MILES DAVIS QUINTET "The Bootleg Series, Vol. 8"
recensione
La straordinarietà del Second Great Quintet viene celebrata da Miles in France 1963 & 1964 - Miles Davis Quintet: The Bootleg Series, Vol. 8, un peculiare boxset che Columbia Records e Legacy Recordings (divisione di Sony Music Entertainment), pubblicheranno l’8 novembre 2024 a complemento della Bootleg Series.
Miles in France 1963 & 1964 - Miles Davis Quintet: The Bootleg Series, Vol. 8 raccoglie le straordinarie performance del quintetto al Festival Mondial Du Jazz di Antibes (dal 26 al 28 luglio 1963) e al Paris Jazz Festival (1°ottobre 1964). Nella lineup del 1963 accanto a Miles ci sono George Coleman (sax), Herbie Hancock (piano), Ron Carter (c/basso) e Tony Williams (batteria), mentre nel 1964 al sax vi è di Wayne Shorter.
Il boxset prevede una doppia versione (6 CD o 8 LP) per oltre 4 ore di musica mai pubblicata sino ad ora, arricchito dalle note di...
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copertina del popolare giornalista e critico musicale Marcus J. Moore. A tutto ciò si aggiunge una versione di 2 vinili con le sole registrazioni del 1964, stampati con i colori blu/bianco/rosso della bandiera francese.
La produzione Miles in France 1963 & 1964 - Miles Davis Quintet: The Bootleg Series, Vol. 8 è affidata al team pluri-vincitore di Grammy Awards, Steve Berkowitz, Richard Seidel e Michael Cuscuna, quest’ultimo recentemente scomparso. Mastering: Vic Anesini, presso i Battery Studios di New York. (Si tratta del senior mastering engineer di Sony Music, anch’egli pluri-vincitore di Grammy Awards).
Miles Davis era legato alla Francia, professionalmente e personalmente, e non è un caso che proprio in questo Paese si sia esibito maggiormente al di fuori degli Stati Uniti e che, di conseguenza, siano stati registrati parecchi live. Il suo esordio in terra transalpina risale al 1949 al Festival International De Jazz, a soli 22 anni, mentre è del luglio 1991 il suo ultimo concerto a Nizza, appena due mesi prima della sua scomparsa.
Nei primi anni Sessanta Miles Davis si presentò in Francia dopo aver rivoluzionato i connotati del jazz: Kind Of Blue (1959) aveva abbandonato l’hard-bop ed abbracciato la musica modale a favore di un’improvvisazione più libera, sposando atmosfere più soffuse e persuasive, apparentemente più semplici ma decisamente cariche di pathos e tensione. Tuttavia, rispetto alla versione in studio di Kind Of Blue, gli stessi brani eseguiti dal Quintetto ad Antibes e Parigi nel 1963 e 1964 (gli stessi accolti dal Volume 8), appaiono in una nuova veste, carichi di picchi drammatici e disegni di basso caratterizzati da potenza e groove, offrendo una prospettiva nuova a questo album fondamentale per la storia del jazz.
Nella primavera del 1963 Miles Davis chiamò Herbie Hancock al piano, Ron Carter al basso e Tony Williams alla batteria, andando poi in studio nel maggio di quell’anno con George Coleman al sax tenore per completare l’album Seven Steps To Heaven (1963). Due mesi dopo il quintetto raggiunse l’Europa per un tour che li portò a suonare anche al Festival Mondial Du Jazz, la cui performance venne descritta da Downbeat: “Superba, con un Miles Davis in forma strepitosa e al massimo della sua espressività...”
Dal canto suo, Ron Carter ha ricordato l’esperienza con Davis con queste parole: “Non ho mai suonato con qualcuno come lui, ovviamente, e non ho mai suonato così a lungo con un altro musicista. Era semplicemente sbalorditivo sentirlo suonare con quella sua intensità, col suo ritmo, col suo stile e interpretazione, serata dopo serata, e senza mai imporre nulla alla band. Come un chimico con i suoi apprendisti, ci diceva: ‘prendete questi elementi e combinateli come volete, se succede qualcosa chiamiamo i pompieri!’”
Stimolato dall’esperienza francese con il suo Second Great Quintet, Miles tornò negli Stati Uniti e proprio con tale ensemble registrò nel 1965 E.S.P, dimostrando che nonostante una crisi fisica e spirituale, era lui il barometro a cui la scena jazz guardava per evolversi. A 60 anni di distanza da quelle registrazioni e a più di 30 anni dalla sua scomparsa, Miles Davis resta la vetta e il culmine, l’essenza dell’audacia, l’icona definitiva della storia del jazz.
“Non ho mai suonato con qualcuno come lui, ovviamente, e non ho mai suonato così a lungo con un altro musicista. Era semplicemente sbalorditivo sentirlo suonare con quella sua intensità, col suo ritmo, col suo stile e interpretazione, serata dopo serata, e senza mai imporre nulla alla band. Come un chimico con i suoi apprendisti, Miles ci diceva: ‘prendete questi elementi e combinateli come volete... se succede qualcosa chiamiamo i pompieri!’” (Ron Carter)
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