OPETH Mikael Akerfeldt & Fredrik Akesson

di Francesco Sicheri
01 novembre 2024

intervista

Opeth
Mikael Akerfeldt & Fredrik Akesson
The Last Will And Testament
Nel 2024 in pochissimi riuscivano ancora a credere che un ritorno ai fasti più heavy fosse possibile per gli Opeth, eppure la band di Åkerfeldt riesce a realizzare l’impossibile. The Last Will And Testament riporta nei brani degli Opeth quel piglio death metal che a molti fan era mancato durante l’ultima decade, e lo fa con un concept oscuro al punto giusto. Dopo 20 anni di carriera sembra che la band svedese abbia ritrovato un particolare interesse per le tinte più pesanti, proseguendo però in quel lavoro di affinamento della narrazione intrapreso a partire dall’uscita di Heritage nel 2011.

Dopo più di un milione di album venduti e 500 milioni di ascolti sulle piattaforme di streaming, agli Opeth è rimasto veramente poco da dimostrare. Oggi la metal band di Stoccolma gode di quella libertà conquistata con anni di duro lavoro, e pertanto si può permettere di dare libero sfogo a qualsiasi tipo di idea. Ciò significa anche che dopo quasi 15 anni di pausa, Åkerfeldt decida di tornare ad inserire il growling nei brani della band, e che un nuovo concept album ambientato negli anni Venti del ‘900 si trasformi nel lavoro più heavy del gruppo da molto...

l'articolo continua...

tempo a questa parte.

La trama di The Last Will And Testament si dispiega nel Primo Dopoguerra all’interno di una società decadente e provata dal conflitto. La storia vede come protagonista una famiglia, il cui patriarca decide di svelare segreti e misteri all’interno del suo testamento. Con una trama che potrebbe essere una buona trasposizione di Succession negli anni ‘20 del XX secolo, Åkerfeldt e la band danno vita ad un’ambientazione sonora ricca e molto articolata. I riff potenti e mai scontati degli Opeth sono accompagnati da sezioni d’archi orchestrate dallo stesso Åkerfeldt, che in quest’occasione si è calato ancora più a fondo nei panni di mastermind. Al contempo, però, ad Åkesson è stato chiesto di svolgere un lavoro di caratterizzazione molto approfondito, lavoro culminato in una performance a dir poco variegata e stratificata.

Mi piace essere fuori moda - ha detto Åkerfeldt a proposito del nuovo album - motivo per cui ho voluto riportare nella nostra musica quella voce death metal che in molti chiedevano da tempo, proprio quando nessuno sembrava essere più troppo interessato. Durante i tour celebrativi dei vecchi album abbiamo suonato molti brani del nostro passato, ed ho pensato che il mio growl fosse abbastanza buono. Inoltre il nostro nuovo batterista, Waltteri Väyrynen, adora il death metal, e pertanto ha avuto un ruolo fondamentale nel convincermi.

È chiaro come il nuovo progetto degli Opeth apra un nuovo ciclo all’interno della discografia della band, o perlomeno come segni un cambio di rotta tangibile. Inizialmente prevista per l’11 ottobre 2024, l’uscita di The Last Will And Testament è slittata al 22 novembre 2024 a causa di problemi nella catena di produzione dell’album. In occasione di un ritorno sulle scene così altisonante, abbiamo raggiunto in videochiamata Mikael Åkerfeldt e Fredrik Åkesson, così da farci raccontare come sia nato un progetto che - fra i tanti elementi di spicco - include anche le comparsate di Ian Anderson e Joey Tempest.

OPETH lineup 2024
Mikael Åkerfeldt (voce, chitarra) – Fredrik Åkesson (chitarra, cori) – Martin Mendez (basso) –
Waltteri Väyrynen (batteria, percussioni) – Joakim Svalberg (tastiere, cori)


Ciao ragazzi, come state? È bello ritrovarvi entrambi.
FA: Ciao a tutti. È bello rivedervi… Tu come stai Mike?
MA: È un piacere anche per me. Sto abbastanza bene, in questo momento però sono dal veterinario. Uno dei miei gatti ha dovuto subire un’operazione.
FA: Di nuovo?
MA: Si, purtroppo. Però sembra essere andato tutto bene.

Mike ti siamo ancora più grati del fatto che tu abbia comunque trovato il tempo per noi.
MA: È un piacere. Siete sempre in Italia vero?

Si, assolutamente, fin da quando la rivista è stata fondata.
FA: Ricordo di aver fatto diverse interviste in passato per l’Italia, c’era un bel fermento per quanto riguarda le riviste di chitarra.
MA: È vero. Esistono ancora tutte?

Purtroppo no, siamo rimasti soltanto noi. Negli anni molti colleghi hanno abbandonato il settore.
FA: Ca**o.
MA: È come con la musica Fredrik. Chi non si adatta ai cambiamenti resta indietro.

È così. A noi dispiace molto perché, come avete sottolineato anche voi, in Italia avevamo una bella realtà riguardante la stampa specializzata per la chitarra.
FA: Credo che tutti noi qui siamo cresciuti con le riviste.
MA: Assolutamente. Sono contento però di vedere che voi siete ancora in gran forma.

Grazie Mikael. Sai, prima di entrare nella call ho fatto un breve riepilogo sulle ultime volte che ci siamo fatti una chiacchierata, e sono passati ben sette anni dalla volta scorsa. Era il 2017…
MA: Ca**o sei serio? Ne sono passati di anni. Erano altri tempi quelli, in tutti i sensi. [ride]

Nel mentre vi siete tenuti molto occupati. E in questi giorni so che siete inondati da richieste di interviste per promuovere il nuovo album, The Last Will And Testament. Anzitutto come è l’atmosfera nella band? Siete pronti all’uscita dell’album?
MA: Io sono ancora nel mood in cui riesco ad ascoltare l’album… E con questo voglio dire che anche conoscendone ogni sfumatura, non sono ancora arrivato al punto in cui voglio metterlo da parte. Mi sto godendo questo periodo di rilassatezza nei confronti del nuovo album, perché so bene che arriverà un momento in cui deciderò consciamente di non ascoltarlo più e di suonarlo soltanto quando saremo sul palco, oppure in sala prove.
FA: Io l’ho ascoltato con un paio di amici in questi giorni di interviste. Quando abbiamo finito di mixarlo l’ho accantonato per un po’, ma in questi giorni l’ho ascoltato di nuovo e devo dire che ha riacceso la voglia di sapere cosa ne pensino gli altri.

Beh di sicuro si può dire che è un album molto corposo.
FA: Senza dubbio, c’è molto materiale da ascoltare, e credo che sia uno dei motivi per cui anche noi ad un certo punto avremo bisogno di staccarci dall’album.

Il concept che sorregge l’album è molto interessante. Diciamo che se la serie tv Succession fosse stata ambientata nel primo Dopoguerra, probabilmente sarebbe diventata qualcosa di molto simile a The Last Will and Testament, non credete?
MA: Senza dubbio il nostro concept riprende argomenti molto simili. Ovviamente la presenza di un patriarca molto ricco con dei figli è qualcosa che il nostro album condivide con la serie televisiva, ma nella nostra storia i figli non sono avidi di potere e di soldi. Non cercano la ricchezza del padre a tutti i costi, e pertanto è qualcosa che piomba su di loro come una sorta di maledizione. Nel corso del tempo mi sono accorto che avrei potuto inserire la nostra storia in qualsiasi contesto, anche nel 1800, ad esempio. Ciò che conta realmente sono le strutture della società, perché è con quegli elementi che la storia si snoda fra emozioni e relazioni contorte. L’unico elemento inamovibile doveva essere la figura del patriarca, e quindi l’ambientazione degli anni ‘20 del Novecento si è rivelata semplicemente perfetta.

Si tratta di un periodo storico del quale eri appassionato già prima di iniziare a pensare a questo concept album?
MA: In nessun modo. So quello che tutti sappiamo basandoci su nozioni di cultura generale, ma di certo non sono uno storicista. Degli anni ‘20 mi piace però l’idea di una decadenza post-bellica che guarda al futuro in maniera ottimistica. Che è di per sé molto triste, pensando a quello che sappiamo oggi riguardo al corso della storia. Però gli anni ‘20 erano caratterizzati da feste. La storia è ambientata in un’Inghilterra fittizia, ma avrei potuto facilmente spostarla in Svezia, perché nel nostro paese le donne non hanno avuto la possibilità di votare fino al 1921.

A questo punto, quindi, viene naturale chiedere come si è evoluta la musica rispetto alla storia. Cosa è venuto prima?
MA: Parto sempre dalla musica, perché - e devo essere molto onesto - i testi dei brani sono letteralmente inutili per gli Opeth se non sono supportati da una controparte musicale della quale posso essere soddisfatto. Se levassimo le parole a qualsiasi album degli Opeth, resterebbe comunque un album degli Opeth, ma se provassimo a togliere la musica allora non resterebbe nulla. Il contesto viene dalla musica, ecco perché parto sempre da lì. Nel momento in cui ho capito l’ambientazione sonora che volevo creare, allora ho iniziato anche a dare vita alla storia. Credo che avere in mente i tratti generali della trama abbia influenzato il modo in cui ho scritto determinati brani, ma è stata la musica a guidare tutto. Sapevo che volevo un album più heavy del precedente, e tutto è partito dalla figura del patriarca. Volevo inserire nuovamente un tipo di voce di stampo death metal, perché il patriarca aveva bisogno di una caratterizzazione di quel tipo. Ecco perché la musica è sempre il punto di partenza per me.

Fredrik, come hai gestito la caratterizzazione degli altri personaggi attraverso le linee di chitarra?
FA: Anzitutto il mio obiettivo principale era quello di scrivere e registrare delle parti solistiche che fossero il più possibile variegate. Nel primo brano, ad esempio, c’è una parte solistica molto caotica, e quell’immagine sonora è derivata dall’idea di creare qualcosa che restituisse l’immagine di un ragno che cammina. Si tratta di spostamenti cromatici molto frenetici, e credo che rappresentino bene quello che potrebbe essere il movimento di un ragno. Senza dubbio uno degli aspetti su cui ho speso più tempo è stato il cercare di dare un senso compiuto ad ogni parte solistica. Non volevo fosse soltanto un break dal resto del brano, oppure uno sfoggio di tecnica fine a se stesso. Volevo che ogni assolo conducesse il brano da qualche parte, oppure che facesse da ponte di collegamento tra due diverse sezioni. Ho lavorato molto sulle strutture solistiche di questo album, sicuramente più di quanto ho fatto per In Cauda Venenum, per il quale ho registrato la maggior parte degli assoli improvvisando nello studio di registrazione a casa di Mikael.

Per The Last Will And Testament avete lavorato in studi diversi?
FA: Sì, in quest’occasione ho registrato tutte le parti solistiche dal mio studio, ed è stata una sfida molto intensa perché ho provato a spingere il mio lavoro su nuovi livelli qualitativi. Provando e riprovando, cercando nuove soluzioni senza dare niente per scontato. Inoltre, Mike ha scritto dei riff molto interessanti, fattore che mi ha portato a esplorare nuove aree della mia musicalità. Mikael non scrive mai riff scontati, ma per il nuovo album credo si sia superato. In ogni caso direi che per questo concept ho voluto mettermi alla prova.

Ci sono brani che credi ti abbiano posto sfide più interessanti o intricate da superare?
FA: Senza dubbio il brano finale dell’album, che è l’unico con un titolo. The Story Never Told rivela un aspetto fondamentale della trama ed è un brano molto emotivo. Pertanto per la parte solistica principale ho provato ad incanalare un po’ di Blackmore dell’era Rainbow, e anche di Gilmour per certi versi. In questo caso, ad esempio, non ho pensato al personaggio ma soltanto all’atmosfera del brano, ed è dipeso anche dal fatto che Mikael mi ha inviato inizialmente solo la parte strumentale nella quale sarebbe dovuto intervenire l’assolo. Mi sono fidato completamente del racconto di Mikael riguardo a quello che avrebbe voluto ottenere.

A proposito di queste dinamiche, pensate che negli anni sia cambiato il modo in cui collaborate durante la realizzazione di un album?
MA: Dal mio punto di vista credo di sì. Penso che il modo in cui ci rapportiamo l’uno all’altro sia cambiato molto rispetto a quando Fredrik è entrato a far parte del gruppo. Al tempo stavo cercando un chitarrista solista, e volevo che fosse un chitarrista super preparato. Dopo l’arrivo di Fredrik ho iniziato a staccarmi sempre più dal materiale solista, ed è stata una scelta molto consapevole. Non ho le capacità tecniche di Fredrik, lui può suonare qualsiasi cosa io gli chieda. Ci sono cose che anche io posso suonare con buoni risultati, ma Fredrik può fare qualsiasi cosa.
FA: Mi sento un po’ in imbarazzo al momento… [ride]
MA: Però è tutto vero. Io sono consapevole del fatto che oggi quando scrivo un brano so già che la parte solista andrà a Fredrik. Quando sono io a registrarla o a suonarla dal vivo non è certo perché Fredrik non sia in grado di farlo, è soltanto perché ogni tanto a tutti piace tornare in quel tipo di modalità. Dopo l’arrivo di Fredrik ho delegato sempre più materiale, e mi sono riservato il privilegio di suonare soltanto le parti solistiche che mi piacciono maggiormente. Per questo motivo credo che dopo l’arrivo di Fredrik il nostro rapporto sia progressivamente cambiato, e credo che sia diventato qualcosa di molto più organico. Prima di poter contare su Fredrik mi dovevo prendere carico di molti assoli che non erano realmente nelle mie corde, ma oggi le cose vanno in maniera molto diversa.

Fredrik, vuoi dire qualcosa al riguardo?
FA: Anzitutto vorrei dire che Mikael è troppo buono nei miei confronti. Oltre a questo, la verità è che Mike non è soltanto responsabile per molte delle parti solistiche del nuovo album, ma è anche la persona che decide quale sia il tiro generale dell’album. Per The Last Will And Testament le sue indicazioni ci hanno portato a scegliere delle chitarre con pickup single coil per le ritmiche più heavy, così da ottenere quei suoni così articolati che si ascoltano nell’album. Personalmente credo che le parti solistiche di Mike siano quanto di più calzante per gli Opeth, e non è un caso che persone come Steven Wilson le abbiano definite “lonely swede leads” (solitari assoli svedesi). Può sembrare che siamo qui per scambiarci dei complimenti, ma la verità è che credo che le capacità solistiche di Mikael siano incredibili, e non è un caso che io gli abbia proposto più volte di intrecciare i nostri assoli in una forma dialogica.
MA: Quello che ne deduco è che sono un ca**o di genio! [ride]

Il titolo di questo articolo sarà: “Mikael Akerfeldt è un ca**o di genio.”
MA: Mi sembra perfetto. [ride] Scherzi a parte, il fattore più importante del mio rapporto con Fredrik è che grazie a lui ho capito come concentrarmi sulla composizione. Non mi devo preoccupare di chi riuscirà a suonare un determinato assolo, quello che mi riguarda è pensare al dare vita al brano così che anche Fredrik possa esprimersi in maniera completa.

Parlando dell’album nella sua totalità, ci sono elementi sonori ricorrenti che avete usato come leitmotiv e sui quali avete dovuto lavorare in maniera specifica?
MA: Sicuramente ci sono degli elementi ricorrenti, ma non posso dire di averli guidati con coscienza. La maggior parte del mio lavoro di scrittura avviene in maniera molto istintiva, perché non sono capace di programmare con largo anticipo quello che voglio andare a registrare. Nella maggior parte dei casi seguo il mio istinto, e scrivo canzoni in maniera molto basilare. Ciò che non mi piace lo scarto senza ragionare troppo sul seguito… il mio processo di scrittura è molto rapido e credo che sia filtrato dalla musica che ho ascoltato nel corso degli anni. Credo che anche il nostro passato sia un riferimento sempre molto chiaro nella mia mente.

È interessante. Molte persone tendono a non voler guardare al proprio passato quando scrivono qualcosa di nuovo.
MA: Credo sia inevitabile per me. È come se la musica che abbiamo fatto con gli Opeth avesse una sua sezione specifica nella mia testa, e lo stesso vale per tutto ciò che ascolto nel corso del tempo. Ho questi due riferimenti con i quali continuo a confrontarmi. Vale per la scrittura ma anche per i suoni che voglio ottenere. Quello che diceva Fredrik poco fa riguardo ai pickup single coil, viene dal fatto che volevo che dalle chitarre venisse fuori l’uomo dietro lo strumento. Non fraintendetemi, adoro gli humbucker, ma hanno la capacità di nascondere un po’ chi plettra sulle corde, soprattutto quando si usano suoni molto saturi.

Probabilmente la compressione che si genera svolge un ruolo fondamentale.
FA: Sì, sono d’accordo. Anche io amo gli humbucker, e per certi versi credo siano i miei pickup di riferimento, ma per questo album usare delle chitarre con i single coil è stato un vantaggio. C’è molto materiale che si sovrappone continuamente, e i single coil ci hanno permesso di far sì che le chitarre non sparissero in mezzo a Mellotron, archi, basso, batteria ecc.

Vi serviva un suono più “a fuoco” sulle medie frequenze.
FA: Esatto. Mikael ha usato anche la sua Telecaster che ha un pickup humbucker, ma l’ha suonata prevalentemente con lo split coil attivato. Credo che il suono più centrato dei single coil sia stato una chiave fondamentale nella realizzazione dei suoni di questo album. Personalmente ho usato una Stratocaster degli anni ‘70 che ho acquistato da John Norum qualche anno fa. Quella Stratocaster è dotata di un pickup DiMarzio che è molto più potente di un normale single coil, senza perdere quelle qualità di definizione di cui parlavamo poco fa.

Mikael, poco fa Fredrik parlava di come riesci a immaginare l’ambientazione sonora di un brano o di un album fin dal principio. Voglio provare a fare una domanda un po’ più astratta, ma che comunque penso sia calzante per un lavoro simile. Pensi mai ai suoni come a proiezioni tridimensionali della tua idea? Oppure ti limiti a ragionare su elementi che si succedono su una linea temporale bidimensionale?
MA: Wow, una domanda gigantesca. Non so neanche se ho i mezzi per rispondere in maniera corretta.

Spero il senso della domanda fosse comprensibile.
MA: Oh sì, assolutamente. Direi che per rispondere devo iniziare col dire che negli anni ho iniziato a dare sempre meno peso ai suoni intesi come entità autonome. Questo ha significato dare sempre più importanza alla persona ed al musicista. Con il passare del tempo mi sono accorto che una vecchia chitarra degli anni ‘20, arrugginita e senza un paio di corde, poteva comunque suonare bene nelle mani di un musicista come Fredrik. Io stesso saprei come farla suonare in maniera adeguata per un determinato progetto. Ed il punto è proprio questo: non mi interessa pensare alla bontà di un suono che non ha un contesto. La collocazione di un suono è ciò che gli dà valore, ed il modo in cui un musicista crea un suono è ciò che gli trasmette intenzione e significato. Ecco quindi come i suoni diventano delle presenze tridimensionali, e non dei semplici orpelli. Con Fredrik è facile lavorare su queste cose perché è sempre molto veloce nel decidere quale suono può funzionare per un determinato brano, e così finiamo per spendere molto più tempo sui brani.
FA: Probabilmente abbiamo le idee abbastanza chiare da non dover spendere troppo tempo sulla creazione dei suoni. Credo che quella sia una componente del nostro lavoro sulla quale lavoriamo già a sufficienza fuori dal periodo di creazione dell’album. Alcune volte, però, capita che anche in studio di registrazione si verifichino dei piacevoli incidenti.

C’è qualcosa delle session di The Last Will And Testament che vuoi raccontarci?
FA: C’è un aneddoto che riguarda gli amplificatori usati per l’album. Anzitutto siamo arrivati in studio di registrazione con un paio di testate Friedman, una delle nuove Marshall Plexi da 20watt e una Marshall Plexi del 1972. Una cosa interessante con la quale abbiamo sperimentato è stata la Brown Box, che permette di variare il voltaggio usato per l’amplificatore. In Svezia siamo abituati ai 240volt, ma molti di questi amplificatori sono stati costruiti per essere utilizzati con altri voltaggi. Sperimentare con la Brown Box è stata una delle cose più interessanti per me, se devo parlare del suono del nuovo album. Questo perché lavorare con voltaggi variati ci ha permesso di usare pickup single coil, e quindi sfruttare un top-end molto più definito, ma senza incappare in suoni troppo squillanti o pungenti. Probabilmente Mikael è meno nerd di me in queste cose, ma per me è stato molto interessante.
MA: Lasciatemi chiarire una cosa: adoro lavorare su un bel suono. Probabilmente non arrivo a concentrarmi su aspetti della creazione del suono così tanto come alcuni nostri amici. John Norum, ad esempio, che Fredrik ha nominato poco fa, è una di quelle persone che riesce a spendere ore nel capire come l’angolazione di un cavo possa influenzare il suono. Ecco, quello è un livello che non riesco a raggiungere.

È un po’ come la leggenda delle batterie mezze scariche usate da Eric Johnson per i suoi Fuzz Face. Probabilmente ci sono diversi livelli che si possono raggiungere nell’accanimento per questi aspetti del suono.
MA: Esattamente. Probabilmente bisognerebbe sempre cercare un equilibrio fra ciò che porta allo scrivere buone canzoni e ciò che permette di creare dei buoni suoni. Però chi sono io per giudicare quello che fanno gli altri? Ognuno si diverte in maniera diversa.
FA: Personalmente credo sia anche una questione di efficienza. Io mi sento appagato dall’essere efficiente in studio di registrazione e questo è il motivo per cui faccio la maggior parte dei miei test prima di entrare in studio. Ovviamente si può sempre lavorare sullo styling del suono quando si è in studio di registrazione, ed anche in fase di post-produzione, ma per The Last Will And Testament siamo arrivati al momento della registrazione con le idee molto chiare. Uno degli elementi che è stato deciso in studio è stato il cabinet principale con cui abbiamo registrato le chitarre. Si tratta di un Marshall 4x12 degli anni ‘60, e credo sia ai Rockfield studios da sempre. Quando si provano i brani, o semplicemente quando si suona in sala prove, non si presta molto attenzione al cabinet che si sta usando, ma quando arriva il momento di registrare è fondamentale ricordarsi che la scelta del cabinet può cambiare ogni cosa. Volendo riassumere direi che la Plexi da 50watt del 1972, e la cassa 4x12 Marshall degli anni ‘60 hanno fatto gran parte del suono dell’album. Abbiamo usato anche un vecchio Boss SD-1 per spingere l’amplificatore quando necessario. Ho acquistato questo pedale anni fa in Giappone dopo svariate prove, e ricordo che mi ha convinto perché ha delle medie frequenze diverse rispetto ad altri SD-1.

Ragazzi so che il nostro tempo insieme sta finendo, e che Mikael deve tornare a vedere come sta il suo gatto. Non posso che ringraziarvi per il tempo speso insieme.
FA: Scusaci se abbiamo divagato troppo parlando di batterie scariche e di pedali giapponesi.

È esattamente quello che ci si aspetta dai chitarristi. Prima di lasciarvi, sapete già quando suonerete in Italia i brani del nuovo album?
MA: La data a Milano dovrebbe essere prevista per Febbraio, o forse un po’ dopo. Dovrei controllare gli ultimi aggiornamenti. Posso dirvi con certezza che sarà nei primi mesi del 2025. Spero che il pubblico voglia ascoltare del materiale dal nuovo album, ma sono consapevole del fatto che dobbiamo sempre inserire quei brani per cui la gente ci segue da molti anni. È un compromesso, in fin dei conti.
FA: Il vantaggio dei brani del nuovo album è che sono più brevi rispetto alla media dei brani degli Opeth, e quindi forse riusciremo ad inserirne 4 o 5 in scaletta.
MA: Probabile. Vedremo come si evolveranno le cose nel momento in cui inizieremo a pianificare il tour europeo.

Ragazzi è stato un piacere. In bocca al lupo per tutto!
MA: Anche a voi! Mi raccomando, continuate a portare avanti questo lavoro.
FA: Fatevi vedere a Milano, così ci beviamo una birra insieme.

Podcast

Album del mese

Willie Nelson
My Life, è una lunga storia...
Il Castello/Chinaski Edizioni

My Life, è una lunga storia... Ebbene sì, si tratta dell’autobiografia che Willie Nelson ha messo a punto con David Ritz, tradotta in italiano per...

The Decemberist
As It Ever Was, So It Will Be Again
Yabb Records

Tredici nuovi brani, di cui – dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo – una lunga suite di circa 20 minuti: si tratta...

Ray Lamontagne
Long Way Home
Liula / Thirty Tigers

Se c’è una domanda che possiamo rivolgere a Ray LaMontagne, è questa: com’è che ogni suo nuovo lavoro si impone a rotazione e non lascia...