ADRIAN SMITH e il nuovo album con Richie Kotzen

intervista
Nell'atmosfera carica di storia e creatività del The House di Los Angeles, Adrian Smith e Richie Kotzen hanno forgiato dieci brani che promettono di affascinare tanto gli appassionati del classic rock, quanto gli amanti delle sonorità più contemporanee. Guidati dall'esperta mano di Jay Ruston al mixaggio, ogni traccia di Black Light/White Noise (BMG Records) riflette la profondità artistica di due musicisti che, come pochi, sanno raccontare il mondo con le loro chitarre e voci.
Il singolo apripista, White Noise, è una vibrante esplosione sonora che affronta con acuta lucidità il tema dei social media e della loro presenza invasiva nelle nostre vite quotidiane. Nato da un riff firmato Adrian Smith e arricchito dalla sensibilità melodica di Richie Kotzen, il brano rappresenta perfettamente lo spirito dinamico e provocatorio dell'intero disco.
Arricchito ulteriormente dalla...
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presenza di Julia Lage, il nuovo album attraversa territori eterogenei, tra accenni soul, sfumature blues e complesse strutture ritmiche che evocano il glorioso passato di band come Cream o Thin Lizzy. Ma ciò che più colpisce è la naturalezza con cui Smith e Kotzen si alternano al microfono e alle chitarre, dando vita a una conversazione musicale intima e coinvolgente, che sembra destinata a crescere e a stupire ancora.
Adrian Smith ci ha raccontato i dietro le quinte della nascita di Black Light/White Noise, rivelando segreti e retroscena di una collaborazione che promette di regalare una buona dose di ascolti ad alto volume.
Bene, prima di tutto, ciao Adrian, come stai?
Ciao. Bene, tutto a posto.
William ci ha appena detto che sei tornato in Inghilterra; sei rimasto negli Stati Uniti per un po’ di tempo?
Sì, sì, non tornavo in Inghilterra da circa sei mesi, è bello essere qui.
L’ultima volta che abbiamo parlato è stato per il primo disco firmato Smith/Kotzen, quando tu ne eri entusiasta e ci domandavamo se fosse un progetto destinato ad evolversi o meno. Come si è evoluto questo progetto? Come ti senti ad aver realizzato questo secondo disco?
Beh, abbiamo realizzato il primo disco e abbiamo ricevuto un'ottima risposta, ha avuto successo. Io vivo per parte dell’anno a Los Angeles, vicino a Richie. All'inizio del 2023 ci siamo ritrovati per vedere cosa riuscivamo a tirar fuori. La prima cosa che Richie mi ha fatto ascoltare è stato Muddy Water , fantastico. Aveva già imbastito buona parte del pezzo ed abbiamo iniziato a lavorarci sopra, mettendo a punto una versione indicativa. Io avevo buttato giù l’idea di White Noise , con un riff già pronto. Abbiamo messo insieme anche quello. A quel punto avevamo due brani e ho pensato: “Vale davvero la pena pensare a un disco, se queste sono le premesse!” Credo che nel primo mese abbiamo composto sei brani, poi siamo andati entrambi in tour, lui con la sua band, io con gli Iron Maiden. Ci siamo ritrovati nella prima parte del 2024 per completare il disco e il processo è stato identico a quello del precedente, solo io e Richie, nessun produttore esterno: un progetto fatto tutto da noi, nel suo studio, sviluppato sulla base della creatività e libertà di lavorare in totale autonomia.
Sembra quasi una piacevole fuga dal tuo ruolo negli Iron Maiden, quello che porti avanti da una vita. È così?
Direi di sì. Amo entrambe le situazioni, sinceramente. Ma sai, sono cresciuto ascoltando sin dai quindici anni band come Free, Humble Pie, e il rock blues sporco e ruvido. In pratica, con quella musica ci sono cresciuto, c’è l’ho nel mio dna e per me è musica senza tempo. Quindi la prendo come punto di partenza e come spunto per lavorarci poi sopra con Richie. Questo è un po' il nostro approccio.
Un paio di settimane fa abbiamo parlato con Richie e ci ha detto che uno degli elementi che alimentano il progetto è la vostra profonda amicizia. Questo permette lo scambio libero di idee, parlarsi senza problemi, e portare fuori ciascuno di voi qualcosa di diverso. È così anche per te?
Sì, non si discute. E’ quel che conta su tutto. Tutto deve essere istintivo e naturale. Penso che la musica migliore nasca proprio così. Non c'è pressione, nessun obbligo del tipo ‘bisogna fare questo o quest’altro’, facciamo semplicemente quello che ci piace. Talvolta lo faccio per una mia soddisfazione personale, ma alla fine quello che conta è far ascoltare la musica alle persone. Alla fine si tratta di questo, vuoi che le persone possano ascoltarla.
Quindi, come hai detto tu, non c’è alcuna pianificazione dietro la composizione del disco, ma c'è stato qualcosa che volevi fare diversamente rispetto al primo? C’era, chiamiamolo così, un obiettivo che volevi raggiungere? Volevo che questo album fosse più carico di energia, un po' più heavy. E penso che lo sia; sai, è un po' più coerente, con una direzione più definita. Amo il primo disco, ma penso che questo ne sia una evoluzione evidente. Questo ha significato lavorare di più sui suoni, o sui riff, o sugli assoli? Il fatto che dovesse essere un disco più heavy aveva a che fare più con i suoni o con la texture dei brani?
Sicuramente il tipo di texture dei brani è un elemento fondamentale per lo sviluppo del suono stesso, quello con cui visualizzi il risultato finale. Non puoi far sembrare ciò che non è, se capisci cosa intendo. Tecnicamente parlando, Richie ha qualcosa come cento amplificatori per chitarra nel suo studio, mentre tutta la mia attrezzatura è in Inghilterra in un magazzino, quindi, a Los Angeles, avevo soltanto due chitarre, due Jackson, accordate mezzo tono sotto o in Drop C, secondo i brani da suonare. Qualunque amplificatore Richie avesse disponibile, l’ho usato ed anche lui; credo anche una Marshall Plexi. Mi preoccupava il fatto che avremmo avuto lo stesso suono, ma non è stato così. Non passo le giornate a provare amplificatori diversi, semplicemente collego la chitarra e cominciamo. Negli anni ‘80 ho passato tantissimo tempo a cercare di esprimere il suono che avevo in testa ma, come dicevo prima, è pur vero che quel suono finisci per svilupparlo anche in relazione alla struttura del brano da suonare. Certo, è importante avere buona attrezzatura, ma io dico che il suono nasca perlopiù da come percepisci la texture di un brano.
Ciò significa che nel corso del tempo di sei detto “devo concentrarmi di più sulla struttura da consegnare ai brani, piuttosto che passare ore a ricercare il suono di per sé?
Esattamente . Con i Maiden negli anni '80 ero molto concentrato sul mio suono; poi quando ho lasciato la band e ho iniziato a fare cose mie, sono passato a concentrarmi sulla composizione, senza farmi intrappolare dalla tecnica e dagli strumenti. Ti fa sentire libero sotto ogni profilo ed infatti è così che mi sento oggi.
Con l’esperienza, con gli anni che passano e le cose che evolvono intorno a noi, è cambiato il modo con cui selezioni idee e input riguardo ai testi?
Beh, lavorando con Richie… lui ha fatto molti album solisti. Credo almeno una quindicina, forse una ventina, non ne sono sicuro e ciò significa che è molto, molto, concentrato sui testi. Non vuole dare la struttura definitiva a un brano finché il testo non abbia un senso perfetto. Io ho sempre considerato i testi come qualcosa di secondario, perché diciamocelo, un brano di heavy rock ti cattura, o meno, per altri motivi, tra cui certamente il come il cantante lo interpreta. Ma ora, sì, passiamo molto tempo sui testi. Io e Richie ci sediamo anche per due o tre ore con carta e penna, e come dice Richie è un po' come risolvere un puzzle. Ad esempio, nell’album c’è White Noise , un titolo forte, ma poi ci siamo chiesti: di cosa parlerà? E così ci è venuto in mente il tema dei social media, della loro ascesa e di come stiano prendendo il controllo della vita delle persone, ed il testo è venuto fuori in modo fluido. Riguardo ai testi, inoltre, sai bene che devono essere musicali, perché non tutte le parole funzionano bene cantate, ma più ti concentri sopra e più sviluppi e perfezioni il tipo di linguaggio adeguato a ogni contesto.
Hai accennato ai social media e al fatto che abbiano cambiato la vita di tutti, che la cosa piaccia o meno. Hanno cambiato anche il mondo della musica, perché oggi pubblicare un album è molto diverso rispetto a quando hai iniziato tu. Come lo vivi oggi?
Sai, quando ho iniziato io, entrare in uno studio di registrazione era qualcosa di veramente speciale, un evento. Uno studio vero! Non c’era il lusso di poter registrare a casa sul proprio laptop, come invece è possibile oggi. Credo che il risultato finale sia che oggi c’è tantissima musica in circolazione, molte più persone pubblicano musica, e ci sono molti più artisti solisti proprio perché si lavora da soli, a casa. È un po' quello di cui parliamo nel brano di cui dicevo prima, White Noise , una sorta di alienazione, di separazione tra le persone che vivono le loro vite attraverso il computer. È incredibilmente diverso. La registrazione digitale e tutti i cambiamenti avvenuti sono semplicemente incredibili. In quanto a noi, sfruttiamo la tecnologia, ma speriamo di non abusarne. Non usiamo Auto-Tune o cose del genere ed evitiamo troppe sovraincisioni. C’è Richie da una parte, io dall’altra, registriamo gli assoli e finisce lì. Non impiliamo tracce su tracce come in certe registrazioni moderne, che sono piene di batterie digitali, chitarre digitali e voci con Auto-Tune. Dico spesso alle persone, sai quando entri in palestra e ascolti lì musica mainstream? Le persone non se ne rendono conto, ma tutto è fatto con i computer. È musica standardizzata e molte persone ci si sono abituate. Ebbene, tutto questo mi dà ancora più motivazione per creare musica che abbia un po' di anima.
Riguardo al ruolo della chitarra oggi, come lo vedi? Pensi che prima o poi ci sarà una sorta di rinascita, oppure dovremo abituarci al suo ruolo secondario?
Credo che la chitarra abbia sempre catturato l'attenzione e l'immaginazione delle persone. Non dimenticherò mai la prima volta che ho sentito una chitarra elettrica, è stato elettrizzante. E questo credo che non cambierà mai, penso che ci sarà sempre qualcuno che scopre la chitarra per la prima volta. Oggi ci sono tantissimi ragazzi che portano il livello tecnico alle stelle, vanno oltre. Siedono a casa suonando attraverso i loro laptop, e noi andiamo in tour con parecchie band che non hanno neanche più gli amplificatori veri e beneficiano di suoni incredibili in arrivo dai software. Ma va bene, le cose cambiano e si evolvono costantemente. Io faccio semplicemente ciò che amo fare. Per me, cresciuto ascoltando quel rock blues sporco di band come i Free o gli Humble Pie, quella musica è senza tempo. È terapeutica. Quando canti certe cose ti senti subito meglio, metti fuori i tuoi problemi, li affronti e poi ti senti meglio. È ancora così, e c’è un aspetto tribale nella musica, in tutti i generi. Se vai a un concerto c’è questa sensazione tribale, specialmente nel rock più pesante. Tutti sono lì per lo stesso motivo, e la musica unisce le persone. Inoltre, la melodia è senza tempo. Una buona melodia, una buona canzone, resiste nel tempo. Band come i Beatles lo dimostrano; sono ancora tra gli artisti più ascoltati e venduti, e questa è la prova concreta.
La melodia è un elemento importante anche in questo album. Lo era già nel primo che hai fatto con Richie, ma riguardo al secondo album abbiamo scherzato con lui riguardo a un paio di brani in cui le due chitarre armonizzano. È una cosa che tu fai con i Maiden praticamente da sempre, armonizzazione delle chitarre e creazione di linee soliste con più di una chitarra. Richie invece non lo aveva mai fatto così approfonditamente nei suoi lavori precedenti, quindi scherzava dicendo che probabilmente aveva scelto il miglior partner possibile per farlo!
Beh sì, Richie è sempre stato il chitarrista principale. Il suo stile è molto espansivo, occupa molto spazio ed è incredibile che riusciamo a lavorare così bene insieme, perché se ci pensi, siamo due chitarristi e due cantanti che lavorano insieme, e questo potrebbe andare terribilmente male. Invece ci complementiamo l’un l'altro, ed è questo che rende il progetto unico. Entrambi ci concediamo il giusto spazio, e quando lavoriamo su un brano, abbiamo un accordo non detto: essere entrambi valorizzati a livello chitarristico e vocale. È la combinazione di noi due a restituire l’unicità del progetto. Personalmente, ho sempre lavorato con un altro chitarrista. All’inizio ero soltanto il cantante. Quando io e Dave [Murray, degli Iron Maiden] eravamo ragazzi, lui sapeva già suonare la chitarra, mentre io volevo essere in una band, così dissi che sarei stato il cantante. Ho studiato e imparato a suonare la chitarra strada facendo e da allora mi è sempre piaciuto interagire con un altro chitarrista.
Nelle interviste che facciamo con i musicisti, parliamo spesso delle sfide che comporta la composizione di un brano e di un nuovo album: per quanto ti riguarda, oggi c'è ancora qualcosa che definiresti una sfida?
Tutto è una sfida. Ogni giorno lo è. Non do mai nulla per scontato, non mi rilasso mai sugli allori. Non sono mai soddisfatto fino in fondo. Devo sempre metterci il cento per cento. Non riesco a mollare le cose a metà, sono del tipo ‘tutto o niente’, sempre.
E c'è stato un brano del nuovo album con Richie che magari ti ha costretto a lavorarci sopra più degli altri per ragioni specifiche?
Non particolarmente. Quando mi impegno nella realizzazione di un album, ogni giorno mi sveglio, mi siedo e mi concentro con l’obiettivo di tirar fuori qualcosa di straordinario, il brano della tua vita. Ci provo, ovviamente. Inoltre, il fatto di trovarmi a lavorare con Richie che mi completa musicalmente, è una cosa grandiosa e, dunque, bisogna andare fino in fondo.
Proprio in funzione del ricercare il tuo meglio in fase di composizione, oggi come selezioni e come dai corso agli input che ti arrivano?
Oggi sono decisamente più produttivo poiché lascio che semplicemente tutto fluisca. Negli anni ’70 e ’80 mi concentravo sulla necessità di scrivere ‘il successivo grande successo’ e questo mi limitava. Ora ricerco la qualità del risultato ma la differenza è che lascio il flusso libero di scorrere. Inoltre, oggi ho il lusso di avere un mio studio personale, mentre una volta non era così: dovevi metterti di fronte ai tuoi compagni di band con la chitarra in mano, cantare, e dire loro “questa è la mia idea del pezzo”. Dovevi mettere a nudo la tua anima, era dura. Oggi puoi portare una demo che suona già come un disco, e tutti dicono: “ottimo, lavoriamoci sopra.” Tornando alla domanda, sì, il modo di dare corso a un’idea è cambiato parecchio.
Credi che il processo di allora di presentare l’idea di un brano nuovo ai compagni di band e di convincerli in un certo senso, abbia contribuito a creare nei musicisti un carattere più forte rispetto a chi oggi non vive più quel momento?
Sì, decisamente. Ti forgia come persona, non so dirti se necessariamente in modo positivo, ma sicuramente lo fa.
Un’ultima domanda: porterai "Black Light White Noise" in tour, magari in Italia con Richie?
Mi piacerebbe, io adoro suonare in Italia. Penso che potremmo riuscirci nel primo trimestre del 2026. Io e Richie siamo parecchio impegnati, ma mi piacerebbe moltissimo portare sul palco i brani del nuovo disco brani, perché penso siano davvero forti e funzionerebbero benissimo in concerto. La volta scorsa abbiamo fatto un mini-tour ed è stato fantastico. Mi piacerebbe proprio ripetere quell’esperienza!
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