Trivium "The Sin And The Sentence" Corey Beaulieu

di Barbara Caserta
30 agosto 2019

intervista

TRIVIUM
COREY BEAULIEU
The Sin And The Sentence
Ottavo capitolo della loro storia, The Sin And The Sentence ribadisce la piacevole abitudine dei Trivium alla Top 10 statunitense. Eppure la loro musica non è esattamente radiofonica! Senza contare che il video ufficiale della titletrack ha superato 1.5 milioni di visualizzazioni in rete in sole tre settimane…


Sono di Orlando (Florida), eppure sin da ragazzini hanno barattato le loro tavole da surf con onde sonore e 6 corde distorte. Il loro metalcore ha messo a sconquasso la scena metal sin dal 1999, catapultandoli alla vetta delle classifiche dal 2006.
Consacrati tra le più significative metal band del mondo, con il consenso unanime di pubblico e critica, sono stati definiti all’unanimità “i Metallica del nuovo millennio”. Il loro nome – Trivium – deriva dal latino e indica l’incrocio tra le tre principali scuole di insegnamento (grammatica, retorica e dialettica) ed è quindi la migliore etichetta per presentare l’estetica del loro ideale musicale: una totale apertura mentale a stili differenti, alla faccia di chi considera il metal un genere per ottusi!

Il loro capitolo più fresco (uscito il 20 ottobre 2017 su Roadrunner Records) si intitola The Sin And The Sentence, ottavo album...

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di una storia che si ripete soltanto nel grande successo: la Top 10 americana per loro è ormai una piacevole abitudine, nonostante il loro approccio non sia esattamente radiofonico!

Nel 2013 Vengeance Falls si è rivelato il più alto debutto nelle classifiche internazionali fino a oggi, ed ora il video ufficiale della titletrack del nuovo album ha superato 1.5 milioni di visualizzazioni in rete in sole tre settimane! Con il produttore Josh Wilbur (Lamb of God, Gojira), agli Hybrid Studios di Santa Ana (California), i Trivium riescono ancora una volta a sorprendere il mondo intero e sono pronti a salvare il modern metal dal suo torpore creativo: nuovo batterista (il quarto in 7 anni) e nuovo piglio, ma lo spirito resta sempre quello…

A vuotare il sacco al microfono di Guitar Club, è il chitarrista Corey Beaulieu (classe 1983), in occasione della tappa milanese del tour dei Trivium con i Megadeth dell’estate 2017…
“The Sin and The Sentence è un disco che ci riporta ai nostri fasti più estremi. La nostra storia ritorna in tutta la sua magnificenza e gloria: lo potremmo definire un condensato incisivo e ad ampio spettro della nostra carriera, tra screaming senza briglie, doppia cassa furiosa, riff intensi e tanta velocità. Sappiamo essere cattivi ma anche romantici, con tutto quello che ci sta nel mezzo, combinando la vasta gamma di colori della nostra creatività. Un disco che è la summa di ciò che sono stati e sono oggi i Trivium: ascolterete alcune delle cose più heavy che abbiamo mai partorito finora, controbilanciate dalle melodie più rotonde delle linee vocali, in cui però spicca sempre e comunque il retrogusto di quell’istinto più aggressivo. Già negli ultimi due dischi abbiamo spinto per riportare in superfice quell’attitudine estrema “in your face” che ha contraddistinto i nostri esordi. A noi piace e ai nostri fans anche di più… e vissero tutti felici e contenti…”

TRIVIUM lineup
Matt Heafy (lead vocal/rhythm & lead guitar) – Corey Beaulieu (lead guitar/backing vocal) – Paolo Gregoletto (bass/backing vocal) – Alex Bent (drum)


Siete in tour ininterrottamente da mesi: avete lavorato ai nuovi brani on the road o vi siete ritagliati delle pause per concentrarvi sul nuovo album?
Non scriviamo più in tour… In tour ci impegniamo, appunto, sul tour: ci piace visitare le città che ci ospitano, incontrare i fans. I tour sono già di per sé molto impegnativi ed aggiungere ulteriore carne al fuoco sarebbe ulteriormente estenuante… Preferiamo assorbire come spugne durante i nostri viaggi in giro per il mondo, dando poi libero sfogo alla nostra rinnovata ispirazione, rinvigorita e sollecitata, una volta tornati a casa. Ci siamo ritagliati una pausa di due mesi dopo la prima tranche del tour europeo di quest’anno, proprio per lavorare alle nuove idee… Al limite, in tour ci concediamo qualche diversivo provando durante i soundcheck qualche nuovo arrangiamento, ma la composizione richiede e merita massima concentrazione e tranquillità.

Siete cresciuti molto negli ultimi 15 anni: il nuovo stile più progressive, epico e complesso, non ha mai smesso di attingere alle vostre radici più schiette, pur assestandosi sempre un passo oltre. A novembre 2016 avete pubblicato una nuova edizione del debut album Ember To Inferno: questo dejà-vu ha in qualche modo influenzato la direzione del nuovo album vista la quasi concomitanza delle due realizzazioni? E quale è stato, Corey, il tuo apporto alla riedizione, non avendo tu suonato sul debutto originale?
Su Ebay Ember To Inferno nella sua edizione originale, aveva raggiunto ormai cifre d’asta inimmaginabili. Matt per fortuna possiede ancora i diritti su quelle registrazioni quindi si trattava solo di trovare il momento giusto per riproporlo ai fans, senza però interferire troppo con la storia corrente dei Trivium. E così il 15° anniversario dall’uscita ci ha offerto l’occasione che aspettavamo. Nessuno di noi c’era a quei tempi a parte Matt [Heafy] ma tutta la band, in collaborazione con l’etichetta, ha partecipato alla scelta di modalità e formati. Matt è stato molto democratico in questo. Il contenuto resta quello che tutti conoscono: nessun remix o remastering visto che le registrazioni multitraccia sono andate perse, si tratta di una semplice ripubblicazione del master originale… e in un certo senso è meglio così, almeno resterà immortalato nel suo tempo. Ripensare al passato comunque è sempre terapeutico e istruttivo: ad esempio ci capita di riesaminare il nostro repertorio quando compiliamo la nuova scaletta di un tour. Ci piace tirare fuori anche qualche chicca, come ci divertiamo anche a depennare il superfluo, che magari non ci rappresenta più… Andando a riascoltare i dischi vecchi, a freddo, ci si rende conto meglio del perché qualcosa è eternamente vincente o anche di cosa magari ha funzionato di meno. Questo ci aiuta senz’altro ad aggiustare il tiro di uscita in uscita, per mantenere vivo l’interesse dei fans fedelissimi, con l’intento preciso però di catturarne sempre anche di nuovi, mantenendo fresco ed eccitante il nostro sound. Il vero termometro per ogni band è sempre la tournée, dove puoi toccare con mano cosa e quanto della tua musica arrivi davvero alla gente. Siamo autocritici fino al midollo sulla nostra mole di lavoro, e ritengo che soprattutto questa attitudine ci abbia aiutati a mantenere motivazione e direzione, a crescere tanto e velocemente. Calibriamo sempre con molta attenzione ogni prossimo passo.

Avete trovato la formula perfetta dei Trivium o è la costante ricerca a mantenere vivo il sacro fuoco?
La seconda che hai detto! Riusciamo ancora a sorprendere noi stessi e credo che questo sia la vera benzina sul fuoco.

Siete stati paragonati ai Metallica a più riprese nell’arco della vostra carriera: lo ritenete un privilegio o un limite? E pensate che, sound a parte, condividete con loro anche un certo percorso e lo spirito? Tra l’altro – ricordiamolo – i Trivium hanno mosso i primi passi nel 1999 proprio vincendo un talent show con una cover di No Leaf Clover dei Metallica…
Con quella musica ci siamo cresciuti e ascoltare quei dischi ci ha cambiato la vita, portandoci a desiderare dannatamente di poter fare i musicisti di professione. Sia il movimento Thrash Metal della Bay Area che la New Wave of British Heavy Metal dei primi anni Ottanta ci hanno letteralmente battezzati… I Metallica sono una delle più grandi metal band di sempre, sono una di quelle influenze imprescindibili per chiunque suoni metal e i Trivium non fanno eccezione. Senza falsa modestia però, credo che negli anni il nostro carattere sia emerso in maniera preponderante e forgiato la nostra identità. All’inizio volevamo solo emularli, ma strada facendo abbiamo capito che dovevamo trovare il nostro percorso replicando il loro spirito più che ricalcando il loro mood. E oggi essere riconosciuti come New Wave of American Heavy Metal ci dà un certo orgoglio.

Avete cambiato spesso il batterista, solo sugli album ne compaiono 4 diversi nel corso degli anni: questo approccio vi ha dato una marcia in più o soltanto una dose extra di stress? Credi che la lineup attuale sia quella stabile?
Ok, non si può dire che abbiamo avuto grande fortuna con i batteristi, eppure abbiamo sempre scelto bene e cercato di gestire la situazione al meglio… Di volta in volta sembrava quello giusto, poi però per una serie di circostanze, non solo musicali, ci ritrovavamo daccapo. Qualcuno si è prestato per periodi limitati, ma noi, proprio perché sappiano bene cosa significhi cercare per anni l’assetto definitivo, non saremmo mai capaci di rubare il batterista ad un’altra band! Con altri è partita bene ma poi… Vedi, puoi essere il miglior musicista del mondo, ma gestire le dinamiche di una band non è evidentemente nel DNA di chiunque, e te ne rendi conto subito, specialmente quando vivi a stretto contatto con qualcuno 24 ore su 24 nell’ambito di un tour: quella è la prova del fuoco. Non so, forse non è semplice per un nuovo arrivato integrarsi in una band affiatata che lavora duro come la nostra, bisogna saper “tenere alto il tiro”, appunto… Ora con Alex ce l’abbiamo fatta finalmente… o almeno, incrociando le dita, ci auguriamo sia la volta buona! [ride] Di certo parliamo la stessa lingua, musicale e sotto il profilo umano: l’intesa è stata micidiale in maniera immediata, lui ha imparato tutto il nostro repertorio a tempo di record lasciandoci a bocca aperta! E, come mai successo prima, con lui abbiamo da subito iniziato a comporre nuova musica: The Sin And The Sentence è stato il primo brano che abbiamo composto assieme e per noi segna un momento cruciale: per questo l’abbiamo scelto come titletrack del nuovo album. Il drumming di Alex Bent è semplicemente stellare, come mai prima d’ora per noi. Ha senz’altro dato la svolta giusta in questo nostro momento storico. È un disco che trasuda energia ad alta tensione a tutto tondo.

Quanto è cambiato negli anni e come si è stabilito attualmente il tuo assetto chitarristico? Sei uno che cerca l’essenzialità o ti piace esplorare e sperimentare nuovi suoni?
Mi reputo un chitarrista piuttosto diretto, nelle scelte stilistiche come anche in quelle pratiche. Tutti noi sin dal periodo di Vengeance Falls (2013), abbiamo scelto di girare in tour soltanto con dei Kemper. È tutto molto più semplice: in-ear monitor, trasmettitore e via dritti nel P.A! Usarli ci consente versatilità timbrica, nonché di riuscire ad adattarci di volta in volta all’acustica della sala che ci ospita. Ci siamo stufati presto dei muri di casse, che fanno senz’altro tanta scena ma sono poco pratici e, in termini di suono, non fanno la differenza, anzi presuppongono una certa staticità sonora. Così li abbiamo dismessi, optando per lo sviluppo di un suono denso e potente nell’essenza, al di là dell’apparenza. Prima di passare ai Kemper, abbiamo usato per alcuni anni degli speaker simulator professionali. Quindi con noi, il classico gear-rundown che tanto va di moda su YouTube, sarebbe piuttosto spiccio e noioso. In compenso, il sound generale ne guadagna in freschezza e versatilità.

Negli ultimi anni le chitarre a 7 corde sono onnipresenti: si tratta di una precisa esigenza dei vostri arrangiamenti o di una deliberata scelta?
Abbiamo iniziato ad usare le chitarre a 7 corde in The Crusade (2006) e poi ne abbiamo abusato su Shogun (2008), al punto che nei due dischi successivi ci siamo detti “basta!” perché stavano diventando paradossalmente limitanti. Ci siamo resi conto che se l’idea di un brano è buona, non importa se la sviluppi su 4, 6, 7 o 9 o 12 corde; anche in questo caso, è l’essenza a fare sempre e comunque la differenza! Certo, la 7 corde offre una maggiore gamma di accordature e consente di ampliare l’estensione dei bassi, ha un timbro profondo e una certa ricchezza di suono… per il nostro genere io continuo a preferirle, ma essenzialmente per un fattore di scelta che non per un’esigenza compositiva. Diciamo che ci sono abituato. Sul nuovo album abbiamo usato tre diverse accordature, perciò le 7 corde anche dal vivo mi offrono maggiore elasticità e una certa varietà di soluzioni anche a livello pratico.

Hai iniziato con le Jackson, poi sei passato a Dean e successivamente a ESP, ed ora sei tornato a Jackson: perché sono queste le tue asce preferite e quali sono le principali differenze fra la tua V-Signature, la Dean e l’altra a marchio Jackson?
La Jackson non si batte… e anche la mia signature è più figa! Ho iniziato a suonare a 14 anni, a metà dei Novanta, e sulle riviste per chitarristi le Jackson Flying King V attiravano sempre la mia attenzione, forse anche perché sono sempre stato un inguaribile fan dei Megadeth! Quella chitarra rappresentava per me l’essenza del metal e l’ho desiderata sin dal primo momento in cui ne ho vista una. La mia Dean non era male ma era uscita troppo velocemente, senza offrirmi la possibilità di curare dei dettagli come avrei voluto. In tutta onestà, era stata più una scelta di marketing che di gusto personale… Alla Jackson mi hanno sempre coccolato accontentando ogni mia richiesta sin nel minimo dettaglio. La Jackson quindi, oltre a rappresentare meglio il mio stile, è da sempre la mia prima scelta, in ogni senso. Sono chitarre fantastiche e far parte della loro scuderia per me è un onore immenso.

Hai iniziato a suonare soltanto da adolescente, eppure hai sviluppato presto un tuo playing personale facendo passi da gigante: sei partito direttamente dallo shredding o hai vissuto anche tu una fase di transizione?
Ho iniziato a suonare perché ero un metallaro e volevo fare metal! Alla mia prima lezione ho imparato a suonare Seek And Destroy dei Metallica… E poi via, con tutto il repertorio di Metallica, Slayer e Megadeth nella mia cameretta! Come metal masterclass mi sono scelto il top dei top… Il metal è la mia legge! Oggi mi sto interessando anche ad altri generi e tecniche ma unicamente al fine di migliorare il mio gusto e la mia velocità di fraseggio… nel metal! Ho sempre avuto le idee piuttosto chiare e gusti molto decisi.

Lo studio assiduo dello strumento fa sempre la differenza? Qual è per te il giusto equilibrio tra cuore, anima e cervello nel costruire un riff o un assolo?
Assorbire più nozioni possibili senz’altro aiuta ad esprimersi al meglio, ma per quanto mi riguarda, non sono mai diventato l’ostaggio della mia tecnica… La tecnica ha un senso se la si mette al servizio del buon gusto. La musica per me è prima di tutto emozione pura: il mio motto è “se suona bene e ti fa star bene, allora va bene!” La perfezione la lascio volentieri ai maestri, come Bill Pierce che mi ha insegnato tutto quello che so e, soprattutto, ha fatto in modo che io sviluppassi la mia sensibilità verso la musica. Ecco, se non ci avessi messo innanzitutto il cuore, beh oggi non sarei qui… a dispetto del nome “da secchioni” che ci siamo scelti come band! [ride]

Nei Trivium sei il chitarrista solista ma capita che Matt ti scippi qualche assolo. Inoltre, tu canti le parti “unclean” anche se resta lui il cantante titolare… Insomma vi scambiate spesso i ruoli da bravi “sonic twins”: come decidete chi suona o canta cosa di volta in volta?
Essere compatibili ma molto diversi è la nostra chiave di volta nell’essere complementari. È tutto molto naturale e semplice, a volte addirittura casuale… Ci conosciamo molto bene a questo punto, e per noi la priorità resta la resa finale di ogni pezzo, indipendentemente dai nostri ruoli. Da quando sono entrato in formazione, Matt si è maggiormente concentrato sulle parti vocali e sulle melodie, mentre io a mia volta sugli assoli, salvo rare eccezioni. Da quando siamo diventati più “riffy”, di sicuro ho maggiore spazio per sviluppare la mia tecnica. Matt però ogni tanto mi chiede timidamente di poter fare un paio di assoli e come posso dirgli di no visto che è lui il capo? [ride] Scherzi a parte, è un atteggiamento molto umile da parte sua e anche questa apertura reciproca senza dubbio mantiene viva l’armonia nella band.

La tua migliore performance in un disco dei Trivium? Quella che definisce in maniera assoluta il tuo stile finora?
La prossima! [ride] In studio sudo anche l’anima… in genere, non ci piace indugiare troppo in fase di registrazione, anzi cerchiamo di fare le cose bene e velocemente per cogliere l’attimo, l’essenza… Non parlo di sciatteria, sia chiaro, ma di massima concentrazione! Finora sono orgoglioso di quello che ho fatto. The Sin And The Sentence è il manifesto migliore della nostra identità attuale, ma lo stimolo più grande è sempre quello di superare noi stessi, sia a livello tecnico che emotivo, per poter offrire costantemente il meglio alla band e ai nostri fans. Non mi reputo un guitar hero e mai lo sarò: per me a vincere è sempre il gioco di squadra, e i Trivium sono un team affiatato che non perdona. Ora conoscete il vero segreto del nostro successo!

Testo e foto di Barbara Caserta

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