MARK LETTIERI

di Francesco Sicheri
01 novembre 2024

intervista

Mark Lettieri
Can I Tell You Something?
Nell’odierno panorama chitarristico il nome di Mark Lettieri è sinonimo di playing funk moderno e serrato, ma soprattutto di groove inscalfibile. Dopo aver indugiato per qualche tempo sulla chitarra baritona applicata al funk, Lettieri ha deciso di voler rispolverare un po’ di quelle influenze che aveva messo da parte in favore del ritmo. Can I Tell You Something? è il risultato di quasi due anni di lavoro.

Classe 1984, originario della Bay Area, in molti hanno imparato a conoscere Mark Lettieri per le sue performance con gli Snarky Puppy, ma nel tempo hanno potuto assaporare la potenza del suo groove anche nei Fearless Flyers, e negli album pubblicati all’interno del suo progetto solista. Negli ultimi cinque/sei anni, Lettieri ha vissuto un periodo molto prolifico, non solo grazie ai suoi molteplici progetti artistici ma anche in virtù della partnership con PRS culminata nella realizzazione della sua prima chitarra signature: PRS Fiore.

Can I Tell You Something? è il titolo del nuovo album firmato da Lettieri, una raccolta di brani che mescolano un po’ tutto quello che aveva già dispensato attraverso le varie proiezioni del suo stile. Fra un groove funk ed un riff massiccio, abbiamo parlato con Mark Lettieri del nuovo album...

l'articolo continua...

e dell’evoluzione del suo stile. Questo è quello che ci ha raccontato.

Hey Mark, è un piacere sentirti! Come stai?
Il piacere è mio. Sto bene e sono felice di sentirvi dopo qualche tempo. Al momento sono impegnato nella promozione di Can I Tell You Something, ed è sempre bello poter portare nuova musica a chi mi segue.

A proposito del nuovo album partiamo dal titolo. Qual è stata l'ispirazione dietro Can I Tell You Something? Cosa stai cercando di dirci, Mark?
In realtà è una cosa che mia figlia dice sempre. Ogni volta che sta per raccontare un nuovo fatto o un'idea che ha imparato, lo dice: “Can I Tell You Something?” È fantastico. Per quanto riguarda me e la mia musica, però, è il mio modo di presentarmi a nuovi ascoltatori che magari hanno sentito il mio nome, ma non hanno mai ascoltato la mia musica. Sarebbe un buon primo album da cui partire se non hai mai ascoltato la mia musica. Ed è anche un modo per ri-presentarmi ai vecchi ascoltatori che forse mi vedono solo come il "tipo del funk baritono" - un ruolo che sono felice e grato di assumere, ovviamente - ma mi vedo anche come qualcosa di più. Questo album mostra davvero molti lati del mio linguaggio compositivo e del mio modo di suonare.

Come hai affrontato la scrittura per questo nuovo album? Il processo si è svolto diversamente rispetto al passato?
Non è stato molto diverso rispetto agli album precedenti, no. Durante tutto l'anno, catalogo sempre idee e butto giù delle demo. I piccoli semi delle canzoni vengono sempre piantati lungo il cammino, e quando il mio "serbatoio creativo" è pieno, è il momento di mettere il piede sull'acceleratore e fare un album. Ho scritto gran parte di Can I Tell You Something durante le estati del 2022 e 2023, e l'ho registrato nell'autunno del 2023 e all'inizio del 2024.

Chi ti segue conosce bene anche la tua versatilità, e questo si riflette molto bene anche nel nuovo album. Come affronti la combinazione di influenze diverse? È - in qualche modo - un processo consapevole, oppure è qualcosa che accade completamente a livello subconscio?
Direi che è subconscio, ma non è che non sia consapevole delle mie influenze o da dove viene l'ispirazione. Si tratta più che altro di prendere quelle influenze e filtrarle attraverso la lente di Mark Lettieri, in modo che quello che ne esce suoni come me… qualunque cosa questo voglia dire! [ride]

Come è cambiato il tuo gusto musicale nel corso degli anni? Ci sono nuovi generi, artisti o stili che hanno ispirato il tuo lavoro su Can I Tell You Something?
A dire il vero, questo album è stato più ispirato dal passato che dal presente. Non è che non ci siano nuove band e artisti che mi piacciono, ma mi sono ritrovato ad ascoltare molta musica della fine degli anni '80 e degli anni '90 - pop, rock, R&B principalmente - quando stavo scrivendo. Tutto, da The Tubes e King Crimson a Janet Jackson e Jane Child. Ed è così che è nato!

Il funk è sempre stato un elemento chiave nel tuo modo di suonare. Come continua a definire la tua identità di chitarrista, e come pensi si evolverà nella tua musica futura?
Beh, è sicuramente un genere in cui mi sento a mio agio e con cui mi identifico. C'è così tanto che puoi fare con un buon groove e quello che si definisce “pocket” (ovvero la precisione e compattezza ritmica che sostiene il groove), quindi per me è facile restare ispirato quando suono funk. Ovviamente non lo padroneggi mai del tutto, e mi piace questo tipo di sfida. Da un punto di vista professionale, essere in grado di avere un groove solito e suonare con un buon feeling mi ha tenuto occupato sia come bandleader, sia come produttore per tutti questi anni!

Puoi condividere alcune routine di esercizio che si concentrano sulla tecnica che poi applichi al funk? Come mantieni quella precisione ritmica così serrata?
A dire il vero, non mi esercito mai molto quando si tratta di ritmica funk. Ho semplicemente fatto migliaia di concerti nella mia vita, molti dei quali erano concerti funk, R&B o gospel, e ho imparato sul campo, come si suol dire. Ho anche suonato su una marea di dischi e trascritto le mie parti preferite. Ma il feeling - ciò che fa funzionare il “pocket” - è venuto principalmente da anni di performance dal vivo (e in studio) suonando con musicisti che erano molto più bravi di me. La tecnica si è sviluppata da sola man mano che continuavo a fare concerti, suonare e jam su dischi. Non mi sono mai seduto dicendo “Ok, ora mi eserciterò su questo ritmo in sedicesimi con il metronomo.” Forse avrei dovuto farlo! [ride]

Il funk influisce sulla tua creatività e sulle decisioni musicali quando scrivi, anche se il brano non è strettamente funk?
Assolutamente. E questo perché affinché qualcosa sia funky - per avere un groove solido - deve esserci spazio per farlo “succede”, il che significa fare o suonare molto meno di quanto sei tentato di fare. Il funk riguarda spesso l’essere diretto e conciso, un approccio che può funzionare in diversi generi.

Ci sono state tracce in Can I Tell You Something che ti hanno messo alla prova, sia come compositore, sia come chitarrista?
Direi che Shimmy Tiger è stata la più difficile. Dal punto di vista esecutivo, ha una serie di melodie piuttosto complesse che richiedono molta precisione nei bending, nell'uso della leva del tremolo e in alcune frasi molto difficili da eseguire fluidamente. Sto ancora cercando di sentirmi completamente a mio agio nel suonarla dal vivo. È stato un brano impegnativo anche dal punto di vista compositivo, perché volevo assicurarmi che il ritornello si ripetesse abbastanza da essere interessante e memorabile, ma non troppo da risultare ripetitivo. Ho avuto anche qualche difficoltà con il bridge – che temevo fosse troppo lungo – e ho quasi deciso di eliminarlo nel mix finale. I miei amici mi hanno convinto a lasciarlo, e sono contento di averlo fatto. Senza, la canzone avrebbe perso gran parte dell'arco emotivo.

C'è una particolare tecnica o stile su cui ti sei concentrato per migliorare negli ultimi anni?
In un certo senso, ho lavorato un po' di più sul mio “shredding”. Suonare la chitarra velocemente nel 2024 ha raggiunto livelli di abilità incredibili che non riuscirò mai a raggiungere, ma ogni tanto mi piace alzare il ritmo su una linea con molti legati o in una frase con plettrata alternata. Mi sono concentrato soprattutto su questo negli ultimi anni.

Con tanta abilità tecnica e esperienza, ti trovi mai a cercare la semplicità nel tuo modo di suonare, o stai ancora inseguendo la complessità?
Entrambe le cose, in realtà! Non voglio mai trovarmi in una situazione musicale, che si tratti della mia musica o di quella di qualcun altro, in cui non riesco a cogliere o eseguire il suono o l'approccio necessario. Se la musica richiede qualcosa di aggressivo e complesso, voglio essere in grado di poterlo suonare tanto quanto vorrei essere in grado di suonare qualcosa di semplice e di buon gusto.

E quindi come pensi si sia evoluto il tuo modo di suonare partendo da Deep: The Baritone Sessions a Can I Tell You Something? Cosa è cambiato nel tuo approccio alla chitarra?
Ogni anno miglioro un po’ nella scrittura, soprattutto nella produzione e negli arrangiamenti. Sto sempre imparando come gli strati di un ensemble possono essere utilizzati per supportare la composizione senza distrarla. Mi sento a mio agio nel trattare la chitarra prima di tutto come uno strumento compositivo e poi come uno strumento musicale, se ha senso. Il mio obiettivo è semplicemente fare la migliore musica possibile, utilizzando la chitarra come la mia voce principale, ovviamente.

Molti dei tuoi fan hanno apprezzato il tuo lavoro sulle chitarre baritone in Deep: The Baritone Sessions, e anche se è ancora molto presente in Can I Tell You Something, il nuovo album presenta più tracce e materiale per chitarra "standard". È stata una decisione consapevole quella di tornare un po' di più alle accordature "canoniche" per chitarra?
In un certo senso sì. Come accennavo prima, anche se amo la chitarra baritona e il modo in cui si adatta al mio profilo artistico, sento di avere una voce anche sulla chitarra normale. Da qui il titolo dell'album. Ma spero che canzoni come Saturday Stuff e Neural Net soddisfino i fan del mio lato funk, della chitarra baritona e delle basse frequenze. [ride] Ho intenzione di continuare a fare musica che si muove in entrambi i mondi, e spero che i miei ascoltatori siano interessati a seguirmi in questo viaggio. Sono grato che mi permettano di fare quello che voglio, con o senza accordatura standard. [ride]

Come hai detto anche tu, la chitarra baritona è diventata una parte distintiva del tuo suono. Come hai iniziato a suonare la baritona e qual è stato il punto di svolta che l'ha resa un elemento chiave nella tua musica?
Ho avuto un po' di esperienza con le baritone per anni, a partire dagli Snarky Puppy e in alcuni lavori in studio che avevo fatto. L'idea di iniziare a fare musica basata sul groove con una baritona è nata in modo organico. Nel 2015 stavo lavorando a una canzone per gli Snarky Puppy, che poi è diventata Jefe, una traccia bonus dell'album Culcha Vulcha, e ho letteralmente deciso d'istinto di provarla su una baritona invece che su una chitarra standard. Potrei dire che quella è stata la prima canzone “funk per baritona” che ho scritto.

C’è un modo in cui la chitarra baritona ha specificamente cambiato il tuo approccio alla composizione e agli arrangiamenti?
Vedo la chitarra baritona come una macchina da groove. Il contenuto melodico in quelle canzoni degli album Deep esiste nei riff e nelle progressioni di accordi, non tanto come frasi melodiche “tradizionali” che potresti suonare su una chitarra standard. La bellezza della baritona sta nelle basse frequenze, quindi se ti allontani troppo da quello e la tratti come una chitarra standard, perdi l'identità dello strumento. Mi piace esplorare quelle basse frequenze e come possono guidare un groove.

Trovi che la baritona influenzi anche il tuo fraseggio in modi diversi rispetto alla chitarra standard? Come adatti la tua tecnica tra i due strumenti?
Sicuramente. Su una baritona raramente faccio assoli. Per me è più uno strumento ritmico. Ogni tanto con i Fearless Flyers, oppure con il mio gruppo solista, mi prendo qualche spazio solistico anche con la baritona ma sicuramente non suono degli assoli nello stesso modo in cui li farei con la mia PRS Fiore, per esempio. Con una baritona sono portato a pensare a degli assoli che siano prima di tutto interessanti dal punto di vista ritmico, più che melodico. È come fare rap rispetto a cantare, se questo accostamento può avere senso. [ride]

Hai nominato gli Snarky Puppy e i The Fearless Flyers. In che modo il tuo processo creativo cambia quando scrivi o registri per i tuoi progetti solisti rispetto a quando sei parte di un gruppo?
Direi che gli Snarky Puppy sono il gruppo più impegnativo per me, come compositore, perché ci sono tanti elementi in movimento. È facile cadere nella tentazione di “sovra-comporre” le canzoni perché ci sono tanti strumenti nell’ensemble che potresti utilizzare. I Flyers sono sicuramente un contesto più compartimentato, nel senso che abbiamo quasi deliberatamente imposto dei limiti rispetto a quanto vogliamo spingere la musica. C'è un suono molto definito che cerchiamo ogni volta. La mia musica solista è un po' a metà strada tra i due, suppongo. Anche se non sempre mi piace essere il leader, è comunque bello poter scrivere ciò che voglio e avere uno spazio per esprimersi come artista.

Cosa ti entusiasma di più riguardo al futuro della musica per chitarra e al tuo percorso come chitarrista? Hai nuove direzioni che ti piacerebbe esplorare dopo Can I Tell You Something?
Beh, colgo l'occasione per dire quanto sono grato di avere ascoltatori interessati a ciò che farò dopo! Ho in programma di fare un Deep: Vol. 3 nel prossimo futuro, ma ad un certo punto mi piacerebbe realizzare un album con delle voci. Non sarò io a cantare, però! Probabilmente con un unico cantante per l'intero progetto - come un album orientato al rock - oppure una raccolta di diversi stili vocali con cui collaborare e scrivere. Tutto, dal gospel al prog-metal... chissà.

Parliamo di strumentazione! Che ne dici?
Certo che si!

Quali chitarre e amplificatori hai usato durante la registrazione di Can I Tell You Something?
Ho usato principalmente la mia PRS Fiore su quasi tutto! È davvero una chitarra super versatile. Ho usato anche la mia Collings I35 e la mia vecchia e fidata Grosh NOS Retro per un assolo. Le acustiche le ho registrate tutte con una Martin M36. Le tracce di chitarra baritona, invece, le ho registrate con la mia PRS 277, la Bacci Leonardo, una Fender Bass VI e una Danelectro ‘56 Reissue. Per gli amplificatori, ho usato principalmente una varietà di testate reali collegate al mio Suhr Reactive Load IR. Ho usato molte testate: un Fender Bassman del ‘62, un Fender Concert del ‘83, un Naylor Duel 60, un Pure64 Mean Street, un PRS HDRX 50 e un Supro Statesman. Ho usato un Kemper e alcuni plugin di Neural DSP in alcune parti. E molti pedali!

Vuoi citarne almeno alcuni?
Ho usato gli overdrive di J. Rockett Audio per la maggior parte degli assoli e delle melodie, e con questo intendo pedali come The Dude e Melody Drive. Ho usato alcuni pedali octave e pitchshifter di Boss, MXR e TC Electronic, ed inoltre ho usato un fuzz funky chiamato Apeiron di Ratin Effects, che insieme al canale drive del Naylor hanno fatto i suoni delle ritmiche in Shimmy Tiger. Ho usato anche un profilo Kemper di un amplificatore Rockman nella canzone Canyon Run, e alcuni plugin divertenti di Logic X. In effetti, le melodie e i toni principali in Blankword sono un suono di chitarra stock di Logic X che ho modificato a mio gusto!

Ci sono stati elementi della strumentazione che hai utilizzato su questo album e che non avevi usato in progetti precedenti?
Il Suhr Reactive Load IR è stato davvero rivoluzionario. Ce l'avevo da un po', ma non l'avevo mai esplorato a fondo. Ho molti ottimi amplificatori e volevo usarli, ma dato che avrei registrato tutte le parti di chitarra dal mio studio di casa, non volevo affrontare il problema di microfonare diversi cabinet e gestire volumi alti. Il Suhr ha risolto quel problema, suona incredibilmente bene ed è facilissimo da usare!

Il tuo approccio alla creazione del suono in studio rispetto alle performance dal vivo è cambiato nel corso degli anni?
Onestamente, non molto. Sono ancora un chitarrista che preferisce “pedali in un amplificatore clean”, sia dal vivo che in studio. Ho usato giusto un paio degli amplificatori con un suono drive di base, principalmente il Naylor e il Concert. Mi sono anche divertito a usare il chorus. Ce n'è parecchio nel disco, anche se magari lo percepisci più che sentirlo davvero. Come ho detto, ascoltavo molta musica della fine degli anni '80/primi anni '90 mentre scrivevo.

Mark, è stato un piacere fare due chiacchiere con te. Ci sarà la possibilità di vederti dal vivo in Italia in futuro?
Assolutamente! Il Mark Lettieri Group sarà lì a metà marzo. Milano e Firenze, credo. Annunceremo presto il tour. Spero di vedervi numerosi.

Non mancheremo! Nel frattempo in bocca al lupo per tutto.
Anche a voi! A presto.



Podcast

Album del mese

Dave Lory
Jeff Buckley
Il castello editore

Da Hallelujah A The Last Goodbye di Dave Lory è il titolo della biografia dedicata a Jeff Buckley, in uscita per la prima volta in...