JOHN PETRUCCI "La musica dei DT è molto libera, ma ha dei canoni che ci piace rispettare..."
intervista
Ciao John, come stai? La situazione a New York non è stata esattamente semplice durante i mesi passati, come vanno le cose al momento?
Hey ragazzi, grazie per avermelo chiesto. Io sto bene, la mia famiglia sta bene e anche durante i momenti peggiori tutto è andato per il meglio per le persone a cui voglio bene. Mi ritengo molto fortunato perché - come avete giustamente ricordato - le cose nell’area di NYC sono state molto difficili. Sembra che ora sia tutto tornato in uno stato che definirei “controllabile”. New York, malgrado quello che si potrebbe pensare, ha reagito molto meglio di tante altre città.
Come è andato il periodo di quarantena? Hai sfruttato questo inaspettato tempo libero per lavorare principalmente sul nuovo album?
Indubbiamente Terminal Velocity ha preso molto del mio tempo, questo è certo, direi che tra marzo e maggio si è svolta la maggior parte dei lavori che hanno poi portato al completamento di ciò che...
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avevo in mente, però in generale sono anche felicissimo di aver speso moltissimo tempo con la mia famiglia. Tutti i miei figli sono tornati a casa perché i loro rispettivi luoghi di lavoro sono stati chiusi a causa del lockdown, e così tutto si è trasformato in una rinnovata possibilità di recuperare del tempo che solitamente non abbiamo. Per quanto orribile sia stato vedere il mondo fermarsi con molte persone senza capacità di guadagnarsi da vivere, sono stato capace di sfruttare lo stop nel modo migliore possibile… per fronteggiare la mancanza di carta igienica nei negozi (ride).
Missione non semplicissima…
Assolutamente (ride).
Anche pubblicare un nuovo album, un attesissimo nuovo album nel tuo caso, durante una pandemia e durante lo stop completo del settore musicale non è propriamente la missione più semplice da portare a termine, neanche per un musicista con esperienza come te.
Questo è vero, ci pensavo proprio l’altro giorno. Nessuno avrebbe mai immaginato di dover - un giorno - pubblicare un album in condizioni simili a quelle attuali. Durante tutta la mia carriera non ho mai sperimentato nulla di simile, e pertanto sto cercando di adattare anche il mio modo di concepire la pubblicazione di Terminal Velocity in virtù di ciò che mi è concesso fare. Tutto è molto incerto al momento, e quindi adattarsi è qualcosa di fondamentale. Molti miei colleghi hanno incrementato la loro presenza sui social con sessioni live in streaming e interviste, e quello è sicuramente un modo per affrontare la situazione attuale. Per quanto mi riguarda ho deciso di prendere il blocco degli show dal vivo nell’unico modo che conosco, ovvero tornando sul mio strumento per scrivere musica. Sono una persona creativa, e scrivere musica è ciò che so fare meglio, quando ci si ritrova in una situazione nuova e difficile da comprendere a volte è utile tornare a fare ciò che si conosce meglio.
"Terminal Velocity" ha iniziato a prendere forma prima del diffondersi del COVID, cosa ti ha fatto decidere che il momento giusto per un nuovo album solista era arrivato?
Anzitutto direi che in parte sono stato obbligato a pensare di scrivere questo album, perché in ogni intervista fatta nel corso degli ultimi anni mi è stato ricordato innumerevoli volte di quanto tempo fosse passato dal mio primo album solista (ride). Suspended Animation, che è uscito ormai quindici anni fa, è nato perché precedentemente mi era stato chiesto di prendere parte al G3, ma in quel momento non avevo dei brani tutti miei da poter suonare. Ho scritto dei brani per il G3 e successivamente sono diventati Suspended Animation. Dopo il 2001 ho continuato a scrivere nuovi brani e nuova musica, che però non ho mai avuto modo di pubblicare. Visto che negli ultimi anni mi è stato ricordato su base quotidiana di quanto tempo fosse passato dall’uscita di Suspended Animation ho deciso che era arrivato il momento di rimettersi al lavoro.
Quindici anni di attesa non sono stati facili da sopportare per i tuoi fan...
Ne sono consapevole, però c’è da dire che non sono stati quindici anni di silenzio totale, con i Dream Theater abbiamo fatto più di qualche cosa per non farli annoiare (ride). Scherzi a parte, credetemi quando dico che pubblicare un nuovo lavoro solista è sempre stato nella mia mente, il fatto è che non è semplice trovare il giusto tempo per fermare tutti gli altri impegni così da concentrarsi esclusivamente su questo tipo di progetti. Un album solista, perlomeno per me, richiede energie molto particolari e soprattutto richiede una certa concentrazione, sia sul piano creativo, sia su quello del succedersi delle sessioni di lavoro.
Pensi che la pandemia e il lockdown abbiano in qualche modo influenzato il modo in cui hai lavorato sui brani che poi sono finiti in "Terminal Velocity"?
Non ne sono sicuro. Il mio modo di lavorare è stato tale da fare sì che entrare in studio di registrazione fosse come entrare in un mondo separato. Cinque giorni su sette mi sono chiuso in studio con il mio ingegnere del suono e chiudendo la porta ho fondamentalmente chiuso fuori dallo studio anche tutto ciò che era all’esterno. Indubbiamente una pandemia si fa sentire un po’ di più di qualsiasi altro tipo di evento, ma una volta entrato in studio avevo in mente soltanto il lavorare sui miei brani. Per un certo verso è stata anche una fuga da ciò che stava succedendo, e soprattutto quando ho iniziato a lavorare sui brani di Terminal Velocity non volevo in alcun modo convogliare negatività nella mia musica. Cerco sempre di scrivere album diversificati e carichi di energia positiva e propositiva, e così è andata anche per questo nuovo lavoro.
Con due album da solista in una carriera così lunga sembra abbastanza chiaro che il tuo lavoro fuori dai Dream Theater sia qualcosa di specificamente separato da tutto il resto della tua attività. Pensi ci siano aspetti che devi “accendere” di volta in volta nella tua mente quando vuoi lavorare su del materiale non pensato per i Dream Theater o che non presenteresti mai ai DT?
Bella domanda. Credo proprio di sì, perché con i DT tutto è più vasto, basta guardare anche soltanto all’orchestrazione dei brani… Ci sono così tanti elementi che sarebbe davvero difficile ragionare sui brani dei miei album solisti alla stessa maniera. La musica di Terminal Velocity è pensata per un trio, e pertanto ciò che ho dovuto assolutamente incanalare nella scrittura è stato una sorta di “senso di responsabilità” per quanto riguarda il ruolo della chitarra. Oltre a ciò l’altra grande particolarità del lavorare su musica che sia mia e non pensata per i Dream Theater, è quella del ricordarmi di lasciare andare ogni tipo di barriera musicale, perché con la mia musica mi piace spaziare in ogni genere ed in ogni stile accessibile. Non ci sono limiti, non ci sono obblighi se non quello di fare tutto ciò che il mio percorso creativo mi porta a ottenere.
Credi che con i Dream Theater non ci sia spazio per lo stesso tipo di diversità sonora?
Penso di sì e credo che sia corretto. La musica dei DT è molto libera, ma ha dei canoni che ci piace rispettare e che nel tempo hanno costruito la fortuna del gruppo. La mia musica come solista sono pensati anche per consentirmi di esplorare ciò che come chitarrista e musicista non sono in grado di portare nei Dream Theater.
Sicuramente la varietà espressiva, i cambi di rotta repentini, così come lo spaziare anche drasticamente tra scansioni ritmiche diverse e landscape sonori diversi, sono caratteristiche prominenti di "Terminal Velocity". Come si costruisce un quadro così stratificato?
Credo sia davvero difficile rispondere. Perché il mio modo di lavorare è molto meno organizzato di quanto possa sembrare, in particolare il processo che mi porta a sviluppare una composizione anche molto estesa e variegata non è così “rigoroso” come il risultato finale porta a immaginare. Ciò che posso dire con sicurezza è che man mano che alcune idee iniziali prendono forma, nella mia testa si costruisce una sorta di quadro generale di ciò che vorrei poter ascoltare al termine dei lavori. Una sorta di stella da seguire... Quell’idea organica e in continua evoluzione diventa la mia “traccia”. A proposito di tracce penso che ciò che arriva infine a dare corpo e struttura ad un lavoro molto stratificato come questo è la comprensione dell’ordine con cui voglio far ascoltare i brani.
Intendi dire che la “tracklist” ha un ruolo importante nella lavorazione dell’album?
Esattamente. La scaletta, se così vogliamo chiamarla, nasce nella mia testa quando i brani non sono ancora finiti, alle volte sono ancora in forma embrionale. Però per me è fondamentale sapere “cosa viene prima e cosa viene dopo”, mi dà quel senso di organizzazione basilare che mi permette di costruire sulle prime idee.
Da molti - oggigiorno - potrebbe essere considerato un approccio “vecchia scuola”, non trovi?
Oh sì, assolutamente. Per il modo in cui la musica è pubblicata e fruita oggi l’ordine dei brani in un album conta poco o niente, ma dopo aver lavorato 35 anni con la stessa band per me è imprescindibile guardare all’album come ad un’unione di elementi che devono avere un certo ritmo ed una specifica successione. Forse è qualcosa che viene anche dalla mia età e dal periodo in cui sono cresciuto, ma non saprei lavorare in altro modo ad un mio album o ad un album dei DT.
Una delle cose che ha subito catturato l’attenzione dei tuoi fan quando hai annunciato la pubblicazione di "Terminal Velocity" è stata sicuramente la presenza del tuo vecchio amico e compagno di gruppo, Mike Portnoy. Un regalo che probabilmente farà dimenticare la lunga attesa!
Ci conto anche io (ride). Avere Mike a bordo di questo progetto è stato qualcosa che ha dato una spinta ulteriore alla mia voglia di lavorare sodo e di dare il meglio. La sua presenza dietro la batteria è qualcosa di molto importante per me, e credo che abbia fatto un lavoro incredibile nel guidare i brani attraverso i tanti cambi di stile richiesti. Sul piano tecnico la musica scritta per Terminal Velocity ha rappresentato una sfida per me, e sono felice di averla portata avanti insieme a Mike che, come sempre, non si è tirato indietro anche quando gli ho chiesto di uscire dalla sua comfort zone. Un nuovo album solista con Mike alla batteria è qualcosa di molto, molto, importante, e soprattutto è qualcosa che mi rende felice oltre ogni modo.
Ovviamente la presenza di Mike in questo progetto ha subito dato il via a speculazioni di ogni tipo riguardo il suo coinvolgimento in ben altri progetti, ma noi lasceremo cadere tutto qui. Cosa ne dici?
Penso sia esattamente la cosa da fare (ride). Non voglio assolutamente dare adito a nulla e non voglio nemmeno polemizzare contro chi ha ipotizzato di un suo rientro nei DT. Terminal Velocity è il progetto nel quale Mike è coinvolto, ed i Dream Theater hanno già un ottimo batterista. Questa è la verità dei fatti ad oggi.
"Terminal Velocity", così come il suo predecessore, è un album strumentale, e questo implica una verità abbastanza ovvia ma non scontata: comunicare senza parole. Come si avvia una comunicazione musicale e quanto è cambiato il tuo modo di costruire una frase musicale che sappia esprimere un concetto nel corso della tua carriera?
Penso onestamente sia una delle domande più interessanti e più difficili che mi abbiano mai fatto (ride). Per me tutto parte dalla melodia, credo sia una risposta molto scontata, ma il fatto è che per quanto mi riguarda una melodia è capace di “guidare” tutto il resto, cosa che invece non avviene se io partissi da una sezione ritmica. Credo che la chitarra elettrica sia cresciuta molto nel tempo sul piano dell’espressività, e penso che su questo frangente Terminal Velocity mi abbia permesso di compiere un salto abbastanza importante rispetto a Suspended Animation. Il mio playing oggi gode di un’espressività che anni fa non potevo pensare di sfoggiare, e credo che le costruzioni melodiche di questo nuovo album siano una buona dimostrazione di tale lavoro. Malgrado mi piaccia sempre molto darmi da fare con qualche sezione molto veloce, con cambi di tempo repentini, o con qualche idea solistica che potrebbe essere inusuale, ciò che mi dà sempre il maggior grado di soddisfazione, è saper tirare fuori una melodia dal senso compiuto e dalla componente espressiva molto prominente. Quando un brano canta, anche senza utilizzare parole, allora capisco di essere sulla strada giusta. Fino a che una melodia non riesce a cantare da sola, senza l’ausilio di altri orpelli estetici, so che devo continuare a lavorarci… Spero di aver espresso bene il concetto.
Assolutamente sì. E proprio a questo riguardo quanto sono cambiati i brani rispetto alle prime bozze? Quanto è profondo il lavoro di affinamento su delle idee inizialmente considerate vincenti?
Molto profondo direi. Sono capace di buttare via quasi tutto nel caso io mi accorga che il brano non riesce a svolgere il suo ruolo. Una delle discriminanti è proprio la melodia ed il suo ruolo nel brano. Una delle tracce che mi ha sorpreso maggiormente per il modo in cui è risultata alla fine dei lavori, è sicuramente Gemini. Si tratta di un brano scritto tantissimo tempo fa, una traccia che - paradossalmente - avevo scritto per non essere un brano ma una backing track per le mie demo durante le clinic. Riuscire a trasformare Gemini in un’opera compiuta è un risultato fra i più soddisfacenti della mia attività recente.
Quanto di "Gemini" era già pronto prima di iniziare a lavorarci concretamente?
Molto ed allo stesso tempo niente (ride). Con questo intendo dire che nel momento in cui ho pensato di inserirla nei brani di Terminal Velocity mi sono accorto di non aver mai registrato alcuna demo… Tutto ciò che avevo era su un sequencer che ora non ho più, o perlomeno - se ancora è da qualche parte qui a casa - non so dove sia. Così per mettere nero su bianco Gemini ho dovuto cercare, anche su YouTube, registrazioni di persone che hanno partecipato alle mie clinic ad inizio anni ‘90. A partire da quelle ho ricostruito il brano e solo successivamente ho potuto iniziare il processo di affinamento e di aggiunta di nuove idee. Con il senno di poi posso dire che è stato qualcosa di molto divertente, anche se in principio mi ha fatto un po’ penare.
John, con "Terminal Velocity" assistiamo ad una nuova concretizzazione di una missione, o meglio forse una ricerca, sonora che porti avanti da più di trent’anni. A quale punto sei nel tuo percorso di chitarrista e quale fotografia possiamo fare oggi del mondo sonoro che stai costruendo e arricchendo?
Adoro il fatto che l’abbiate chiamata “missione sonora”, perché il nome della mia società è proprio Tone Mission, e penso racchiuda bene ciò che faccio nella vita con la mia chitarra e con la mia musica. Ogni chitarrista ha in mente quel suono e quel “timbro” che continuerà a rincorrere per il resto della sua vita, e per quanto so bene che Terminal Velocity compie un ulteriore passo verso l’obiettivo, so altrettanto bene che c’è molto lavoro da fare. Non so descrivere ciò che sto rincorrendo, e forse penso non stia neanche a me farlo, credo sia meglio lasciare ai posteri il difficile compito. Quello che so per certo è che negli anni ho potuto sviluppare degli “strumenti”, e con questo intendo dei veri e propri attrezzi del mestiere, che mi hanno permesso di andare avanti in questo viaggio accompagnato da alcune fra le più importanti menti dietro la costruzione del suono. Mesa Boogie, Ernie Ball, Music Man, Dunlop… Stiamo parlando di brand che sono al top della gerarchia sonora (ride). Il mio setup non è cambiato radicalmente di recente e potrei stare qui a dirvi cosa ho utilizzato per Terminal Velocity ma tanto lo potete già immaginare da soli. Il mio setup è ormai molto stabile, ciò che cambia di continuo è il mio approccio alla strumentazione che uso ed il continuo lavoro di perfezionamento che porto avanti proprio insieme ai nomi che ho appena citato. Stiamo parlando di un lavoro sul dettaglio, di un continuo perfezionamento dell’elemento apparentemente più insignificante. La fotografia del momento è quella di un suono rotondo, grosso, potente, ma sempre molto espressivo, e domani continuerò a volerlo perfezionare, così come il giorno seguente e quello seguente ancora.
L’obiettivo è davvero il viaggio stesso, quindi?
Sicuramente sì, e sono orgoglioso di aver potuto condividere il mio viaggio anche con molte persone che sono state in grado di acquistare degli strumenti nei quali ho infuso tutta la mia esperienza.
Grazie John, speriamo di risentirti presto. Magari non aspettiamo altri 15 anni per un terzo album…
Proverò a essere più rapido, ma non faccio promesse (ride). Nel frattempo speriamo di rivederci presto dal vivo!
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