BRIAN SETZER Gotta Have The Rumble
intervista
Difficile tenere fermo Brian Setzer (classe 1959) se non incatenandolo, oppure obbligandolo ad una pausa forzata per colpa di un acufene che ha rischiato di interrompere la sua carriera. Ma il micione di Massapequa (stato di New York) si è rimesso presto in piedi, e lo ha fatto nell’unico modo che conosce: prendendo in mano una delle sue Gretsch e tornando a far vibrare le pareti dello studio di registrazione con i suoi Bassman.
Chi ha avuto modo di vederlo dal vivo sa bene qual è l’impatto di uno show di Setzer, e sa anche molto bene quale tipo di musicista raffinato e preparato si celi dietro quel baldanzoso corteo rock che viene messo...
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in scena sul palco show dopo show. Viceversa, per tutti quelli che ancora non sapessero di quale conoscitore sopraffino si tratti, l’intervista che segue chiarirà ogni cosa. Abbiamo raggiunto Setzer telefonicamente ed abbiamo fatto una chiacchierata illuminante, facendoci raccontare anche come è nato il nuovo album, Gotta Have The Rumble, che segna peraltro il 40ennale degli Stray Cats.
Caro Brian, che bello sentirti! Come stai? Come vanno le cose?
Ciao ragazzi, qui tutto bene. Vivo in una zona tranquilla e non posso lamentarmi di come il COVID sia stato gestito. Al momento sembra proprio che si sia ritrovata un po’ di normalità, e questo non guasta di certo.
{Brian, sai che in 37 anni di rivista questa è la seconda volta che riusciamo ad organizzare un’intervista per la copertina? La prima è stata il numero di luglio/agosto 2011 ed ora eccoti qui di nuovo… siamo contenti!
Non ricordo la data ma so di avervi già incrociato in passato. Sono contento di vedere che dopo tanti anni il vostro percorso continua imperterrito, è qualcosa che abbiamo in comune. E vi sono molto grato per questa nuova copertina, mi rende molto felice.
Come molti tuoi colleghi sei di recente tornato con un nuovo album, in parte scaturito durante il lockdown forzato dal COVID. Il materiale che ascoltiamo sul nuovo "Gotta Have The Rumble " è nato specificamente per questo album, oppure ci sono brani che avevi nel cassetto da tempo?
Direi 50 e 50, ma devo ammettere che sono stata una delle poche persone al mondo ad aver apprezzato molto il lockdown. La verità è che proprio quando il COVID iniziava a diffondersi più violentemente, io cominciavo a riprendermi dall’acufene che mi ha tormentato per quasi un anno. Si è trattato di un problema che mi ha debilitato e non mi ha permesso di lavorare come avrei voluto. Quando ho iniziato a sentirmi meglio il lockdown è stato imposto un po’ dovunque e così ho avuto davanti agli occhi un’opportunità imperdibile: scrivere un album senza alcun altro pensiero. Di solito quando si lavora ad un album lo si fa con molti altri impegni già fissati sul calendario, questa volta invece non avevo assolutamente niente da fare se non tornare a suonare e scrivere… È stata una sensazione bellissima, a tratti strana, ma molto ispirante, ed i brani sono scaturiti tutti in maniera molto naturale. Sono guarito dai problemi all’orecchio lavorando ad un nuovo album, e credo proprio non avrei potuto chiedere di meglio.
Dopo aver avuto a che fare con un periodo di gravi problemi di udito, è cambiato qualcosa nel modo in cui ti rapporti con i suoni ed il modo in cui li percepisci?
L’acufene è qualcosa di veramente terribile, soprattutto all’inizio. Non influisce soltanto sull’udito ma anche sull’equilibrio, e per quanto mi riguarda mi ha causato continui mal di testa. Nel momento in cui inizia a svanire sembra quasi di sentirsi lentamente liberati da una morsa. Nel momento in cui ho capito che la mia situazione stava migliorando mi sono sentito molto rilassato, ma non vi nego che c’è stato un periodo in cui ho pensato che non sarei più riuscito a suonare la chitarra. Ho passato dei giorni nei quali continuavo a digrignare i denti per il dolore all’orecchio, facevo fatica a parlare al telefono ed ero nervosissimo. Non poter suonare non faceva altro che peggiorare la situazione. Quando i medici mi hanno detto che potevo provare a ricominciare a suonare davanti ad un amplificatore, ho provato ad utilizzare qualche combo dal basso wattaggio, ma c’era qualcosa che non funzionava… Mancava qualcosa.
Così ho tenuto duro, ed ho aspettato di poter finalmente tornare ad usare i miei full-stack. La magia era ancora lì, il rombo di quegli amplificatori sommato alle mie chitarre era quello che mi serviva per superare il tutto in maniera completa. E da quella sensazione è nato anche il titolo dell’album Gotta Have The Rumble . Per me la musica è così: deve avere quel rombo.
In seguito alla guarigione dall’acufene, ti sei trovato a dover cambiare qualcosa del modo in cui sei solito registrare un album?
Inizialmente pensavo che sarei stato costretto a fare le cose in maniera molto diversa, ed invece tutto è tornato pressappoco a quella che considero la normalità. Il modo in cui ascolto la musica è fondamentalmente lo stesso, e penso di poter parlare in ugual maniera per il modo in cui registro. Certamente ora sono molto più attento a come mi rapporto con il volume. Dal vivo utilizzerò delle protezioni e sono curioso di capire come quello potrà cambiare il mio atteggiamento sul palco, ma in generale non ho dovuto apportare modifiche sostanziali al mio setup o al mio modo di suonare.
Che è comunque qualcosa di incredibile, non tutti i tuoi colleghi che hanno sofferto (o soffrono) di acufene possono dire la stessa cosa…
Ne sono consapevole ed infatti posso tranquillamente dirvi che questo nuovo album nasce da uno sconfinato senso di gratitudine nei confronti del mondo per avermi permesso di continuare a fare il mio lavoro. Non è facile descrivere la felicità che ho provato quando ho capito di poter tornare alla mia vita. Il modo migliore di celebrare il tutto è stato ovviamente scrivere e registrare un nuovo album.
Parliamo allora di alcuni dei brani contenuti in "Gotta Have The Rumble". Uno dei nostri preferiti è sicuramente "The Wrong Side Of The Tracks" il quale ha…
Scusatemi se vi interrompo ma voglio sottolineare subito che The Wrong Side Of The Tracks è la mia preferita tra le tracce di questo album, e volete sapere una cosa? In tutte le interviste che ho fatto fino ad ora nessuno l’ha mai nominata! Siete i primi in assoluto e per questo vi ringrazio. Ok, scusatemi: andate avanti! (ride)
Figuriamoci: se Brian Setzer interrompe, noi ascoltiamo…
Ha, buona questa!
Stavamo dicendo che "The Wrong Side Of The Tracks" ci ha colpito particolarmente per quel mood a là “Anthony Quinn e Debra Paget in "The River’s Edge". Può avere senso come descrizione?
Perfetta. Assolutamente perfetta. The Wrong Side Of The Tracks è proprio quello. Si tratta di un brano che ricrea il mood dei film noir degli anni ‘50, che è un genere cinematografico che ho sempre adorato e pertanto ho voluto dare vita ad una sorta di tributo (se così vogliamo chiamarlo). Allo stesso tempo però ho voluto mantenere i piedi saldi per terra, perché volevo che quel brano fosse comunque solidamente ancorato al mio stile ed al rockabilly. Quando finalmente ho ascoltato la traccia con le parti di archi sono rimasto a bocca aperta. Quella che sentite sull’album non è opera di VST, è una vera e propria sezione d’archi registrata in studio. Anche soltanto essere riuscito a combinare le registrazioni di una sezione d’archi a Nashville durante il lockdown è qualcosa che mi rende molto orgoglioso, ma il risultato finale di The Wrong Side Of The Tracks è uno dei momenti più alti di questo nuovo album, perlomeno secondo me.
Per un brano così “descrittivo” come "The Wrong Side Of The Tracks" hai mai dovuto stendere una sorta di copione da seguire?
No, perché - per quanto mi riguarda - la musica viene sempre prima del contenuto “narrativo”. Purtroppo non so scrivere in nessun altro modo, devo sempre avere la musica come base fondante del tutto. Una volta che ho un’idea abbastanza chiara di come si svolgerà la musica, allora posso passare ai testi ed all’arrangiamento. Tutto parte dalla chitarra e spesso da qualche semplice serie di accordi. Per questo brano, nello specifico, inizialmente avevo scritto soltanto la melodia discendente in La minore che caratterizza la seconda sezione del brano e che viene ripresa anche dagli archi. Ho spiegato a Mike Himelstein quello che avevo in mente e gli ho detto che nella mia testa doveva suonare come un brano preso dalla colonna sonora di un film noir. Doveva essere la storia di una ragazza nata nella parte sbagliata della città, e da quell’idea è scaturito anche il titolo del brano The Wrong Side Of The Tracks. Anche scrivere un buon titolo non è semplice, soprattutto quando si tratta di un brano che vuole raccogliere in sé una vera e propria storia da raccontare. Per questo brano devo dire che si sono unite diverse buone coincidenze.
Parliamo di un altro brano: "Rockabilly Banjo". È uno di quei pezzi impossibili da ignorare, soprattutto perché in questo caso siamo di fronte a rockabilly mescolato a bluegrass…
Per qualche motivo tutti vogliono che io suoni il banjo! (ride) Penso sia perché è uno strumento che fa sorridere un po’ chiunque. La verità è che non sono sempre così contento di suonarlo, anzitutto perché non è mai troppo potente... E poi perché non è facile da combinare in un rock show come quello che portiamo dal vivo con il trio. Rockabilly Banjo è un brano che va ad accontentare un po’ quella fetta del mio pubblico. Scherzi a parte, non mi dispiace suonare il banjo di tanto in tanto, ma anche per me è molto difficile. Rockabilly Banjo è un brano ispirato da Glen Campbell. Quelli della mia età cresciuti negli Stati Uniti si ricordano sicuramente il The Glen Campbell Goodtime Hour Show, che era una sorta di varietà musicale. Personalmente adoravo quando Glen Campbell prendeva in mano la chitarra e con la band si divertiva a suonare qualsiasi tipo di genere musicale. L’attitudine dietro Rockabilly Banjo è quella. Non ci sono regole, soltanto molto divertimento.
The Wrong Side Of The Tracks" e "Rockabilly Banjo" sono soltanto due delle tracce di questo nuovo album, nel quale - ancora una volta - hai preso il rockabilly e l’hai plasmato in qualcosa di diverso. La regola definitiva quindi è non porsi alcun limite?
Per me lo è sicuramente. È sempre stato così fin da quando ho iniziato a suonare. Non ho mai visto generi musicali, ma note e accordi. Non ho mai pensato di dover dividere la mia musica in “settori”, ho sempre pensato che l’unione di tutte le cose potesse dare vita ad un quadro più completo. Ovviamente il rockabilly impone alcune regole, ma non mi sono mai sognato di restare forzatamente “dentro le righe”.
È un’attitudine che tanti assocerebbero al punk o comunque a quel tipo di movimento culturale. Non è un caso che con gli Stray Cats tu sia stato accomunato molte volte al punk, non credi?
Assolutamente. Ed è stato anche il motivo per cui, quando abbiamo iniziato, molte persone ci guardavano in maniera molto sospettosa. Quando abbiamo iniziato la gente aveva paura di noi. Non capivano cosa volessimo fare, ed anche la nostra musica era qualcosa che metteva molti a disagio. Tanti si chiedevano se fossimo una tribute band, alcuni addirittura non capivano come potessimo voler fare carriera con quel tipo di musica. La verità è che dietro quello che avevamo in mente c’era soltanto un profondo amore per la tradizione musicale americana, ed infine per la musica in tutte le sue sfumature.
Brian, anche mentre mi preparavo per questa chiacchierata non ho potuto fare a meno di pensare a te come ad uno di quei “connoisseurs” della chitarra e del suono. Lo spettacolo sul palcoscenico, la “parata” che metti in piedi con i tuoi show più mirabolanti sono una cosa, ma alla base di tutto c’è un chitarrista purosangue. Quando penso alla tua musica, penso sì a qualcosa di molto identificabile, ma penso soprattutto a suoni che tante persone definirebbero “autentici”.
Grazie, sono lusingato. È un gran bel complimento.
Domanda a bruciapelo: la ricerca del proprio suono ideale finisce mai?
Forse sì.
Ok, abbiamo bisogno di spiegazioni.
Nella mia vita come musicista ho imparato una cosa: se non suono le mie Gretsch con i miei Fender Bassman, ci sarà sempre qualcosa che non va. Con questo voglio dire che ci sono delle cose che ormai ho dato per “certe” nella mia vita di chitarrista. È sempre bello poter provare nuovi strumenti e cercare nuove chitarre da aggiungere alla mia collezione, ma la ricerca del mio suono è finita quando ho provato a mescolare le carte rispetto all’accoppiata Gretsch-Bassman. Ovviamente la ricerca del proprio suono passa anzitutto dalle mani, dal tocco e dal continuo esercizio… La strumentazione che si finisce per usare è un’amplificazione di ciò che succede sotto le nostre dita.
Hai parlato della tua collezione di chitarre. So che di recente hai venduto un po’ di esemplari tramite Reverb, ma probabilmente hai anche acquisito qualche nuovo “pezzo”...
Lo sapete come funziona, ne vendi una per comprarne due (ride). È la storia di ogni chitarrista. Onestamente in tempi recenti mi sono scoperto sempre più interessato a tutto ciò che ha a che fare con il Gretsch Custom Shop. Si tratta di chitarre così incredibilmente belle da vedere, ma soprattutto si tratta di strumenti performanti e pronti per il palco. Negli anni non ho mai abbandonato le mie “numero 1”, ce ne sono diverse per diverse annate e per diversi modelli... E sono sempre state le protagoniste dei miei album e dei miei show. La verità però è che con gli strumenti che iniziano ad avere una certa età ci si scontra sempre più spesso con problemi di diversa natura. Il Custom Shop Gretsch invece mi permette di avere chitarre stupende e capaci di reggere il ritmo dei tour e degli show. Non è scontato, credetemi. Oltretutto i nuovi modelli del Custom Shop sono realizzati in tiratura limitatissima e guadagneranno molto valore anche sul piano collezionistico. In generale direi che la mia attenzione si è un po’ allontanata dal vintage e si è spostata su chitarre che posso realmente mettere sotto torchio.
Quella del vintage è una questione che spesso confonde molti, non trovi? Tanti di noi si lasciano rapire soprattutto dal fascino delle storie legate allo strumento più che dallo strumento stesso...
Questa è una grande verità, ma non voglio in nessun modo condannare l’acquisto di strumenti vintage. Io per primo ne ho cercati e comprati in tutto il mondo. Il fatto è che quando si tratta di portarli sul palco le cose cambiano. Il fascino del vintage è soprattutto nelle storie e nei ricordi, questo è innegabile. Ci sono molti strumenti d’annata che sono senza dubbio molto più performanti delle loro controparti moderne. Ci sono state annate specifiche nelle quali alcune chitarre hanno beneficiato di una costruzione che le ha rese famose… Ma bisogna sempre ricordarsi che in passato sono stati prodotti tantissimi strumenti orrendi (ride). Il mercato del vintage è così, è un mondo fatto di misteri e di grandissime cantonate... Ma tutti prima o dopo ci passiamo, perché vogliamo quelle chitarre e quegli strumenti che hanno fatto la storia della musica.
Quindi compriamo uno strumento vintage per sentirci parte della storia?
Credo proprio di sì. Pensa che cosa stupenda acquistare una chitarra e magari scoprire successivamente che è stata utilizzata per l’assolo di Be Bop A Lula ! Questo tipo di cose succede di continuo con le chitarre più vecchie, soprattutto se il rivenditore è una persona che sa fare bene il suo lavoro e che sa come documentarsi sugli strumenti che commercia. Direi che acquistare un pezzo di storia così da sentirsene parte è qualcosa che si fa con tutto quello che è “collezionabile”. Ora stiamo parlando di chitarre, ma se mi chiedeste delle mie auto non avreste risposte molto diverse. È un altro tipo di oggetto, ma le motivazioni ed il fascino che inducono all’acquisto sono gli stessi.
Proseguiamo per un attimo con il mondo dei motori, perché nel tuo caso non è slegato da quello della chitarra. Sappiamo tutti molto bene della tua passione per auto di vario genere, ma quella per gli hot-rod probabilmente supera le altre due. Nella cultura hot-rod il tuning e le modifiche sono una componente fondamentale, e la cosa sorprendente è che hai trasferito quello stesso tipo di mentalità anche sulle tue chitarre…
Oh sì, certamente. Ed è un divertimento pazzesco. Tutte le mie chitarre, a partire dalle mie Gretsch 6120 degli anni ‘50 sono modificate. Questo perché il bello di uno strumento, per quanto mi riguarda, è poterlo adattare alle proprie esigenze. Non mi è mai interessato acquistare uno strumento - magari anche una chitarra vintage - e lasciarlo “originale” per il semplice gusto di guardarlo e mantenerlo così come uscito dalla fabbrica. Le chitarre vanno suonate, vanno “sudate” e modificate, a volte vanno anche riparate con rimedi di fortuna... Quello che conta è renderle il più adatte possibile per l’obiettivo finale: la musica.
Una volta parlando con Billy Gibbons scherzavamo sul fatto che ci fossero alcune delle sue chitarre in grado di richiamare in qualche modo alcune auto della sua collezione. Proviamo a girare a te questa domanda…
Wow! Non ci avevo mai pensato. Vediamo un po’... Non sono sicuro ci siano specifiche auto alle quali poter accomunare i miei strumenti, ma se le Gretsch del Custom Shop possono essere auto raffinate e scintillanti, le chitarre che uso con gli Stray Cats sono sicuramente delle hot rod. Le ho modificate così a fondo che non potrebbe essere altrimenti, ed inoltre hanno quel look sempre un po’ vissuto che a me piace tanto quando si parla di hot rod. Oltre a questo direi che la scarica di adrenalina che ricevo quando suono quelle vecchie Gretsch è la stessa che percepisco quando vado in moto. Con le moto c’è qualcosa che ha che fare con il rischio, e quelle Gretsch emanano la stessa sensazione…
Le suoni e devi farle urlare e ruggire, ma sei sempre con l’orecchio teso ad ogni piccola vibrazione del body o del ponte, perché sai bene che qualcosa potrebbe andare storto. Nel 99% dei casi tutto va sempre liscio, ma c’è sempre una piccola percentuale di rischio che in fin dei conti è il sale della vita.
Una parte fondamentale del tuo suono e della tua vita chitarristica è racchiusa nei pickup TV Jones. Ci racconti come è iniziato questo connubio?
Ricordo benissimo di aver iniziato a cercare una Gretsch perché volevo essere come Eddie Cochran. La prima che ho acquistato me l’ha venduta un vicino di casa. Aveva smontato dalla chitarra tutta l’elettronica perché inizialmente aveva pensato di ri-verniciare lo strumento, e così quando l’ho comprata mi ha consegnato pot, meccaniche, manopole e pickup in una scatola per le scarpe. È assurdo pensare che quella prima Gretsch l’ho pagata $100… Ho preso quella chitarra, l’ho ri-assemblata io stesso e la prima volta che l’ho suonata ho sentito esattamente quello che volevo sentire: qualcosa a metà tra una Gibson ed una Fender. Con questo intendo ovviamente dire che i pickup di quella Gretsch suonavano potenti, ma sempre ricchi di medio-alte frequenze, ed avevano un attacco molto più simile a quello di un single coil che a quello di un humbucker. In quel giorno è iniziato il mio viaggio nel mondo Gretsch, e come avete giustamente sottolineato, TV Jones.
Non sei mai stato attratto da altri strumenti come quelli dei brand che hai citato?
Mah, non posso dire di non aver mai voluto una Fender o una Gibson, ma quando suono una Gretsch mi sento a casa. I pickup Fender mi sono sempre risultati un po’ troppo “sottili”, mentre gli humbucker Gibson mi sono sempre sembrati un po’ troppo fangosi per quello che avevo in mente. L’ho capito molto tempo dopo aver comprato quella prima Gretsch. Quando ho avuto abbastanza soldi ho acquistato chitarre di tutti i tipi, Stratocaster, Les Paul, provate a nominarne una ed è probabile che io l’abbia posseduta o che ancora ce l’abbia… Il mio suono è nel corpo e nei pickup di una Gretsch, questo non vuol dire che non apprezzi tutte le altre, ma quando devo essere me stesso al 100% conosco un solo modo per farlo, e questo passa obbligatoriamente per una Gretsch.
Conoscendo il tuo suono, probabilmente non è un azzardo dire che quella definizione e chiarezza tipica dei TV Jones ha giocato un ruolo importantissimo nel catturare la tua attenzione. Anche perché successivamente l’hai fatto diventare un marchio di fabbrica dei tuoi album e dei tuoi show...
Il bello dei TV Jones è che anche quando provi a spingerli oltre il limite, quando provi a farli “deragliare”, restano sempre incredibilmente cristallini e definiti. Si gioca tutto sulle medio-alte frequenze dei pickup e sul corpo vuoto della 6120. Quando suoni una hollow-body davanti ad uno stack ad alto volume puoi sentire chiaramente lo spostamento d’aria che dai coni entra nella buca della chitarra e la fa vibrare da cima a fondo. Quel tipo di sensazione e di feeling che si genera con il suono, ha una componente fisica che non si può ignorare e che non si ritrova con una solid body.
Ricapitolando, Gretsch 6120, pickup TV Jones e stack Fender Bassman ad alto volume… Corretto?
Esatto… E tanta voglia di fare casino, quella non può mai mancare: altrimenti che divertimento c’è?
Brian averti sulla copertina è semplicemente un onore. Siamo felicissimi e ci auguriamo di incontrarti di nuovo in un futuro non troppo lontano, magari faccia a faccia.…
Il piacere è mio. In Italia manco da tanto tempo, anche se ho una figlia che vive a Roma, pertanto non escludo che nel prossimo tour io possa provare ad organizzare qualcosa. Se così sarà, per favore passatemi a salutare perché è stata una gran bella chiacchierata.
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