MICHAEL AMOTT e gli Arch Enemy tornano con "Blood Dinasty"

di Francesco Sicheri
01 marzo 2025

intervista

Arch Enemy
Michael Amott
Blood Dinasty
Tre decenni di carriera, un’identità sonora sempre più raffinata e un’inarrestabile voglia di spingersi oltre i confini del metal estremo. Gli Arch Enemy tornano con un nuovo album, "Blood Dynasty", in uscita il 28 marzo per Century Media, e lo fanno con un lavoro che promette di alzare ancora una volta l’asticella.

Abbiamo avuto il piacere di parlare con Michael Amott, chitarrista e mastermind della band, per addentrarci nei dettagli di questo atteso capitolo discografico. Un lavoro che combina la ferocia e la velocità tipiche della band con una ricercata profondità compositiva, costruita su cambi di dinamica e atmosfere stratificate. In Blood Dynasty c’è l’essenza del sound degli Arch Enemy ma anche il desiderio di sperimentare, come dimostra la sorprendente presenza di una cover in tracklist, evento inedito nella loro discografia.
Nell’intervista, Amott ci ha raccontato il processo creativo dietro il nuovo album, il lavoro in studio e il setup di chitarre e amplificatori utilizzato per le registrazioni. Un viaggio tra riff ipnotici, assoli incendiari e un’attitudine che, dopo trent’anni, continua a evolversi senza perdere un grammo di autenticità.

Per chi non vede l’ora di ascoltare questi brani dal vivo, una buona notizia: gli Arch Enemy...

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saranno in tour in Europa il prossimo autunno, con una data già confermata a Milano, il 22 ottobre 2025 all’Alcatraz. In attesa di vedere la band sul palco, quello che segue è il resoconto della lunga chiacchierata con Michael Amott.

Michael, è un grande piacere averti qui. Il 2025 segna 30 anni di Arch Enemy. Come ti senti a riguardo? Quali sono le emozioni?
Anzitutto grazie per il tempo che avete voluto dedicarmi. Direi che festeggeremo il prossimo anno, credo. Stiamo contando di festeggiare il trentennale dal rilascio del primo album, che è uscito nel ’96, ma è vero che io e Daniel, il nostro batterista, abbiamo iniziato questo progetto alla fine del 1995.

Come ci si sente a guardarsi indietro? È stata una carriera davvero intensa.
È pazzesco. Ci sono molte emozioni contrastanti. Ci sono stati tanti alti e bassi, il tempo è una cosa strana. Alcuni ricordi, come la registrazione del primo album, mi sembrano ancora molto recenti, ricordo tutto perfettamente. Altri, invece, sembrano appartenere a un’altra vita, come se fossero lontanissimi. Il tempo scorre per tutti, e 30 anni sono un traguardo importante, quindi speriamo di poter festeggiare come si deve.

Anche dopo così tanto tempo siamo ancora qui a parlare perché avete un nuovo album in uscita, "Blood Dinasty", che arriverà ufficialmente il 28 marzo prossimo. È chiaro che, se continui a fare questo mestiere, hai ancora la stessa passione di un tempo. Ma come è cambiato, nel corso degli anni, il tuo rapporto con il tuo lavoro?
Bella domanda, davvero. Non ci ho mai riflettuto troppo. Credo che, sotto molti aspetti, sia rimasto tutto uguale.

È un’ottima cosa.
Sì. Mi sono innamorato della musica e della chitarra quando ero molto giovane, e ho sempre voluto suonare. Quando finalmente ho imparato a farlo, è diventato tutto per me, è come se avessi capito qual era il mio modo di esprimermi. Scrivere canzoni, riff, melodie, costruire brani… È ancora una parte fondamentale della mia vita.

La parte più importante della tua vita?
Sì, probabilmente la più importante. Ho amici musicisti della mia età che continuano a fare musica, ma hanno trovato anche altre cose nella vita. Io, invece, no. [ride]Non so se sia triste o positivo, ma sono ancora completamente immerso in tutto questo. Sono stato molto fortunato a trovare la mia vera passione quando ero molto giovane.La maggior parte delle persone, crescendo, si dedica anche ad altro. Io, per dire, non ho ancora iniziato a giocare a golf! [ride]

Come dicevi poco fa, tutti quanti cambiamo nel tempo. Non perdiamo la passione, ma cambiamo prospettiva, cambiamo approccio alle cose. Il tuo modo di scrivere musica è cambiato? C’era qualcosa che volevi esprimere in modo diverso con il nuovo "Blood Dinasty"?
Direi che è una bella domanda. Quando iniziamo a lavorare su un nuovo album, tutto parte semplicemente dall’accumulare dei riff, piccoli spunti musicali, frammenti di idee che pensiamo possano essere interessanti. A quel punto mi ritrovo con Daniel alla batteria, magari lavoriamo insieme al computer, anche solo con un laptop, provando ad arrangiare le cose e mettere insieme i pezzi. Altre volte ci troviamo direttamente in sala prove, provando a dare un senso a tutto quello che può fare da base per l’album. E a quel punto abbiamo una sola regola quando scriviamo musica: dire di sì a ogni idea.

È una bella regola.
Sì, inizialmente proviamo tutto. Poi, in un secondo momento, proviamo a capire meglio che tipo di disco stiamo facendo. A volte ci rendiamo conto che certe parti sono troppo estreme, troppo strane o magari che non si incastrano bene nel contesto dell’album. Ma è divertente esplorare ogni possibilità e vedere dove ci porta. Ogni album nasce così. Non abbiamo mai un manifesto o un insieme di regole rigide, non partiamo mai dicendo: “Faremo un disco di questo tipo” per poi cercare di far quadrare tutto. Direi che è un processo più spontaneo, cerchiamo solo di tirare fuori tutto, senza filtri. A volte ci troviamo con idee che, mentre lavoriamo alle demo, ci fanno dubitare di noi stessi. [ride] Ci sono delle idee che inizialmente sembrano troppo lontane dal nostro stile, ma poi, quando aggiungiamo la voce, il basso e tutti i membri della band ci mettono del loro, finiscono per suonare comunque come un brano degli Arch Enemy. Siamo abbastanza fortunati in questo senso: abbiamo un nostro suono di band, ma anche molta libertà. Spesso, durante le interviste, ci chiedono se abbiamo mai pensato di fare qualcosa di completamente diverso. La risposta è che facciamo esattamente quello che vogliamo. Stiamo suonando esattamente la musica che desideriamo suonare.

E probabilmente non pensarci troppo aiuta davvero a sfruttare quella libertà per andare avanti.
Esattamente. Inoltre, la cosa più importante è che la musica renda felici noi in primo luogo. È impossibile scrivere musica pensando ai fan, perché altrimenti passi il tempo cercando di indovinare cosa potrebbe piacere agli altri. E a quel punto, secondo me, si finisce nei guai.Meglio fare semplicemente quello che vogliamo. A volte centriamo il bersaglio, altre volte no. Nessuna band è perfetta, ma la cosa più importante è divertirsi ed essere soddisfatti di quello che si fa. Creare musica è uno dei momenti più esaltanti di questa vita, probabilmente uno dei più intensi per un musicista.

Pensi che questo modo di vedere le cose sia sempre stato parte di te? O è qualcosa che hai sviluppato con l’esperienza?
Ricordo che con il primo album è nato libero da ogni schema. Il primo album di ogni band è sempre speciale, perché non ci sono aspettative, non c’è una formula preesistente né una storia dietro. Fai semplicemente tutto quello che senti e, in quel momento, ti stai definisci musicalmente. Poi, con il secondo album, abbiamo iniziato a pensare un po’ di più a come i brani sarebbero stati recepiti dal pubblico. E infatti il secondo album è stato complicato da realizzare. Ricordo la lavorazione di Stigmata : abbiamo dovuto rimetterci mano e aggiungere un paio di tracce più avanti per completarlo davvero nel modo che volevamo. Da quel momento in poi, però, abbiamo semplicemente deciso di fare esclusivamente quello che sentivamo “nostro” in modo naturale.

Ci sono un paio di brani di "Blood Dinasty "che emergono in maniera molto forte. So che "Dream Steeler" è uno di quelli più intensi, con molte parti davvero interessanti, e che sarebbe bello approfondissi con noi. Ma vorrei partire con "Illuminate the Path", perché ha un riff d’apertura con un’atmosfera quasi doom.
Sì, in effetti è un elemento un po’ insolito per noi, ma in passato abbiamo avuto qualche riff simile. È un tipo di riff piuttosto monotono, che gira in loop.

Esatto, si ripete in maniera ciclica.
Mi piacciono molto queste strutture ripetitive. Abbiamo un vecchio pezzo che suoniamo ancora dal vivo, My Apocalypse , che ha un groove simile, molto ipnotico. Mi piace quella sensazione quasi da trance ipnotica. È un’idea che apprezzo anche in altri generi musicali.
Non si tratta sempre di scrivere parti tecnicamente complesse. Ovviamente mi piace anche comporre e suonare riff più articolati, ma a volte è bello avere qualcosa di semplice ed efficace. Non l’abbiamo ancora suonata dal vivo, ma ci siamo divertiti molto a registrarla, speriamo di riuscire a portarla sul palco. Non si sa mai quali brani funzioneranno meglio dal vivo, ma lo spero.

Riguardo alle parti più intricate e tecnicamente esigenti, c’è qualcosa che oggi ti spinge a superare i tuoi limiti in termini di tecnica chitarristica? Hai lavorato su qualche aspetto specifico di recente, magari per sviluppare meglio alcune parti dei nuovi brani?
Non sono una persona che analizza troppo quello che fa, ma mi capita spesso di mettermi nei guai da solo quando scrivo musica. [ride] Mi siedo e compongo, poi arriva il momento di registrare in studio o di provare per il tour, mi ritrovo con la chitarra a tracolla, in piedi, e penso: “Oh cavolo, e adesso?” [ride] Non tengo la chitarra particolarmente alta, quindi all’improvviso suonare certi passaggi in piedi, muovendomi sul palco, con tutta l’energia del live, diventa una sfida completamente diversa. Ci vuole sempre un po’ di tempo per adattarsi, specialmente con pezzi veloci come Dream Steeler , che richiedono molta precisione e un posizionamento perfetto delle mani.

E dal vivo la mano sinistra si inclina in modo molto diverso, perché quando suoni da seduto hai una posizione molto più rilassata, giusto?
Esatto. E poi suono con una Flying V , quindi la appoggio sulla gamba in mezzo alle due ali, quasi come si farebbe con una chitarra classica. È una posizione molto comoda per me e riesco a suonare qualsiasi cosa in quel modo. Ma poi, quando mi alzo in piedi per suonare dal vivo, cambia tutto. Ecco perché devo sempre esercitarmi di più suonando in piedi. È una delle sfide più ricorrenti per me. Detto questo, dopo tanti anni di chitarra, il progresso non avviene più con grandi balzi come all’inizio. Nei primi anni miglioravo a vista d’occhio, sia tecnicamente, sia nella scrittura, ma credo che sia così per chiunque suoni da molto tempo: dopo un po’ i miglioramenti diventano più sottili, meno evidenti. Però noto ancora uno sviluppo nel mio suono e nel mio modo di suonare. Qualche tempo fa qualcuno ha pubblicato una registrazione di un nostro pezzo di 10-12 anni fa. Quando l’ho riascoltata mi sono reso conto che oggi suonerei certe parti in modo completamente diverso, soprattutto negli assoli.

Hai una routine di esercizi o qualche schema preciso da seguire?
No, semplicemente suono. Si tratta solo di riprendere il ritmo e assicurarmi di essere capace di suonare alla giusta velocità. A volte suono insieme alle nostre registrazioni, giusto per capire di essere ancora in grado di eseguire i brani alla velocità corretta. Perché nella mia testa penso: “Sì, so suonare Dream Steeler” , poi lo provo e mi rendo conto che è decisamente più veloce di quanto ricordassi! Quindi, prima di ogni tour, soprattutto se c’è stata una pausa lunga rispetto al precedente, mi esercito per rimettermi in carreggiata. È anche una questione di resistenza fisica, perché nei nostri brani ci sono tantissime note in sedicesimi. Non è che ogni giorno ci si spinga al limite delle proprie forze, quindi quando arriva il momento di tornare sul palco è fondamentale prepararsi a dovere.

Michael. parliamo della cover inclusa nell’album, perché "Vivre Libre" è davvero una sorpresa. È qualcosa di diverso da tutto quello che avete fatto in passato e, forse proprio per questo, suona molto bene all’interno della tracklist.
Grazie! È la prima volta nella nostra discografia che includiamo una cover nella tracklist standard di un album. In passato ne abbiamo fatte molte, ma sono sempre state riservate a edizioni speciali o come bonus track. Anche questa, inizialmente, era pensata come una bonus track, ma quando l’abbiamo sentita nella versione finale, con le voci e il mix definitivo, ci siamo detti che non avremmo potuto escluderla da Blood Dinasty. Sono contento di averlo fatto, perché chi l’ha ascoltata finora sembra aver reagito positivamente. Dal punto di vista chitarristico, è interessante perché credo sia la prima canzone che abbiamo mai registrato in accordatura standard.

Sì, ed è anche un brano abbastanza specifico, scritto da una band francese chiamata Blasphème. Com’è nata l’idea? Era qualcosa che avevate già in mente da tempo?
No, in realtà no. Colleziono sempre album e singoli metal un po’ sconosciuti, provenienti da tutto il mondo. Negli anni ’80 la scena metal francese era piuttosto attiva, anche se la maggior parte delle band cantava in francese. C’erano gruppi come Trust e Sortilège, ma i Blasphème erano ancora più underground rispetto a loro. Anche all’interno della scena metal francese non erano particolarmente noti, ma ho trovato il loro materiale e l’ho fatto ascoltare agli altri del gruppo. Ho una vecchia lista sul telefono con brani che potremmo reinterpretare, e questo era uno di quelli. Alla fine è venuto fuori molto bene: ha un’atmosfera davvero classica e dona un’altra dimensione all’album, aggiungendo qualcosa che altrimenti non sarebbe mai potuto esistere.

Negli ultimi due avete spinto sempre di più su cambi di dinamica e svolte inaspettate. "Blood Dinasty" è quasi tridimensionale: ha la potenza grezza e la velocità che tutti si aspettano da una band come la vostra, ma ha anche profondità e molteplici livelli di ascolto. È un disco stratificato, ricco di dettagli, anche all’interno di una singola traccia.
Credo che ormai sia qualcosa con cui ci sentiamo molto a nostro agio. Ci piace avere diversi strati sonori nella nostra musica. Adoro anche la musica più “primitiva” e diretta, ma mi piace lavorare sulle stratificazioni e sulle sfumature. È un aspetto che ricerchiamo sempre più spesso, e vogliamo creare un’atmosfera più profonda mantenendo comunque un’identità estrema. Cerchiamo di inserire diverse emozioni e livelli di intensità per dare un senso di profondità al nostro sound. Non vogliamo che la nostra musica sia monodimensionale. A volte il metal può risultare ripetitivo: ascolti tre brani e senti il bisogno di cambiare. Ho sempre amato band come i Judas Priest proprio perché riuscivano a variare molto, introducendo diverse atmosfere ed emozioni nella loro musica. Ovviamente amo anche il metal più diretto e brutale, quello che ti colpisce in faccia senza mezzi termini. E noi facciamo anche un po’ di quello, ma abbiamo sempre cercato di mescolare elementi diversi. In fondo, stiamo solo proseguendo su quello che abbiamo iniziato fin dall’inizio. Già nel nostro primo album c’erano sezioni velocissime in stile Slayer, seguite improvvisamente da una parte acustica o da un assolo melodico che poi sfociava in uno shred. Abbiamo sempre giocato con questi contrasti. Probabilmente, ora il nostro modo di farlo è solo diventato più raffinato.

Nel metal è facile seguire una formula: trovi la tua “ricetta”, capisci cosa funziona e poi ti attieni a quella. È il modo più semplice per mantenere un suono coerente. Ma quando provi a fare qualcosa di diverso, come nei vostri album, ti metti maggiormente alla prova e dai sempre qualcosa di nuovo al pubblico.
Personalmente credo nel tempo diventi anche più difficile ripetere esattamente una formula già usata. Rispetto le band che ci riescono, ma per noi non è così semplice. Abbiamo alcune canzoni che ormai sono diventate dei classici, come Nemesis da Doomsday Machine . La suoniamo ogni sera per chiudere i concerti, e ogni volta è il momento in cui il pubblico reagisce di più. Probabilmente è la canzone che scatena la risposta più potente nei nostri concerti, ma non posso scrivere un’altra Nemesis . Ci ho provato, credimi, ma semplicemente non è possibile. È stato un momento unico, qualcosa che è successo una sola volta.

Michael, ovviamente siamo fra le pagine di Guitar Club, e quindi dobbiamo entrare un po’ in modalità nerd e chiederti del tuo setup: chitarre, amplificatori ed effetti usati per questo disco. Puoi darci qualche dettaglio?
È difficile rispondere questa volta, perché abbiamo registrato in uno studio in Svezia e ho portato con me diverse chitarre. Ho usato la mia nuova Dean Wraith Signature, nello specifico il prototipo con il Floyd Rose , perché era l’unico esemplare che avevo disponibile all’epoca. L’ho utilizzato su Dream Steeler e su diversi altri brani. Poi avevo una delle mie Tyrant, il modello Flying V che ho sviluppato con Dean. Per questo album ho usato anche una vecchia Ibanez RG550, che non suonavo da molto tempo. Oltre a questo, come spesso accade nei grandi studi, il proprietario aveva una vasta collezione alla quale ho potuto attingere liberamente. Abbiamo usato anche strumenti più particolari, come una chitarra custom perfetta per le accordature ribassate, ideale per brani come Illuminate the Path . Quindi è stato un mix di strumenti molto vario.

E per quanto riguarda gli amplificatori?
Anche lì c’è stato un grande lavoro di sperimentazione. Abbiamo usato varie testate, configurandole in modi diversi: una come slave , un’altra come master con un certo overdrive, e cambiando continuamente le combinazioni per ottenere il suono giusto. Oggi funziona così. Mi ricordo un periodo in cui portavo il mio setup in studio, montavo la mia testata, la mia cassa, i pedali e la chitarra, e il tecnico posizionava i microfoni davanti all’amplificatore e si registrava cercando di far suonare tutto nel modo migliore.

Era un approccio molto più diretto.
Esatto. Ma le cose sono cambiate parecchio per molti di noi. Anche se registriamo in studi importanti e suoniamo tutto dal vivo, i metodi di lavoro si sono evoluti. Questa volta abbiamo utilizzato una grande varietà di testate e cabinet, e il produttore con cui abbiamo lavorato è davvero un ingegnere eccezionale. Non ricordo quali amplificatori abbiamo usato nello specifico, so solo dirvi che sono stati moltissimi.

Michael, pensi che riusciremo a vedervi dal vivo in Italia con il nuovo album?
Abbiamo già una data confermata, faremo un tour da headliner questo autunno e suoneremo a Milano, nel caro vecchio Alcatraz il 22 ottobre 2025. Al momento abbiamo solo quella data fissata, ma spero che se ne aggiungano altre. Sarà un tour enorme: Arch Enemy come headliner con tre ospiti, Amorphis, Elevate e una band americana chiamata Gatecreeper, che aprirà i concerti. Partiremo a metà ottobre e tutto si concluderà a metà novembre. Spero davvero di poter suonare più date in Italia in futuro.

Michael, è stato un piacere parlare con te ancora una volta. È un piacere averti di nuovo in copertina sulla nostra rivista.
Grazie mille! Sarebbe bello bere una birra insieme a ottobre.

Non mancheremo, grazie Michael!
Grazie a voi!

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