sono stati l’argomento di una lunga chiacchierata con John Petrucci. Dopo averlo rincorso per qualche giorno, John ci ha risposto subito dopo il soundcheck per uno show in Argentina, durante una serie di date in Sud America per il 40° anniversario dei Dream Theater.
John, prima di tutto, abbiamo ascoltato il nuovo album ("Parasomnia"), in vista di questa intervista, e dobbiamo dire che sembra proprio vi siate divertiti molto.
Ci siamo divertiti, sì, moltissimo. Sai, il primo brano che abbiamo scritto è stato Night Terror, quindi sì, questo dà un’idea del livello di divertimento che abbiamo avuto fin dall’inizio, senza dubbio.
Senza naturalmente sminuire nulla di ciò che hai fatto con Mike Mangini, ma è stato il ritorno di Mike Portnoy nei Dream Theater a fornire la scintilla che ha riportato in gioco questo tipo di divertimento?
Beh, sì, sicuramente. Eravamo tutti molto entusiasti di riavere Mike nella band, e, sai, avevamo appena costruito una nuova sala live nel nostro studio, quindi eravamo emozionati per questo e per tutta l’energia, l’anticipazione, le aspettative… Tutto quello che circondava la band, onestamente. Avere di nuovo il nostro vecchio amico e compagno di lunga data nella band ha avuto decisamente molto a che fare con il clima che si è creato. Sì, tutti eravamo davvero super carichi fin dall’inizio.
Riguardo al riavere Mike nella band e riaccendere questa sinergia, ci sono stati ragionamenti sul dover spingere i confini del vostro tipico sound, oppure è stato più un voler tornare a ciò che avevate lasciato anni fa?
Direi che è stato un po' entrambe le cose. Ogni volta che affrontiamo un nuovo album, come produttore cerco di assicurarmi che possa essere il nostro miglior lavoro. Per questo sperimentiamo con nuovi strumenti, nuove soluzioni e nuove idee. Per esempio nel caso di Parasomnia abbiamo portato in studio un pianoforte a coda, abbiamo usato un Leslie e un Hammond per Jordan e abbiamo recuperato alcuni preamplificatori della vecchia scuola per le chitarre, che avevo usato per parecchi dei primi album dei Dream Theater. Allo stesso tempo, però, si è acceso anche un elemento nostalgico grazie al ritorno di Mike… Penso che tutti abbiamo abbracciato l’idea di qualcosa di un po’ nostalgico mentre scrivevamo i pezzi. Ci sono stati molti momenti in cui ci siamo detti: “Oh c***o, questo sembra un pezzo di “Scenes from a Memory ”, o questo potrebbe esserne uno di “Train of Thought...” Non ci siamo opposti a questa sensazione, l'abbiamo accolta. Quindi sì, assolutamente, è una combinazione di entrambe le cose.
Hai appena menzionato "Train of Thought" del 2003, e nei nostri appunti ci siamo segnati come The Shadow Man Incident paia proprio un brano preso da quell’album. Cattura elementi di "Stream Of Consciousness" e di altre tracce di quell’album e potrebbe essere facilmente preso per un brano proveniente da quel periodo.
Penso che Train Of Thought sia decisamente un album più pesante rispetto a quel che avevamo fatto in precedenza. Al tempo avevamo lavorato parecchio sulle accordature delle chitarre per renderlo così, cercando di fare in modo che ogni brano suonasse il più potente possibile dal vivo… Di quelli che appena inizi a suonare, il pubblico reagisce subito. Con Shadow Of Man ritengo si generi lo stesso effetto e che lo si percepisca fin dall’inizio. In tutti i casi, sono d’accordo, sembra proprio un brano che avrebbe potuto essere su Train of Thought .
Ma anche nel nuovo "Parasomnia" ci sono alcune delle tracce più heavy che abbiate mai registrato e "Broken Man" è probabilmente una di quelle.
Credo che ciò sia dovuto a due fattori. Il primo è il titolo dell’album. Avevo l’idea di Parasomnia già da alcuni anni, ed è un titolo molto oscuro. Riguarda disturbi e problemi del sonno: terrori notturni, sonnambulismo, paralisi del sonno e tutta quella roba spaventosa che può succedere di notte. Questo, di per sé, ha dato un tono più cupo all’album e, in generale, un tono più cupo significa più pesante. Il secondo fattore è l’entusiasmo per il ritorno di Mike. Io e lui sviluppiamo una chimica molto sinergica, come hai detto tu prima, e quando lavoriamo insieme, viene naturale spingere sull’attitudine metal dei Dream Theater. E per me, come chitarrista, è la cosa più divertente, perché i brani prendono subito vita dai riff e poi, pensando alla resa live, sai già che saranno fra i preferiti del pubblico. I brani più heavy, più incentrati sui riff, che siano vecchi come The Dark Eternal Night o Constant Motion , ottengono sempre una grande risposta, e per quanto mi riguarda, sono i più divertenti da suonare perché sono molto, molto focalizzati sulla chitarra.
"In The Arms Of Morpheus" è un’altra traccia molto interessante. Il riff portante sembra quasi venire dal djent, mentre poi si trasforma nel tipico vibe dei Dream Theater. È davvero pesante, travolgente, ti cattura e ti trascina ancora. Penso che sarà davvero divertente da suonare sul palco, anche se fosse semplicemente il brano introduttivo.
Quel vibe si percepisce perché ho suonato con una Majesty a otto corde. Quindi, senti subito nel brano il suono grave dell’ottava corda e poi il primo accordo, che poi è ricorrente, è il Prometheus Chord, costruito interamente su tritoni e suona... beh, suona in quel modo, con quella sensazione dissonante e minacciosa. Prima di entrare in studio ho studiato molto per assicurarmi di avere gli strumenti necessari per rendere l’album spaventoso, onirico, quasi surreale. Quindi, molte delle scale che ho utilizzato, i modi, i tipi di accordi e i movimenti, sono tutti pensati per evocare quel tipo di atmosfera. Fin dall'inizio dell'album, quel primo accordo di Morpheus... impone subito quella sensazione strana, onirica e surreale che ricorre poi in tutti i brani.
Personalmente, ammetto di avere un debole per "Bend The Clock", perché anche se l'album in generale è carico di ritmo, trovo che quel brano sfoderi un pathos molto potente ed un cambio delle dinamiche davvero catartico.
Sai, è interessante perché non molte persone hanno ancora ascoltato l’album, a parte, come te, chi sta facendo interviste e alcuni membri della famiglia dei Theater e della crew. Ma sta venendo fuori spesso che, nonostante ci siano brani davvero folli nell’album, Bend The Clock è uno di quelli che si distingue. Ha qualcosa di particolare, un’atmosfera che sembra quasi retrò, da anni Ottanta, con un finale in puro stile Pink Floyd.
Ti avremmo proprio chiesto del finale... sembra tu abbia voluto incanalare la tua migliore interpretazione di Gilmour.
Sì, beh... che dire? Uno dei più grandi di tutti i tempi e una grandiosa influenza per me. Avere la possibilità di attingere a quel tipo di sonorità e suonare un assolo con quel tipo di tiro, è stato incredibilmente divertente durante la realizzazione dell'album.
Arrivato a questo punto della tua carriera e considerando che in gran parte hai avuto vicino una band di musicisti talentuosi e tecnicamente preparati, come bilanci oggi il virtuosismo di ciascuno di voi con il sound della stessa band?
Beh, penso che uno dei modi sia avere chiaro in mente il concetto che, prima di tutto, i brani devono essere davvero buoni brani. Sai, penso che la tecnica dei singoli musicisti e la complessità di alcune cose che possiamo suonare aggiungano pepe al contesto, al nostro stile, ma di base, dietro a tutto ciò ci devono essere buoni brani, con una reale struttura, con le adeguate progressioni di accordi, con riff e melodie potenti e con anche un testo con un preciso messaggio. Ogni singolo elemento è importante, non puoi lasciare che la mera tecnica sugli strumenti sostituisca tali elementi. Non so se la pensi allo stesso modo, ma talvolta ascolto musica in cui la tecnica si erge su tutto... ne sono impressionato per il primo minuto, ma poi diventa chiaro che non porta da nessuna parte.
Tutto vero. Tutto ciò dice molto anche del tuo modo di suonare la chitarra, poiché naturalmente sappiamo che puoi suonare quel tipo di cose a velocità incredibili o fare showcase se volessi, ma credo che chi come il sottoscritto ti segue da sempre, ti veda come un musicista votato alla band...
Beh, apprezzo molto che tu lo dica. Per me è davvero importante, perché molti dei miei chitarristi preferiti li ho sempre considerati in quel modo. Alex Lifeson, ad esempio, è sempre stato legato ai Rush, Steve Howe agli Yes e così Jimmy Page ai Led Zeppelin. Anche se alcuni di questi musicisti vantano carriere soliste importanti, essere legati a una band, che si tratti dei Metallica o di chiunque altro, per me ha sempre significato una forza e una presenza molto maggiori. Non c'è niente di paragonabile al culto di una band, specialmente una band con longevità, una fanbase internazionale, una discografia ampia e duratura. Non c'è paragone. Puoi parlare di Paul McCartney e delle sue collaborazioni con altri artisti, ma nessuno parla di loro nello stesso modo in cui si parla dei Beatles.
Avevo pensato di dirtelo in chiusura ma anticipo la domanda. Sono riuscito a vedervi a Roma in occasione del tour del 40° anniversario dei Dream Theater ed è stato uno show fantastico e vedervi di nuovo con Mike Portnoy ha reso tutto speciale. Da fan mi è venuto naturale pensare: ‘wow, è stato un viaggio incredibile!’ Quindi voglio chiederti, come ci si sente dal vostro lato? Perché noi fan viviamo la profondità che ci lega alla vostra musica, ma come ci si sente dalla vostra parte?
È una sensazione fantastica. Ieri sera [in Argentina] siamo usciti a cena, tutta la band e lo staff, e abbiamo parlato di quanto a lungo ci conosciamo, della storia della band, e di quando ci siamo incontrati con i ragazzi dello staff… Stiamo parlando di persone che sono con noi da trenta, quasi quarant’anni. È una vita intera. È una famiglia. C’è così tanta storia, ci sono così tanti momenti fondamentali che abbiamo vissuto insieme. E sai, dopo l’assenza di Mike per 13, 14 anni, è semplicemente meraviglioso averlo di nuovo con noi. Non c’è niente come quel legame. Un sentimento decisamente fraterno.
Allora, John, siamo fra le pagine di Guitar Club e quindi dobbiamo tornare a quello che hai detto riguardo all’aver recuperato alcuni preamp che avevi utilizzato tanti anni fa. Ci parli degli strumenti che hai utilizzato per registrare questo nuovo album?
Ovviamente per quanto riguarda le chitarre ho usato un vasto assortimento di Majesty, non credo serva neanche precisarlo! [ride] Per il resto, invece, abbiamo ricercato una combinazione di classico e retrò, ma anche moderno. Per esempio, abbiamo contattato Doug Oberkircher, il sound engineer che ha registrato i nostri album da Images And Words a Scenes From A Memory , fino a Six Degrees e Train Of Thought : aveva ancora i vecchi preamp Neve che avevamo utilizzato a quel tempo, e siamo riusciti a comprarli da lui. È stato fantastico. Abbiamo potuto riallacciare i rapporti con lui, è venuto in studio, ed è stato bello rivederlo. In quanto alla ripresa, abbiamo utilizzato i nuovi microfoni con cui stiamo sperimentando, quindi è stata davvero una buona combinazione di vecchio e nuovo. Infine, per tutte le parti di chitarra ritmica dell’album ho usato il mio Boogie JP-2C, che è una versione moderna del Mark IIC+ e che io semplicemente ritengo il miglior amplificatore al mondo.
A questo proposito, il Mesa/Boogie Mark IIC+ è stato una parte fondamentale della tua vita chitarristica. Non molte settimane fa il brand ha lanciato la nuova riedizione del IIC+ come versione rivisitata di quell’amplificatore per chitarra che ha fatto scuola per così tanti anni. Cosa ha di speciale il IIC+ per te? In quel circuito sembra esserci qualcosa che non verrà mai eguagliato...
È vero. Viene da quel lignaggio di amplificatori Boogie, quella linea storica iniziata con la serie Mark, e sembra che abbiano davvero centrato il bersaglio in quel periodo. Penso che, oltre a questo, sia stato un suono presente su così tanti album iconici, che si tratti di Master Of Puppets o di innumerevoli assoli firmati dai sessionmen più famosi. Quel suono per me ha qualcosa di familiare. È iconico. Quindi, come si ottiene quel suono? Beh, lo ottieni soltanto con quell’amplificatore. E’ fantastico che ne abbiano fatto la riedizione. A dire il vero sto ancora aspettando di ricevere il mio! [ride] Continuo a controllare le email per sapere se l’hanno consegnato a casa, ma ad oggi ancora niente! [ride]
Come hai detto tu, quel Boogie ha un suono familiare. Il fatto che lo abbiate utilizzato per "Parasomnia" segna davvero un perfetto ritorno al passato poiché è uno di quegli amplificatori di cui i chitarristi non si stancano mai... soprattutto quando sei tu a usarlo.
Io sicuramente non mi stanco mai di usarlo. È un amplificatore così potente. Grazie ai trasformatori impiegati, ha una headroom incredibile. Ti sa restituire un suono davvero articolato e al tempo stesso ha una capacità fantastica della sua messa a fuoco. I livelli di gain che raggiunge lo fanno sembrare un mostro, è come se ruggisse dagli altoparlanti ed in un modo che nessun altro amplificatore riesce a fare. È per questo che, per me, avere una versione signature del IIC+, con il mio JP-2C progettato da Randall Smith, è come vivere un sogno. È una di quelle cose che ti fanno dire ‘sono sveglio?’ E’ pazzesco il fatto che io abbia avuto questa opportunità e ogni sera, quando saliamo sul palco, anche per il soundcheck, mi sento come un bambino. Non vedo l'ora di collegare la mia chitarra e suonare con quell’amplificatore.
Quindi, John, abbiamo parlato del tuo suono, di questo nuovo album dei Dream Theater e della tua vita con la band, ma sappiamo che sei un chitarrista sempre alla ricerca del modo di migliorarti. Com'è cambiato nel tempo il tuo rapporto con la pratica della chitarra?
È una domanda molto interessante. Ogni volta che facciamo un tour, un album o scriviamo qualcosa di nuovo, c'è sempre qualche tecnica che sto sperimentando, provando o modificando. Con il passare del tempo, specialmente in ambito live, torni a suonare alcuni dei pezzi più vecchi e ti rendi conto che il tempo passa e che anni prima il tuo approccio alla tecnica era diverso. Questo mi rende più consapevole del fatto che in passato la mano era in un certo modo, oppure che plettravo in maniera diversa. Divento molto analitico al riguardo e tutto ciò si fa evidente quando suono sul palco, visto che ci sono brani dei Dream Theater che provengono da epoche diverse. Alcuni richiedono una chitarra a sette corde, altri una chitarra a otto, altri a sei, e così via. Mi ritrovo ad aggiustare la mia tecnica man mano che vado avanti. Poi, quando suono un pezzo nuovo, il mio approccio tecnico si fa ulteriormente diverso e devo adattarmi nuovamente. È interessante, è come una curva di apprendimento infinita. Non è solo una "missione per il suono", come mi piace dire, ma anche una "missione per il tuo mestiere" visto che continui a lavorarci sopra. Ed è divertente.
Con quello che hai appena detto, pensiamo sia giusto chiederti come ti rapporti con il passare del tempo. Gli anni scorrono per tutti noi, non è un segreto. Come te la cavi quando torni indietro e affronti vecchi brani che richiedono le tecniche più impegnative?
Per ora me la cavo ancora bene, fortunatamente. Sai, quando sali sul palco e suoni per tre ore, è lì che ti accorgi della tua vera condizione. Io ho 57 anni adesso, non 27, ma va bene così. È ancora fantastico, è ancora divertente. Non mi sento vecchio, perché continuo a mantenere la mia salute e il mio corpo in forma. Penso che la musica ti mantenga giovane, ed è semplicemente stupendo.
John, ogni volta è un piacere. E anche in quest’occasione è stato bello sentirti.
Vale anche per me. Apprezzo molto il tempo che mi avete dedicato.
Pensi che ci sarà l’occasione di vedere i Theater nuovamente in Italia a breve termine?
Ne sono sicuro. Probabilmente in estate per la stagione dei festival.
Un’ottima notizia. A presto allora, e nel frattempo abbi cura di te.
Anche voi!
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