Eric Clapton, Journeyman
intervista
Si aprirà tra pochi anni un nuovo millennio, arriverà il Duemila salutato da squilli di tromba e rulli di tamburi e, forse, la musica festeggerà a suon di computer, sampler e altre diavolerie elettroniche. Ma a dispetto di tutto e tutti, Eric Clapton siederà ancora sul trono dell'olimpo della sei corde. Con la sua classe cristallina, con il fascino delle sue performance che forse concedono poco all'occhio, ma gratificano oltremisura i padiglioni auricolari.
Eric non è un dio, e lo sa; ma ancor oggi, a distanza di 25 anni dai giorni eroici degli Yardbirds, riesce ad ammaliare folle oceaniche puntando sempre su un repertorio classico, su una band perfetta e su matrimonio "celebrato in paradiso" come ebbe a dire tempo fa: quello tra le sue dita e Blackie, la Stratocaster preferita.
Dal 1971 al 1987 Blackie è stata una compagna fedele e insostituibile, una blues sister oggi ormai in pensione dopo che, tre anni fa, Eric è stato contattato dalla Fender stessa per creare in team con alcuni tecnici specializzati, un nuovo modello firmato Clapton.
Con un album da promuovere come "Journeyman", lungi da essere un capolavoro ma tutto sommato...
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più che dignitoso, e una gran voglia di tornare sul palcoscenico Slowhand ha iniziato proprio dall'Europa il suo ennesimo world tour, puntanto poi all'America e proseguendo alla volta del Far East e dell'Australia. Al suo fianco, un sestetto ben affiatato composto dai "vecchi" Greg Phillinganes alle tastiere e Nathan East al basso, da Steve Ferrone alla batteria (il buon Collins è impegnato con il suo "...But Seriously Tour"), dal percussionista Ry Cooper e dalla seconda coppia chitarra-tastiere Philip Palmer/Alan Clark che fungerà da ottima cornice, e qualcosa di più, al talento e all'estro del leader.
Il concerto si articola in una quindicina di brani scelti con oculatezza tra canzoni di oggi e chicche di ieri, per oltre due ore di buona musica: a sostegno della tesi più volte espressa da John Mayallm uno che di queste cose se ne intende! Secondo cui "ci sono chitarristi brani e meno bravi, poi c'è Eric Clapton".
Vestito nero, calzoni di pelle e camicia country, capelli lunghi e barba ben curata con qualche riflesso grigio, fa il suo ingresso sulle note di "Pretending" per gettarsi a capofitto nel riff assassino di "Presence of the Lord". Il pubblico urla il suo nome, applaude sino a spellarsi e lui, per tutta risposta, accenna un sorriso e annuncia "I Shot the Sheriff": grande, dilatata, cosparsa di brevi assoli e splendidi interventi alle percussioni. Il ritmo altalenante viene però rimpiazzato senza pausa dalle note maestose di "White Room". E qui salfono in cattedra i Cream.
La chitarra è una Strato nera, il colore preferito in assoluto, e le dita si muovono leggere sulla tastiera: non una goccia di sudore, nessuna ansia nei suoi occhi nè gesti plateali: solo un uomo ed il suo strumento in simbiosi totale. Poi, in sequenza, "Bad Love" ("Badge" non ci sarà, ma il riff iniziale di "Bad Love" ne è la copia conforme), "Lay Down Sally" e l'ottima "Before You Accuse Me", un grande blues che Eric presenta riveduto e corretto alla sua maniera rispetto al trattamento su vinile (da "Journeyman") confermando, se mai qualcuno avesse ancora dei dubbi, che le radici affondano nei dischi di Buddy Guy, Albert King e soprattutto Robert Johnson ("King of the Delta Blues Singer").
Sempre da "Journeyman", ecco "Old Love" e "No Alibi's" ideale vetrina per la Strat di Eric (ora rossa) che sciorina alcuni numeri da vera antologia chitarristica provocando un isterismo collettivo che coinvolge il quarantenne attempato (non scordiamoci che il buon Clapton ha appena compiuto 45 anni, essendo nato a Ripley il 30 marzo del 1945), il trentenne yuppie e il ventenne spinto dalla curiosità di toccare con mano una delle ultime leggende del rock.
Prima di congedarsi, c'è ancora tempo per una manciata di classici tra cui l'immancabile "Cocaine" (più grintosa del solito) e l'altrettanto irrinunciabile "Layla" il cui intro è sottolineato da un boato modello S. Siro. Siamo dunque ai saluti di rito, ma gli oltre diecimila presenti non ci stanno ed eccoli tornare perciò sul palco e lanciarsi in una torrida "Sunshine Of Your Love". Certo la voce di Jack Bruce si fa rimpiangere ma il riff è pur sempre opera di Eric e 23 anni non sono sufficienti a fargli perdere quel fascino musicale che proiettò i Cream sul tetto del mondo rock. Ora la scaletta è proprio finita...
Diamo ora un'occhiata al parco strumenti. Per questo tour ha scelto ovviamente alcune Fender, tre per l'esattezza, tutte E. Clapton Stratocaster con i Lace Sensor; una Gibson Chet Arkins e una Les Paul del 1960.
Per ciò che riguarda le corde, Ernie Ball Slinkies (010/046) per gli strumenti elettrici e sempre Ernie Ball, D'Angelo e Guild per quelli acustici, compreso un dobro.
Per ciò che riguarda l'amplificazione, Clapton egli si affida solitamente a una coppia di Soldano 100; gli stessi che usa in studio, qui affiancati però da due Fender Twin, un Music Man 2x10 e alcuni vecchi ma sempre efficienti Marshall.
Sul versante degli effetti troviamo una pedaliera costruita appositamente da Pete Cornish che include, tra gli altri, un compressore Drawner Vac/Tube, uno Yamaha SPX90, un Tri Stereo Chorus 618, un Dynacord CLS 222, uno Yamaha GEP 60 e un Roland SDE-3000; sotto i suoi piedi infine, un pedale-volume Ernie Ball ed wah wah.
Infine, sono sempre firmati Ernie Ball i pickup e le cinghie.
Passando agli altri musicisti, Steve Ferrone siede dietro una batteria Pearl, mentre Nathan East imbraccia preferibilmente bassi Yamaha più un Clevinger a cinque corde. E, a proposito di corde, preferisce le onnipresenti Ernie Ball ma ugualmente non disdegna Elite, Smith e D'Addario.
Inoltre, parlando dei live, si affida a un preamp/amp Yamaha, mentre sta aspettando (forse l'avrà già in occasione del tour americano...) un nuovissimo Trace Elliot.
Per concludere, arriviamo all'alter ego di Eric Clapton, una spalla di gran lusso chiamata Phil Palmer. Phil imbraccia di volta in volta una Fender Custom Chandler Stratocaster, una Paul Reed Smith, una Guild Songbird acustica e una Strat Eric Clapton; in quanto ad amplificazione, utilizza un MesaBoogie Quad (due 2x12 Boogie cabinets) mentre, tornando al fattore corde, indovinate un pò? Le Ernie Ball.
Accennavamo all'inizio al fatto del pensionamento della gloriosa Blackie. Poche volte una chitarra ha creato un tutt'uno con il musicista come nel caso di Clapton. Come è capitato ad Albert King e alla sua inseparabile Flying V che ha chiamato Lucy ed al maestro B.B. King e relativa Gibson ES 345 Lucille, così Blackie ha accompagnato Slowhand per quasi 20 anni senza mai un cedimento, un attimo di stanchezza.
Ricorda Eric: "Non rammento esattamente se era il 1969 o il 1970, fatto sta che mi trovo a Nashville con i Derek & The Dominos e mi reco in un negozio di strumenti, Shobud. Nel retro scorgo un rack di Strato e Tele, più varie altre Fender, ciascuna al prezzo di $ 100. Allora quasi nessuno suonava Fender, tutti preferivano le Gibson, così approfittai dell'offerta e ne comprai quattro, o cinque, e le portai con me in Inghilterra. Una la regalai a George Harrison, un'altra la diedi a Steve Winwood e le rimanenti le assemblai: il manico di una, il corpo dell'altra, ecc... creando quella che sarebbe diventata Blackie".
Da allora, sul palco come in studio, Blackie lo seguirà come un'ombra perché: "era la migliore: aveva il miglior manico, i migliori pickup, il meglio di tutto!" - come ha ripetuto Clapton alla nausea.
Assodato perciò che l'unità è migliore della somma delle varie parti, perché optare per il prepensionamento? Dihiara Clapton: "Ormai aveva dato il massimo ma non la sostituii per scarso rendimento, anzi. Il fatto è che cercavo una chitarra degna di lei, e siccome non ce ne potevano essere, ne feci realizzare alcune a sua immagine e somiglianza".
Infatti l'attuale serie autografa suona esattamente come Blackie, l'unica differenza sta nei nuovi Lace Sensors, presenti anche in due delle chitarre utilizzate in questo tour: la terza monta invece i pickup originali, per volontà dello stesso Clapton che può dunque contare su una Blackie identica all'originale.
Ovviamente, la galleria delle chitarre di Eric è ben fornita e di alta qualità.
Precursore, nonché tra i massimi esponenti della corrente gibsoniana, verso la metà degli anni Sessanta Clapton è ancora molto affezionato ad una Gibson ES 335 ed una Byrdland, la stessa che utilizzò in occasione dello storico Concert for Bangladesh e che comperò spinto da una pubblicità in cui era fotografato Chuck Berry mentre accarezzava appunto una Byrdland. Sul finire di quella decade si convertì alla Fender grazie a Blackie pur continuando a non disdegnare la marca di Orville Gibson, oltrer che alcune Martin acustiche tra cui una D-28.
Essenzialmente si tratta di Stratocaster, tra le quali vale la pena ricordare quelle del primo periodo post-Cream, ma pure alcune Telecaster faranno la loro apparizione soprattutto nel periodo Blind Faith (il debutto ad Hyde Park il 7 giugno 1969 per esempio; in quell'occasione si trattava di una Tele Custom con manico Stratocaster).
Per finire, un Dobro con manico tipo Martin e una 12 corde costruita appositamente dall'inglese Tony Zemaitis tra le più imponenti in commercio. Tuttavia anche Eric Clapton ha i suoi rimpianti: "la Gibson ES 350 che è immortalata nelle foto di Chuck Berry mentre si scatena nel famoso "duck walking" con i pickup neri originali (P-90), tanto per dirne una! Poi, la più bella Les Paul che avessi mai avuto e che, purtroppo, mi venne rubata durante le prove del primo concerto dei Cream... Era quella che utilizzavo con John Mayall e che avevo comperato in un negozio di Londra dopo aver visto la copertina dell'album di Freddie King "Let's Hide Away and Dance Away". Non sono mai riuscito a trovarne una uguale..."
Oggi, più di 20 anni dopo, sono riapparse sui muri di Londra le scritte "Clapton is God" in concomitanza di una irripetibile serie di 18 soldout alla Royal Albert Hall e l'uscita dell'atteso "Journeyman": a riprova che Slowhand mantiene viva la fiamma della sua leggenda...
Da notare che si tratta della prima apparizione ufficiale, dopo l'omaggio monumentale alla carriera di "Crossroads" (immancabile) e le due colonne sonore "Homeboy" e "Lethal Weapon 2" e, dunque, una verifica dopo la prova non entusiasmante di "Behind The Sun".
Un esame superato con onore, pur senza lode, nel quale l'estro chitarristico emerge a tratti in tutta la sua bellezza formale. E' il caso di "Bad Love" con un assolo in odor di Cream, e dei due R&B "Before You Accuse Me" (di Bo Diddley) e "Houng Dog" (a firma Big Mama Thornton). Ma, ancor più sorprendente, qui è il doppio ruolo di studente e maestro che Clapton assolve al fianco di chitarristi come Robert Cray e George Harrison. "Ho sempre molto da imparare..." - suole dire. Poi sorride sotto i baffi, convinto sostenitore che la vera vita di un musicista inizia dopo i 40 anni...
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