JOEY LANDRETH "Whiskey"
intervista
Ancora ignorato dalla stampa italiana di settore, il nostro magazine è stato il primo ad incontrare Joey Landreth in occasione delle registrazioni di "Whiskey". Con lui abbiamo parlato di come sta andando il suo debutto da solista, della sua incredibile tecnica sulla seicorde, e degli strumenti che lo hanno accompagnato nella realizzazione dei suoi più recenti progetti.
Ciao Joey, è un grande piacere conoscerti! Sappiamo che sei appena rientrato da un tour, ma soprattutto sappiamo che questa è la tua prima intervista per una rivista italiana!
Il piacere è tutto mio, e sì: questa è la mia prima volta su di un magazine italiano! Vi sono veramente grato per aver contattato il mio management e per aver reso possibile tutto questo, soprattutto perché sono poche le riviste come la vostra che ancora, tutti i mesi, escono in edicola. Riguardo al tour invece, ho recentemente concluso una serie di date in Nord America. Da poco sono tornato a casa a Winnipeg dove mi...
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fermerò per qualche giorno, prima di ripartire per un brevissimo tour in trio durante il mese di novembre. D’ora in poi sarò fermo con gli appuntamenti live perché siamo in fase di scrittura del nuovo album con i The Brothers Landreth.
Whiskey è il tuo primo album come solista – il secondo album in carriera – ed è un lavoro che purtroppo non moltissimi in Europa hanno avuto modo di ascoltare a causa della distribuzione. Ciò che salta subito all’occhio, ed all’orecchio, è la tracklist, che si svolge su “soli” sette brani. Non è una cosa così consueta al giorno d’oggi.
Hai ragione, l’idea iniziale era quella di realizzare un Ep con cinque brani. Quando con i Bros. Landreth ci siamo presi un periodo di pausa, io ho iniziato a scrivere per questo progetto solista, e nel momento in cui sono entrato in studio di registrazione mi sono ritrovato ad avere i sette brani che poi sono finiti sulla tracklist definitiva. Non sono riuscito a tagliare nulla di ciò che avevo scritto, e così il mio manager ha deciso di includere tutti i brani che aveveo preparato. In questo modo mi sono trovato ad avere fra le mani qualcosa che non era un ep ma allo stesso tempo non era neanche un album vero e proprio. Ecco perché Whiskey è finito per essere qualcosa di strambo nel mezzo. Al di là di ciò credo sia uno di quei progetti riusciti bene fin dal principio, nel senso che non avevo troppi altri brani da registrare, ma ero anche deciso a non volerne tagliare nessuno.
Come ascoltatore esterno posso dire che parlare di Whiskey come un vero e proprio album non è qualcosa di difficile, perché nel momento in cui si ascoltano le tracce si scopre un mondo sonoro, ed anche narrativo, molto profondo e articolato, cosa che solitamente non accade con un Ep. Credo che molto di ciò derivi dal fatto che sul piano sonoro avete fatto un lavoro incredibile.
Ti ringrazio molto, le tue sono parole molto belle. Sono conscio del fatto che sette brani potrebbero non essere compresi come un progetto molto corposo, ma la realtà è che abbiamo speso tanto tempo nel dare corpo a tutto ciò che si ascolta, e mi fa piacere che tu lo abbia notato. Ho realizzato l’album nello studio di un mio carissimo amico che vive a Winnipeg (la mia città), ed è stato lui a spingermi nel ricercare ciò che poteva essere la perfezione per quanto riguarda i suoni dell’album. Abbiamo sperimentato con un gran numero di amplificatori, microfoni, e chitarre. Sai, la realtà è che spesso in studio si finisce per creare una catena di segnale ed un suono che sono sì soddisfacenti, ma difficilmente sono incredibili. L’obbiettivo questa volta era di trovare quel suono che fosse in grado di lasciarmi a bocca aperta ogni volta che avessi messo mano alla chitarra.
Quando la distorsione entra sin gioco dopo l’intro del brano Whiskey, l’impatto è davvero devastante. Quel suono è così pieno di armoniche, caldo, e avvolgente…
Ho un aneddoto riguardo a quel brano, una di quelle cose che solo i chitarristi possono capire. La versione che si ascolta sull’album è una take “ridotta” di ciò che è successo realmente in studio. Ho un’altra versione archiviata da qualche parte, nella quale ci sono molte più tracce di chitarra a formare quel momento di crescendo sonoro. Quando abbiamo registrato quel brano sono entrato nella sala di ripresa… e le vibrazioni prodotte dall’amplificatore a quel livello di pressione sonora erano inconcepibili! Ho suonato Whiskey prevalentemente con la mia Collings hollow body, e non riesco a spiegare quanto violentemente reagisse il legno della chitarra al suono che usciva dall’amplificatore. Posso dire con certezza che è stata un’esperienza unica, ma sono certo che la versione finita sull’album sia quella giusta per il pubblico.
Fra chitarristi certe cose lasciano un segno, anche se devo dire che l’album è ben bilanciato, non si sposta mai troppo verso un pubblico strettamente chitarristico…
Abbiamo cercato di non farci prendere troppo la mano per quanto riguarda le parti di chitarra, perché non volevo in alcun modo rischiare di “perdere” i brani. La chitarra è la mia vita e la mia passione principale, ma quando mi presento come artista lo faccio attraverso dei brain, che alla fine della giornata sono sempre ciò che conta più di tutto il resto. Ho voluto dare il giusto spazio al mio playing, ma volevo fosse qualcosa di rispettoso nei confronti della struttura e dell’animo dei singoli brani.
Parlando di songwriting, credi si possa rintracciare una sorta di routine che sei solito seguire? Oppure ogni volta le cose cambiano?
Ogni brano è un po’ un mondo a sé stante. Alcuni brani partono da una semplicissima parte di chitarra, e da lì si evolvono in qualcosa di molto più ampio; altre volte ho già il testo e la melodia pronti, e pertanto devo riportare tutto sullo strumento per dare corpo al brano. Ultimamente mi sto esercitando molto di più sulla scrittura, questo perché avendo esaurito gli impegni live ho tutto il tempo necessario al concentrarmi sullo scrivere nuovi brani. L’unica costante che riesco a rintracciare nel mio modo di scrivere è che ogni volta devo definire uno scheletro base, ovvero: se il brano scaturisce sulla chitarra, allora devo ultimare tutta la struttura musicale di base; se il brano inizia in forma testuale con delle parole, allora cerco di chiudere il testo prima di passare alla musica.
Parlando del contenuto di Whiskey, credi ci sia un tema portante dietro i sette brani che lo compongono?
Non credo ci sia un tema costante, ma sicuramente tutto è nato a partire dagli ultimi due anni della mia vita, durante i quali molte cose sono successe. Ci sono brani che parlano d’amore e di storie positive, e quelli probabilmente sono scaturiti dal fatto che mi sono trasferito in una nuova casa con la mia compagna, ma ci sono anche brani che parlano di momenti negativi che ho attraversato in passato. Whiskey, così come il primo album dei Bros. Landreth, ha preso vita dalla mia esperienza personale, ma mi sto accorgendo che il nuovo album che stiamo scrivendo con la band ha già virato verso altre fonti di ispirazione, come ad esempio le vite delle persone che ci circondano. Credo sia qualcosa di naturale, perché quando si inizia a scrivere si mette su carta ciò che si conosce meglio, ed è quindi facile pensare alla propria vita.
Quali sono i tuoi principali riferimenti musicali come autore?
Indubbiamente Emily King, che non voglio neanche provare a descrivere perché ciò che fa è troppo variegato ed in grado di mescolare un incredibile numero di influenze. Quindi direi Emily King… Doyle Bramhall II… Donny Hathaway, soprattutto l’album Live degli anni settanta. Se dovessi definire la mia personale bibbia musicale sceglierei sicuramente Live di Donny Hathaway, The Switch di Emily King, e Grace di Jeff Buckley… Questi sono tre album che ogni volta riescono ad ispirarmi come se fosse la prima. Dovrei però aggiungere anche Borderline e Get Rhythm di Ry Cooder.
Una delle caratteristiche che ti ha reso unico fra la generazione più recente di chitarristi che adoperano costantemente lo slide, è la tecnica “playing behind the slide”. – Joey è solito suonare con le dita contemporaneamente allo slide seguendo l’esempio di Sonny Landreth - Cosa ti ha portato a voler intraprendere questa strada?
Anzitutto il fatto di aver ascoltato per molto tempo la musica di Sonny Landreth (che non è mio parente sfortunatamente), lui è il vero re di questo modo di suonare. Quando ho iniziato a utilizzare lo slide ho provato a mettere in pratica quello che avevo ascoltato sui suoi album. A quel punto però, nonostante le tante ore di prova ed esercizio, non sono mai riuscito a raggiungere quell’articolazione e quella complessità che cercavo, e pertanto ho sentito la necessità di aggiungere delle note suonate con le dita. Il bello dello slide è che si riesce ad ottenere un legato pressoché identico a quello della voce umana, cosa che, senza tecniche come quella ideata da Jeff Beck, non si può riprodurre con mani e plettro. In aggiunta a ciò che ho imparato dai grandi dello slide cerco sempre di mescolare qualche fraseggio rubato dal bebop e da musicisti come Miles Davis, Coltrane, e Cannonball Adderley, dei quali sono un grande fan.
L’altra peculiarità del tuo sound viene dall’accordatura e dalle corde che utilizzi: open C con mute per baritona. Rispondi quindi ad un quesito apparentemente irrisolto: corde più grosse suonano davvero meglio di corde più sottili?
Impossibile rispondere. Non credo suonino meglio, semplicemente per quanto mi riguarda sono necessarie a bilanciare il peso dello slide sulle corde quando l’accordatura si abbassa tanto da arrivare all’open C. Nel mio caso si tratta di equilibrio e di feeling tattile, perché anche quando suono con accordatura standard uso sempre mute 0.12 o 0.13.
Veniamo quindi alla strumentazione che hai usato per la registrazione di Whiskey. Partiamo dalle chitarre. Quali sono stati gli strumenti principali?
La chitarra principale è stata la mia Suhr Classic Antique, quella di colore sea green che probabilmente si è già vista in qualche video. Oltre alla Suhr ho utilizzato anche una Collings I-35 hollow-body (come accennavo prima), un’altra hollow-body costruita da un produttore di Winnipeg, chiamato McConnell Guitars, un’acustica Waterloo WL-14… E non posso dimenticare assolutamente la mia Coodercaster nera con pickup Gold Foil (anche quella già vista in diversi video). Infine ho utilizzato anche una Telecaster, della quale non ricordo il brand, ma posso dire fosse una Telecaster “basilare”. Per quanto riguarda le chitarre questo è quanto.
Cosa ci dici invece della pedalboard che vediamo in fotografia?
Il King Of Tone di Analog Man è stato il cuore e l’anima della pedaliera, soprattutto per quanto riguarda il suono drive “standard” senza troppo gain. Il KOT è stato affiancato al Mythos Mjolnir, che è un pedale nato sulla scia del Klon Centaur al quale non riesco a fare a meno. Per le distorsioni ho ustao anche un Russian Big Muff Electro Harmonix, e mi riferisco alla versione russa Tall Font. Ho usato il Big Muff proprio per il suono distorto nel brano Whiskey, su suggerimento del mio produttore. Durante i live successivi l’ho sostituito con il ThorpyFX Muffroom Cloud a causa della rumorosità del pedale originale. Ho usato anche un compressore Origin Effects SlideRIG, uno Strymon El Capistan per quanto riguarda il delay, ed un Van Amps Sole-Mate per il riverbero. Infine ho usato un Eventide Pitchfactor per i suoni più strani dell’album.
Concludiamo con gli amplificatori... sui quali ci hai detto di aver sperimentato molto.
Esattamente, per Whiskey abbiamo lavorato tanto sugli amplificatori e sulla loro microfonazione. L’amplificatore principale è stato un Rev Generator 7-40, che ho utilizzato principalmente clean. Sono amplificatori stupendi ed anche loro sono costruiti con estrema perizia qui a Winnipeg. Mi piacciono soprattutto perché sono molto silenziosi e per registrare ciò aiuta non poco. Ho utilizzato quindi anche il mio ’65 Deluxe, ed un amplificatore costruito da un altro amico di Winnipeg, il cui brand si chiama WaWa, che ricalca il circuito del Tweed Deluxe
Cosa c’è nell’aria di Winnipeg che porta così tante persone a cimentarsi nella costruzione di prodotti di questa qualità e caratura?
Il freddo! (ride) Scherzi a parte, qui le temperature sono tremende (le minime possono toccare i -24°), e per quanto Winnipeg non sia lontana dal confine americano le prime grandi città vicine sono a diverse ore di viaggio. Per questi motivi molte persone durante l’inverno, che è lungo e freddo, si cimentano nelle proprie passioni e ammazzano il tempo provando a dare vita a qualcosa di nuovo.
Lo sai che in Italia ti aspettano temperature molto diverse?
Non vedo l’ora di poter venire finalmente a suonare dalle vostre parti, ed ora che ci siamo conosciuti ho un motivo in più per passare a trovarvi!
JOEY LANDRETH
Whiskey
Cadence Music
A volte la vita è veramente ingiusta, e Joey Landreth ne è la dimostrazione. Giovane artista canadese venuto alla ribalta con i Bros. Landreth, formati assieme al fratello David, Joey Landreth non solo è un ragazzotto di incredibile successo presso il gentil sesso, ma è soprattutto uno dei chitarristi rock/blues più sensazionali venuti a galla nel corso degli ultimi cinque anni. Ahimè passato inosservato sotto i radar di quasi tutta la stampa italiana di settore, Landreth sta riscuotendo un enorme successo di pubblico negli Stati Uniti così come in molti altri paesi europei.
Con un solo album all’attivo insieme ai Bros Landreth, il buon Joey si è fatto sentire nel corso del 2017 grazie al suo debutto come solista, Whiskey, composto da una manciata di brani che non hanno fatto altro che buttare benzina sul fuoco divampato dopo la scoperta di tanto dirompente talento. Sette brani, circa venticinque minuti totali di musica, e la conferma che la qualità vince sempre sulla quantità: nel music business di oggi questo tipo di conferme servono tanto quanto l’aria serve alla vita.
Ad aprire il lotto è la titletrack, che dopo un’intro sospesa fra arpeggi aggraziati, sui quali la voce di Landreth tratteggia i temi ricorrenti dell’album, si lancia in un crunch trascinante e muscoloso, ormai marchio di fabbrica del suono di casa Landreth. Simile risultato lo ottiene Gone Girl, brano che assieme a Whiskey rappresenta un ottimo biglietto da visita per ciò che la musica di Joey Landreth vuole narrare: atmosfere sognanti e inafferrabili che dipingono spazi aperti sconfinati, dove le storie di amori e fatiche quotidiane si consumano nella loro epica semplicità.
Il playing di Landreth, combinando la lezione dei grandi dello slide con una vena rock grezza e sfacciata, ma soprattutto facendo del playing behind the slide il vero protagonista della partita, ruba presto il centro del palcoscenico, e così ad un timbro canoro fin troppo sottovalutato si aggiunge un comparto sonoro dal pedigree aristocratico. I tempi più rilassati di Still Feel Gone o Better Together permettono un ascolto più approfondito di tutte le sfumature che Landreth riesce a mettere sul piatto, proprio prima che Remember chiuda il sipario su un album che purtroppo moltissimi in Italia non sono ancora riusciti ad ascoltare.
Realtà come quelle di Joey Landreth sono ciò che di più vivo e scalpitante si può trovare; album come Whiskey obbligano a resettare le coordinate, e cantano a gran voce versi fra i più validi. Come chitarristi, come autori, ma soprattutto come musicisti, dovete farvi il favore di prestare la dovuta attenzione a questo lavoro.
Testo di Francesco Sicheri
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