Ciao Lemmy!
Ian “Lemmy” Kilmister
Lemmy ci ha lasciato. E purtroppo non è stata una notizia inattesa, considerando lo stato di salute del leader dei Motörhead in questi ultimi anni. Un pezzo di musica rock scompare per sempre; quel pezzo a cui Lemmy dava il volto e l’iconografia, anche se è errato dire che “il rock muore con lui”, come si è sentito e letto in questi giorni con un certo grado di esagerazione.
Probabilmente con Lemmy scompare un certo concetto di rock, anche se di questo concetto non se ne trovano più tante tracce in giro da diversi anni. È quello del rock che viene “dal basso”, ovvero da artisti e band prive di qualsiasi mezzo economico e nate solo dalla passione per la musica dei propri membri. La scomparsa delle grandi etichette discografiche capaci di investire nella a dell’underground ha determinato un processo inverso. Da un lato le band che investono in proprio (e molto) e dall’altro mega-progetti studiati a tavolino in ogni minimo dettaglio e mandati al fronte dei talent-show senza alcuna possibilità creativa autonoma. Lemmy rappresentava una spontaneità quasi “rurale”...
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del rock che non esiste più.
Nato il 24 dicembre 1945 a Stoke-on-Trent (Gran Bretagna) e scomparso il 28 dicembre 2015 a Los Angeles (California), Lemmy era un libro aperto. Ha raccontato più volte la sua vita perché essa stessa era il grande spettacolo dei Motörhead. Più che nella sua autobiografia ufficiale [La Sottile Linea Bianca] il Lemmy più scoppiettante e vero lo si può trovare nel libro di Henry Shaw: Parola di Lemmy (Lemmy In His Own Words, 2002), una raccolta di frasi celebri e dichiarazioni che viaggiano tra il molto serio e il molto faceto e che dipingono il quadro più interessante del personaggio e anche della sua epoca. Attraverso le sue fulminanti battute, Lemmy racconta di sé e del suo mondo in maniera molto più completa di qualsiasi biografia. Forse senza accorgersene, diventa uno di quei creatori di aforismi che narrano il proprio tempo, sullo stesso piano di celebri polemisti del passato come Kark Kraus e François De La Rochefoucauld.
Proprio da questo campionario di aforismi e dichiarazioni irriverenti, vogliamo attingere per ricordare Lemmy sotto una luce particolare. Di lui – soprattutto in quest'ultimo periodo – è stato detto tutto e il contrario di tutto. Noi vogliamo ricordarlo per un aspetto che spesso viene messo in secondo piano dalla sua straripante personalità: la spinta verso il quattro corde fornita a una vasta schiera di giovani rocker.
Insieme a Steve Harris degli Iron Maiden, infatti, Lemmy è stato il più grande divulgatore del basso rock e heavy metal. Se il basso non è stato relegato a strumento di contorno nell’estetica del metal e nell’immaginario dei giovani rocker, lo si deve proprio a Lemmy e ad Harris. Lemmy, però, ha messo sul piatto della bilancia anche il suo gigantesco carisma iconografico, ponendo il basso al centro della scena e attirando verso lo strumento decine di migliaia di adepti.
Ha divulgato una nuova strada del rock bass playing, adottando un approccio prettamente chitarristico e collegando al suo basso numerosi effetti, primo fra tutti il distorsore. Cio' ha innnescato una vera e propria rivoluzione per le formazioni rock a tre, al punto da essere diventato un setup abituale anche per band come i Muse, lontanissimi dal verbo sonoro dei Motörhead.
Gran parte del suo approccio bassistico, Lemmy lo ha sviluppato negli anni di militanza con gli Hawkwind (dal 1970 al 1975) dove viene chiamato a rimpiazzare un chitarrista, mentre si trova invece a suonare il basso. Proprio il fatto di non averlo mai suonato prima, non e' un limite per il musicista britannico, ma un motivo di sfida: una di quelle occasioni in cui partire da zero può essere di grande aiuto nello scovare vie insolite e nuove. Quello che Lemmy fa, infatti, e' traghettare sul basso ciò che ha appreso negli anni in cui faceva il roadie per Jimi Hendrix: stoppati, accordi “pieni” e l’uso costante del plettro, forniscono al suono degli Hawkwind quella spinta in più che caratterizza il periodo migliore della band. “Ho imparato a suonare il basso – raccontava lui stesso – mentre ero sul palco con gli Hawkwind, poiché non lo avevo mai suonato in vita mia. Conoscevo il loro chitarrista, Huw Lloyd-Langton; poi accadde che si prese otto pastiglie di acido e sparì per cinque anni. Così mi proposero di sostituirlo. A loro piaceva l’idea di avere un tossico da anfetamine come me nel gruppo, però poi saltò fuori che non avevano bisogno di un chitarrista perché Dave Brock era passato alla solista, per cui ero fottuto. Ma il nuovo bassista non si fece mai vedere, quindi chiesero a me di suonare il basso. Andai sul palco con questo Rickenbacker attorno al collo che il vecchio bassista aveva lasciato nel furgone, come un perfetto idiota. E iniziai ad imparare così...”
Proprio questo suo essere ”bassista per caso” fa sì che Lemmy abbia l’ingenuità di provare soluzioni bizzarre che lasciano di stucco i suoi contemporanei. Come, ad esempio, collegare il basso ad amplificatori per chitarra; e non in modo casuale, ma con una sua ferrea logica, che nel passato lo porta a diversi scontri con Jim Marshall.
“Se suono con degli amplificatori per chitarra? Ho usato per 5 anni i JCM800 ma poi li ho abbandonati perché non mi piacciono più. Ora uso i Marshall Super Bass II JMP. Jim Marshall me ne ha mandati un paio gratis, ma li ho rimessi nelle scatole e glieli ho rimandati indietro….”
Con l’inizio dell’avventura Motörhead, il suo bass playing si trasforma in pochissimo tempo in un marchio di fabbrica e nel seme iniziale di tutta una schiera di musicisti heavy, travalicando sottogeneri e generazioni. Dai Metallica ai Rammstein, tutti debbono qualcosa a Lemmy in termini di ritmica, con le note “frustate” e quel suono distorto che ne amplifica il potenziale energetico. Il suo Rickenbacker diviene il simbolo di questo approccio, quasi un’arma non convenzionale per poter reggere tale urto sonoro. “Il Rickenbacker con cui ho iniziato era un modello veramente vecchio su cui era stato montato un pickup del Gibson Thunderbird. Sostanzialmente è il basso che ho usato sempre. È un mostro impressionante, con un suono incredibile. Una volta possedevo un vero Thunderbird ma mi hanno fregato pure quello... non ho mai avuto molta fortuna in questo senso. E’ un vecchio Rickenbacker mono, non il 4001 Stereo, anche se ho avuto pure un paio di quelli. L’ho trattato in modo rude, eppure funziona sempre: meglio di prima...”
Questo tipo di suono entra nell’immaginario (e nel background) di un’enormità di musicisti nel 1980, con quel Ace Of Spades il cui riff di basso iniziale diventa una sorta di comandamento laico per i musicisti metal in erba (destino beffardo per uno che ha sempre dichiarato di fare solo rock ‘n roll, anzi, “blues molto veloce”). Rielaborato e rimasticato in decine di versioni diverse, Ace Of Spades è il vero punto d’inizio del thrash metal e il massimo punto di congiunzione tra le sonorità del punk e quelle del vecchio hard rock. Ma Lemmy aggiunge anche un altro tassello a questo imprescindibile mosaico. Nel 1986, con la ritmica martellante di Orgasmatron indica la strada al groove metal e al nù degli anni Novanta e successivi. “Non ho mai usato i tappi per le orecchie. Come pretendi che il tuo pubblico sopporti qualcosa che tu non sei in grado di reggere?”
I Motorhead si vantano di suonare più forte di chiunque altro, ma non si tratta di rumore: anzi, tutto mantiene dosi di melodia sconosciute a moltissime band metal moderne. “Everything louder than everything else” è il motto dei Motorhead, nonché il titolo di un loro celebre album live del 1999. Più forti, più rumorosi e più veloci... e il bello è che non è neanche vero! Lemmy era un musicista di gran gusto, capace di dare l’impressione di essere “rumoroso” ma fornendo invece ad ogni brano una solidissima base di classico blues rock ed una linea melodica vocale sempre ben tracciabile. Con Lemmy se ne va proprio questa capacità di restare in perenne equilibrio tra opposti sonori e di rendere tutto estremamente coerente: caratteristica apprezzabile da chiunque.
Per questo motivo la sua scomparsa viene oggi pianta e ricordata da tutti, nessuno escluso.
La veglia funebre dello scorso 9 gennaio 2016 è avvenuta presso il Rainbow Bar & Grill che Lemmy frequentava e l’intero Sunset Strip di Hollywood è stato chiuso al traffico in tutta la sua lunghezza per ospitare le migliaia di persone accorse per rendergli l’ultimo omaggio. Addio Lemmy, ci mancherai.
“Non voglio vivere 'per sempre'... è un tempo troppo lungo. Credo che chiunque ne sarebbe stufo marcio, persino io! A dire il vero, mi piacerebbe morire l’anno prima di ‘per sempre’. Per evitare la ressa...”
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