Rick Springfield, è uscito il video di "The Voodoo House"

di Redazione
08 maggio 2018
Compositore, chitarrista, vocalist, attore, nonché vincitore nel 1981 di un Grammy Award come Best Male Rock Vocal Performance, Rick Springfield (classe 1949) non necessita di presentazioni: il suo “The Snake King”, uscito a fine gennaio 2018 (Frontiers Records), ribadisce infatti la caratura del celebre artista l’australiano.

Oggi Springfield imbraccia la sua resofonica marchiata Luna, indossa lo slider sull’anulare, afferra il microfono e propone “The Voodoo House”, brano dalle fresche sonorità country/blues e una melodia semplice ed accattivante.

“The Snake King”, ventesimo album di Rick Springfield, è uscito il 28 gennaio 2018 per Frontiers Records.
www.frontiers.it

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Dopo l’addio agli Zoot, popolare band australiana di fine anni Sessanta, Rick Springfield intraprende la carriera solista con "Speak to the Sky". Nel frattempo matura anche la passione per la recitazione e fa l'attore in diverse serie TV. In particolare, raggiunge la fama grazie alla sua interpretazione del dottor Noah Drake in General Hospital. Nel 1981 esce il suo album "Working Class Dog" che ottiene uno straordinario successo anche negli Stati Uniti, soprattutto grazie al singolo "Jessie's Girl" che raggiunge il primo posto della Billboard Hot 100.

Nel 1982 riceve il Grammy Award nella categoria "miglior interpretazione rock vocale maschile". Seguono altri lavori nel corso degli anni '80 e prosegue al contempo la carriera di attore televisivo....

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Springfield appare infatti in circa 70 episodi della serie titolata Alta marea (1994-1997).

Nel 1999 esce "Karma" e poi ulteriori due album (nel 2005 e 2007). Nel periodo 2005-2008 Springfield torna a recitare in General Hospital, questa volta con maggiore frequenza e successo.
Nel 2010 pubblica la sua autobiografia dal titolo "Late, Late at Night: A Memoir".
Nel 2015 recita al fianco di Meryl Streep nel film "Dove Eravamo Rimasti" con la regia di Jonathan Demme.



[Tratto da Metallus.it]
Rick Springfield è del 1949. Il dato non è tanto importante in sé, quanto la luce della freschezza della sua proposta musicale datata 2018; una freschezza non certo innovativa, ma sicuramente compositiva. Rispetto alle sue più recenti uscite, The Snake King segna un ritorno a sonorità meno sperimentali, più intimiste e istintive, capaci di valorizzare le doti indiscutibili di rocker di classe dell'australiano. Data una qualità generalmente buona delle composizioni, a stupire in positivo di The Snake King è la varietà dei suoni, degli arrangiamenti e delle atmosfere. Si passa dalla rock ballad vagamente bonjoviana al rock che strizza l'occhio al country, fino al blues che più classico non si può: il tutto è ben amalgamato dalla personalità di Springfield, che si impone senza strabordare, favorendo il piacere dell'ascolto del disco nella sua interezza.
Land of the Blind apre The Snake King con un bel giro di chitarra acustica e una melodia tanto eterna da poter essere stata composta in qualsiasi momento dagli anni sessanta in poi. Niente di trascendentale, certo, ma un onesto rispetto del rock che va ammirato nella sua costanza proprio nell'attraversare i decenni. 
Tanto tanto groove in The Devil That You Know, dove Rick si trasforma in una sorta di crooner con tanto di sezione fiati a supporto. Sulla stessa linea, con una ventata di hard blues, è la successiva Little Demon, mentre Judas Tree rappresenta l'archetipo del giro blues che non stanca mai e fa comunella con le varie God Don't Care, Suicide Manifesto e Blues for the Disillusioned (che è molto bella).
Jesus Was An Atheist ci porta nelle praterie del west americano e vena il blues di un atteggiamento tipicamente country. Insomma, una festa di paese con cappelli da cowboy e rodeo.
The Snake King e The Voodoo House sarebbero piaciute ai Cinderella di Heartbreak Station, o al Bon Jovi di Blaze Of Glory, e rappresentano due dei migliori momenti del disco in questione.
Infine, ecco il R&R molto fifties di Santa Is An Anagram e lo spleen dolce/amaro e decisamente Springsteeniano di Orpheus In The Underworld, che lascia una nota nostalgica nel congedo del disco.

In un mondo travolto da suoni standardizzati, freddezza del digitale e chitarre iperdistorte che non fanno male a una mosca, il calore di un disco di Rick Springfield è sempre un bel regalo. Che scaturisca da un fuoco acceso tanti anni fa e mandi quel sapore di antico, è più un pregio che un limite...



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