BOSTON TOM SCHOLZ Life, Love & Hope
intervista
I Boston nascono nel 1976 ad opera di Tom Scholz (Toledo, Ohio, 10 marzo 1947), giovane destinato a una brillante carriera di chitarrista, compositore e produttore, distintosi in particolare nel decennio 1970/1980.
Ma non solo. Scholz ha conseguito un Master in ingegneria presso il MIT (il prestigioso Massachusetts Institute Of Technology di Boston) ed è stato l’inventore del Rockman, l’innovativo amplificatore per cuffia prodotto nel 1995 dalla Scholz Research & Development Inc e commercializzato con grande successo dalla Dunlop Manufacturing Inc.
Tom Scholz inizia con la musica nel 1969, mentre frequenta il MIT, quando un giorno compone al pianoforte lo strumentale che titola Foreplay. Tempo dopo entra nei Freehold in cui militano il chitarrista Barry Goudreau, il batterista Jim Masdea ed il singer Brad Delp che diverranno i membri...
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dei futuri Boston, pur con alcune dipartite.
Nel contempo Scholz lavora per la Polaroid ed utilizza il suo salario per la costruzione del suo studio nel seminterrato di casa per registrare i demo e per finanziarne la registrazione in alcuni studi professionali. Tra essi vi sono More Than A Feeling, Peace Of Mind e Rock And Roll Band. Queste registrazioni attraggono l’attenzione di Paul Ahern e Charlie McKenzie, due promoter discografici che portano la band a firmare con la Epic e a pubblicare Boston, l’omonimo album di debutto che contiene, tra le altre, le suddette song, più lo strumentale titolato Foreplay. [Boston è a tutt’oggi tra gli album di debutto più venduti nella storia con 17 milioni di copie...]
Nel 1978, a due anni di distanza dal clamoroso esordio, la band pubblica Don’t Look Back, un album che, nonostante i 7 milioni di copie vendute, viene considerato dalla Epic Records un flop.
Ciononostante, Scholz continua a comporre ottima musica per il successivo Third Stage (1986): un album che non si avvicina minimamente al clamoroso debutto e che diventa croce-e-delizia per Scholz poiché utilizzato inevitabilmente come metro di giudizio dei suoi successivi lavori.
Senza curarsi troppo di tutto ciò, Scholz porta avanti la band pubblicando Walk On (1994) e Corporate America (2002), per poi arrestarsi all’improvviso (nel 2007) per il tragico suicidio del suo amico e collega di sempre, Brad Delp...
La pausa forzata si interrompe nel 2013 con l’uscita di Life, Love & Hope, l’album che vede la luce dopo 10 anni di duro lavoro, determinato a riportare in vita lo splendore dei Boston degli albori.
Una produzione ricercata e attenta a ogni piccolo dettaglio, a partire dalla scelta di Scholz di riutilizzare lo stesso setup dei primi album: in primis, la sua Gibson Les Paul del 1968 e le classiche testate Marshall a cui la collega.
Come ha sempre fatto, Tom Scholz si è occupato di ogni dettaglio, suonando virtualmente ogni strumento, producendo e masterizzando l’intero album. Ha coinvolto diversi cantanti, tra cui David Victor e Tommy DeCarlo, mentre l’amico di sempre - Brad Delp - canta in alcuni brani registrati prima della sua morte: Didn’t Mean To Fall In Love (versione rimasterizzata presente nell’album Corporate America), Sail Away e Someone (2.0).
((Nell’intervista fatta a Tom Scholz lo scorso 28 novembre, egli ci racconta come è stato registrato il nuovo album - Life, Love & Hope - e del perché sia uscito così tanto tempo dopo Corporate America (2002)...))
Ci sono voluti dieci anni per far uscire Life, Love & Hope per il quale, peraltro, hai voluto utilizzare la medesima strumentazione dei primi album dei Boston...
È stata una mole di lavoro importante. Riguardo al setup... sì... fa parte della mia personalità... io adoro le cose vecchie che funzionano a meraviglia. Anzi sono le cose che preferisco! Le testate Marshall che avevo utilizzato nei primi dischi e tour, più il Rockman che ho disegnato personalmente pochi anni più tardi. Infine, le mie due Les Paul e i miei tape decks. Se ci fai caso, nel mio studio, tutta la strumentazione ha più di 30 anni. I tecnici che si occupano del mio equipment dicono che, entrare nel mio studio, è come entrare in un sito archeologico di strumenti musicali!
Secondo la filosofia che “nuovo” non è sempre sinonimo di “migliore”?
È tutta strumentazione ottima che ho imparato a conoscere nel corso della mia carriera. Molti dicono di sbarazzarmi di alcune cose, ma io non lo farò mai.
C’è qualcosa di mistico e magico in quella strumentazione?
Non sono una persona molto mistica, tuttavia quelle due chitarre, in particolare, fanno parte di me. Le conosco così bene e, quando le imbraccio, è come sentirmi a casa.
È una sensazione comune a molti chitarristi...
Per me suonare la chitarra è stato sempre piuttosto difficile. Al contrario, le tastiere, sono una passeggiata. Potrei non toccare una tastiera per anni e poi riprenderla in mano e suonarti Foreplay senza difficoltà. Con la chitarra è tutto un altro discorso! [ride] Ho bisogno di tempo per scaldarmi! Tuttavia, quando imbraccio le Les Paul mi trovo subito a mio agio. Conosco bene tutte le idiosincrasie del caso e ho imparato a gestirle!
Ho anche una Jackson che utilizzo solo quando mi occorre la leva del vibrato. In pratica, è come se riuscissi a registrare solo con le due Les Paul tra le mani. In fin dei conti, le adotto da così tanto tempo...
I tuoi guitar heroes suonavano con la Les Paul?
Sì, ma non è il motivo per cui mi sono avvicinato a quel tipo di chitarra. Avevo sentito un tizio suonare e la sua chitarra aveva un sound eccezionale: un giorno la mise in vendita e la comprai per 200/300 dollari. Quando firmammo con la Epic Records, io e Brad [Delp] decidemmo di comprare un’ulteriore chitarra di scorta, visto che avremmo dovuto suonare parecchio in giro. Trovai una Goldtop usata che comperai per 350 dollari. Soltanto molti anni più tardi ho scoperto che le mie due chitarre erano state fabbricate in un lasso di tempo ristretto. Avevano circa sei mesi di differenza e furono prodotte nel 1968. I manici di quell’annata non hanno nulla a che vedere con quelli concepiti in tempi successivi... E pensare che quando la imbracciai la prima volta, esclamai: “oh, mio Dio! Come fate a suonare con questa chitarra?”
Ti ci è voluto del tempo per abituarti?
... circa sei mesi per abituarmi al manico e ora non riesco a farne a meno. Le versioni con il manico più sottile non riesco a suonarle. Tre anni fa la Gibson ha costruito per me una “special issue”, una copia esatta della mia prima Les Paul. In quella occasione mi hanno detto che, le mie due chitarre, erano state realizzate con parti della produzione LP del 1959. Alla fine di quell’anno cessarono la costruzione delle LP e misero i manici e i corpi di in un magazzino.
Cosa ne fecero di quei corpi e manici?
Restarono chiusi in magazzino per 10 anni, fino a quando si resero conto di aver sbagliato a bloccare quella produzione. Pertanto, presero quei corpi e manici e produssero la ‘68 Reissue, ovvero la serie di cui fanno parte le mie due chitarre. Senza saperlo ho acquistato due esemplari di valore a prezzi stracciati! [ride]
Riesci a descriverci il tipo di sound delle tue Les Paul?
Direi che si tratta semplicemente del loro sound... supportato da tre diverse soluzioni per quanto riguarda l’amplificazione: se ho fretta utilizzo il Rockman; mentre un terzo delle volte mi affido alle mie vecchie testate Marshall. Qualche volta, infine, mi collego a una testata Mesa.
Pratichi parecchie regolazioni della timbrica della tua chitarra prima di registrare?
Solitamente inizio a suonare e faccio gli aggiustamenti in corso d’opera. Nel mio studio ci sono un sacco di equalizzatori e apparecchi che non immagini... Insomma, inizio a suonare e man mano ricerco le debite regolazioni.
Riesci a capire quando hai trovato il sound perfetto della chitarra?
Non ne sono mai sicuro. Il momento in cui mi accorgo che le cose stanno andando bene, è quando mi sento contento di quello che sto suonando. Sembra un po’ strano, ma ti assicuro che per me è sempre stato così. Fin dagli inizi, quando componevo per conto mio, senza rincorrere la fama, dicevo a me stesso: “compongo la musica che mi piace, ciò che trasmette il meglio alle mie orecchie... non importa se piacerà o meno!”
Hai adottato la stessa filosofia registrando le chitarre di Life, Love & Hope?
Per Heaven On Earth [il brano che apre l’album] ho collegato la chitarra a un Rockman Amp: dopodiché ho iniziato a fare un po’ di cose strane con il compressore sulle basse frequenze, alterando quelle alte e via dicendo. Il risultato mi è piaciuto subito e così ho deciso di registrare il pezzo. Non mi ero prefissato nulla... io non so mai con precisione che sound verrà fuori!
Proprio in Heaven On Earth hai suonato tutti gli strumenti: come ti sei regolato?
Inizio sempre con una progressione di accordi o un lick cercando di originare un’idea di base, poi la registro al fine di trovare il tempo adeguato. Non voglio addentrarmi in aspetti troppo tecnici, ma ti posso dire che in musica non esiste il tempo di una song fissato a priori: la velocità può essere accelerata o rallentata, o cambiata di continuo... Per questo motivo quando penso alle parti di batteria, voglio sentire la traccia della song nuda e cruda. Per velocizzare il processo posso ricreare il disegno di batteria con le tastiere pur se, ovviamente, preferisco di gran lunga rullante e piatti.
Dopo aver registrato il disegno di batteria su cosa ti concentri?
Quando ho un’idea di base della batteria, mi dedico a quello che sarà lo strumento ritmico principale. Nel caso di Heaven On Earth si trattava della chitarra. A questo punto, se accade qualche intoppo con la base di batteria, intervengo aggiustando delle alcune cose. Dopodiché mi occupo delle parti di lead guitar che vanno ad aggiungersi a quelle della chitarra ritmica. Ascolto l’insieme e talvolta mi trovo a modificare la voce, o qualche accordo o il modo in cui ho suonato il lick.
Registri prima la chitarra del basso?
Sì. Ricerco la linea di basso più adeguata e la registro. Sempre in Heaven On Earth, la linea di basso che si sente nel disco è la prima linea di basso che ho provato...
L’impressione è che ogni qualvolta tu aggiunga uno strumento, torni sui tuoi passi per apportare modifiche e cambiamenti.
Ogni volta che aggiungo uno strumento, o una parte vocale, inevitabilmente devo andare a modificare la traccia esistente. Mi vengono sempre idee nuove, pertanto torno spesso sui miei passi. Il 99% di ciò che registro in studio, non viene sentito da nessuno, a parte mia moglie e il mio cane. Molto del materiale che registro non viene utilizzato; sono semplicemente delle prove che mi servono per decidere quale scegliere.
È lo stesso approccio che adottavi nei primi album dei Boston? Iniziavi con la batteria?
Esattamente. Mi sedevo accanto ai miei amici, Jim Masdea e Sib Hashian per scrivere le tracce di batteria. Nel corso degli anni ho avuto modo di lavorare con numerosi batteristi ed io ho sempre suonato la batteria, ovviamente quel poco che serviva...
Il tuo assolo in Heaven On Earth ha un mood dolce, ma c’è da dire che tutto il disco è caratterizzato da assoli interessanti. Qual è il tuo approccio al riguardo?
In genere, non ho idea a priori di quel che ne potrà uscire. Solitamente ho bisogno di avere le parti ritmiche – batteria e basso – già registrate per iniziare un assolo. Questo perché un assolo, è come mettere giù il testo di una canzone. Devi trovare il giusto feeling con la song, non puoi permetterti di mandare all’aria l’intero brano per colpa di un assolo dal mood sbagliato...
Gli assoli dei primi dischi sembravano così studiati, eppure stai dicendo che il tuo approccio è piuttosto istintivo...
Ed è così infatti. L’unica eccezione fu il primo disco. In quel caso, 5 brani erano stati precedentemente registrati come demo. La nostra etichetta aveva insistito sul fatto che avremmo dovuto registrarli di nuovo in uno studio professionale con una squadra di professionisti! [ride] Pertanto dovetti registrare le parti una seconda volta, rispettando il mood della prima versione.
Quindi avevi dovuto eseguire una seconda volta quei classici assoli?
È così ed è una cosa che detesto. Mi sono ripromesso che sarebbe stata la prima e l’unica volta. Non mi piace registrare ciò che ho già registrato. Come dicevo, è davvero raro che io utilizzi dei demo per registrare un disco.
Brad Delp è presente in diversi brani del nuovo disco. Come hai riunito quel materiale?
Alcune song erano già state pubblicate. Someone, per esempio, era uscita nel 2002 nel disco Corporate America, ma non mi piaceva com’era stata registrata. Pertanto ci lavorammo su assieme subito dopo che il disco uscì. Didn’t Mean To Fall In Love è pressoché identica alla versione originale, salvo un leggero remix e, ovviamente, rimasterizzazione. Mi piaceva già un sacco la versione originale ed era l’unico brano che non avevo scritto da solo... Curly Smith e un suo amico, Janet Minto, scrissero il testo che mi piacque un sacco. Volevo ampliare l’audience e così ho messo questa song al secondo posto in scaletta.
Brad Delp è presente anche in Sail Away...
Terminata Someone, ci mettemmo al lavoro per Sail Away. Se non erro finimmo le parti vocali nel 2005 e le iniziammo nel 2003. Inutile dire che se Brad fosse stato ancora tra noi, avrebbe di fatto cantato più song in questo disco. Tommy DeCarlo è stata la mia scelta per il dopo Brad...
Un cantante eccezionale.
Sì, esatto... il nostro incontro ha del mistico. Sebbene io non sia una persona che crede a certe cose, ti dico onestamente che, dopo la morte di Brad, il suo arrivo è stato come un segno divino. Come se fosse stato mandato da qualcuno...
Nella splendida ballad, Love Got Away, canti. Lo ha già fatto parecchio in passato...
Ho sempre cantato, pur se molto poco nel primo disco a dire il vero. Tuttavia ho sempre fatto i cori. Mi sono messo in gioco seriamente in occasione del Greatest Hits, quando abbiamo registrato Higher Power. In quel caso ho duettato anche se non mi piace farlo... e poi, parliamoci chiaro, ho già troppe cose da curare... specialmente quando siamo sul palco! Ho cantato anche in You Gave Up on Love, sono una delle tre voci maschili che si sentono nel pezzo.
Prima hai detto che non avevi idea di quali reazioni avrebbe suscitato il vostro disco d’esordio, Boston. Pensavi che sarebbe piaciuto?
In realtà pensavo l’esatto opposto! Era la musica che piaceva a me, ma non avevo nessuna certezza che potesse piacere alla gente. Inoltre, erano 6 anni che venivo completamente ignorato sebbene lavorassi duramente e facessi parecchi demo... quando il disco fu terminato, la gente del settore mi diceva che non era al passo con i tempi.
Quale musica era al passo con i tempi nella metà degli anni ‘70?
La discomusic. Dopo aver ultimato il nostro disco, tornai a lavorare alla Polaroid come ingegnere. Fu in quel periodo che ascoltai quel tipo di musica per la prima volta.
Ti è capitato di ascoltare tuoi brani che avresti voluto suonare diversamente?
Beh... no, anche perché ciò che scrivo è ciò che mi piace e mi fa sentire bene. Conosco molti artisti che non amano i loro primi lavori: no, non è il mio caso visto che adoro e sono orgoglioso di More Than a Feeling!
L’astronave è appena atterrata e ha trovato tre song dei Boston racchiuse in una capsula del tempo: quali diresti che siano?
Domanda troppo difficile... I brani finiti in un disco sono lì perché mi sono piaciuti e li ho voluti inserire. Quando mi chiedono qual è il brano più bello di un disco io non riesco a rispondere, perché prendo in considerazione l’intero lavoro. Tengo i cd in auto e li ascolto quando viaggio... mi piacciono tutti e non salto nessun brano. Talvolta quando il cd finisce... lo riascolto dall’inizio!
Quali sono i tuoi piani adesso?
Prima di tutto una bella vacanza, poiché non riposo da parecchio tempo, e poi il tour...
BOSTON lineup 2014
Tommy DeCarlo – vocal
Tom Scholz – lead & rhythm guitar
Gary Pihl – rhythm & lead guitar
Kimberly Dahme – bass
Curly Smith – drum
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