STRUNZ & FARAH Syncretic Strings
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recensione
Il nuovo Syncretic Strings ribadisce le cose e mostra i due musicisti al loro meglio, impegnati a mescolare latin, jazz, musica etnica, sapori medio-orientali ed anche una certa attitudine rock, plasmando colori, melodie e ritmi, capaci di condurre l’ascoltatore in un viaggio sonoro fra i quattro angoli del globo.
Strunz & Farah confezionano una scaletta di dieci tracce ben congegnate e guidate dalle rispettive chitarre acustiche, assicurando ad esse la massima resa; allo scopo, ecco che interviene allora il groove solido e granitico della ritmica (Carlos Del Puerto e Carlitos Cuba al basso, Ron Wagner e Paul Alexander Gonzales alla batteria), ma anche disegni percussivi capaci di marcare ritmi e cadenze (Luis Conte, Majeed Ghorbani e Diego Alvarez, e Al DiMeola… ebbene sì, il celebre caposcuola della chitarra qui in questo insolito ruolo).
Con la delicata melodia delle due chitarre acustiche, è Summerborn ad aprire la tracklist, per poi condurre...
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all’episodio forse più significativo dell’album: quel This Could Only Be, in cui le due chitarre di Strunz e Farah – e il supporto di un Al DiMeola nelle vesti di percussionista – intrecciano fraseggi leggiadri ed arpeggi superveloci, per una texture che affascina ed ammalia.
Atmosfera lounge per Corriente Tropical espressa sin dal titolo, a cui seguono gli arabeschi orientaleggianti di una titletrack davvero elaborata e vestita di ritmi percussivi coinvolgenti e trascinanti. Merry Chase mette in luce la propensione per il jazz del duo Strunz & Farah, mentre l’episodio successivo, Fortune’s Brothers, torna fra i territori esotici, mettendo in scena un vero show chitarristico tra varie suggestioni e tanto ritmo.
Il folklore e la melodia dominano Figs And Pomegranates, mentre in Jungle Rain è un ritmassimo controtempo jazzy ad arricchire l’ammaliante armonia delle chitarre acustiche. Dal canto suo, Horas Solitarias sfodera una melodia melanconica e avvolgente supportata da disegni percussivi intriganti, mentre il brano di chiusura, Cybele’s Jester, è quasi una danza gitana che ruota intorno ai velocissimi fraseggi delle chitarre di Strunz & Farah.
Con Syncretic Strings, Jorge Strunz (costaricano) e di Ardershir Farah (iraniano), confezionano un album che appaga l’appassionato della chitarra acustica, ma anche l’ascoltatore affascinato da quella musica capace di mescolare le texture più raffinate ed intriganti.
Un percorso di oltre quarant’anni, quello di Strunz & Farah, i quali, partendo dal debutto di Mosaico (1980), si sono guadagnati riconoscimenti e fama, ma anche la stima della critica e di una pletora di colleghi blasonati, tra essi Sting (con The Living Sea, brano per la colonna sonora di “IMAX”) e le star latine Rodrigo y Gabriela.
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Jorge Strunz risponde a qualche domanda…
Niente di meno che Al DiMeola, peraltro nelle vesti di percussionista, è l’ospite speciale in This Could Only Be, il secondo brano della tracklist di Syncretic Strings, com’è nata l’idea?
Conosciamo Al da parecchi anni e per questo progetto, in realtà, è stato lui a dirci che gli sarebbe piaciuto suonare le percussioni, il che è stata una gran bella sorpresa! Ci ha anche inviato dei file della pre-produzione del suo progetto Across The Universe, e così abbiamo potuto renderci conto del mood con cui intende le percussioni oggi. Noi gli abbiamo inviato il file di This Could Only Be e lui ci ha fatto avere l’idea che aveva in mente per il brano: un interessante concept della ritmica con cajon e fills di bongo. Perfetto per il brano! Siamo onorati di avere Al nel nostro disco.
Le percussioni giocano un ruolo importante in tutto il disco, come accade ad esempio anche in Horas Solitarias, ce ne parli?
Se This Could Only Be ha richiesto un intervento delle percussioni da “designer”, consentiteci il termine, Horas Solitarias necessitava di una combinazione di ritmi latin: dunque, bolero e melodie, quindi rumba per l’improvvisazione. Come avete sottolineato, le percussioni giocano un ruolo in primo piano nel disco e, in realtà, in almeno cinque brani della tracklist; ad esempio, anche nei due caratterizzati da sapori medio-orientali.
"Jungle Rain" è uno dei brani più jazzy del disco, sei d’accordo?
Io lo sento come un pezzo di latin-jazz di grande atmosfera, per il quale, con la mia chitarra, ho cercato di evocare la pioggia tropicale in una giungla e le sensazioni che mi sono immaginato.
Ritieni che oggi sia più semplice proporre musica firmata Strunz & Farah, così ricca di influenze e contaminazioni, rispetto ai tempi del vostro esordio?
Beh… Oggi la caleidoscopica visione culturale non è nemmeno più una novità. Quando Ardeshir [Farah] ed io abbiamo iniziato, la contaminazione era cosa molto più inusuale, il che aveva sia dei pro, che dei contro. Dal momento che si trattava di qualcosa di nuovo, di una sorta di esperimento, c’era sì la sorpresa della novità, ma l’ascoltatore, in generale, doveva ancora prendere familiarità con certi suoni e certe strutture. Per quanto mi riguarda, dal momento che amo ascoltare i compositori classici, così come certi musicisti di jazz e flamenco, ritengo di essere riuscito ad incorporare alcuni di questi elementi nel mio background latino-americano, e a forgiare musica contemporanea per chitarra dal marcato approccio improvvisativo. Il fatto poi che Ardeshir sia iraniano, ha portato nella nostra musica elementi ed influenze ancora più diversi… senza contare che entrambi viviamo a Los Angeles da anni e che è lì che nasce la nostra musica. Direi che è tutto questo a generare le contaminazioni che caratterizzano la musica siglata Strunz & Farah.
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