BLACKMORE’S NIGHT All Our Yesterdays passato, presente e... futuro!
intervista
Recentemente hanno fatto scalpore le dichiarazioni di Ritchie Blackmore riguardanti alcune date del 2016 in cui tornerà a suonare brani dei Deep Purple e dei Rainbow... anche se non ha ancora specificato con chi!
In realtà, è logico pensare che le reunion clamorose siano escluse. Blackmore non è tipo da tornare indietro sui suoi passi e, quando lo ha fatto nella vita, ha dichiarato poi di essersene pentito amaramente.
Esattamente 20 anni fa affrontava il suo ultimo tour con i Rainbow avendo già in mente il tracciato della sua nuova vita artistica...
Musicista capace di (re)inventarsi tre carriere diverse, Blackmore si concede il lusso di vivere fuori dal tempo e di non curarsi di ciò che la musica moderna propone e disfa ogni giorno. I Blackmore’s Night, volente o nolente, sono diventati la pietra...
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angolare del movimento neo-folk, o del cosiddetto rock rinascimentale, proprio in virtù del grosso peso che ci ha messo il celebre chitarrista britannico, con il suo prestigio e la sua storia personale. Ma anche all’interno di tale percorso rinascimentale, c’è stata una decisa evoluzione; una virata che ha portato la formazione [Blackmore ci tiene a specificare che si tratta di una vera band e non di un progetto personale...] sempre più verso Sud, verso la musica gitana, occitana e mediterranea.
All Our Yesterdays (Frontiers Records) è il nuovo album della premiata ditta familiare Ritiche Blackmore/Candice Night ed è un disco che non delude le attese dei fan, confermando la vena solare e morbida delle ultime produzioni (Autumn Sky del 2010 e Dancer On The Moon del 2013) e di cui abbiamo chiesto lumi al Maestro stesso...
Sin dal titolo, All Our Yesterdays, sembri ribadire con orgoglio un’attitudine rivolta al passato. Pensi che il presente e il futuro della musica non siano proprio in grado di darci nulla di nuovo?
Ritchie Blackmore Non è facile dare a questa domanda una risposta obiettiva e precisa. Confesso che ascolto con molta difficoltà ciò che propone la radio e la televisione, nonchè le nuove uscite discografiche. E quando lo faccio, scopro inevitabilmente che è tutta roba che non comprerei e nemmeno andrei a cercare da qualche parte. Ho la mia collezione di cd e cassette e riascolto quelle, oppure vado su youtube e cerco band europee in grado di proporre musica rinascimentale. Non trovo niente altro di interessante in tutto il resto.
Come collocate All Our Yesterdays nella vostra discografia? C’è qualche altro album a cui potrebbe essere paragonato, giusto per riuscire a descriverlo ai nostri lettori? Come sano nati i brani?
Candice Night Ritchie vive completamente immerso nella musica, ogni momento della giornata. Ha molti registratori disposti in ogni angolo della casa, in modo da fissare subito ogni idea che gli viene in mente; idee che poi mette assieme anche molto tempo dopo. A quel punto, ci mettiamo a ragionarci sopra, trovando tra esse una linea generale da seguire, qualcosa che possa essere una base abbastanza definita. Quando è pronta, io mi isolo completamente, me ne vado addirittura in qualche altro posto per rimanere sola e ascoltare quella musica ed evocare le immagini che si materializzano nella mia mente e poi scrivere i testi. Si tratta di un processo piuttosto spontaneo, nel senso che non devo sforzarmi per niente.
(((RB)))L’album ha richiesto quasi due anni di lavorazione prima di essere completato. Siamo entrati in studio che avevamo solo tre o quattro brani pronti e ci abbiamo messo un mese solo per registrarli una prima volta. Poi ci siamo presi una pausa di diversi mesi e, quando siamo tornati in studio, li abbiamo rivisitati un’altra volta. Questo ci ha dato modo di farli maturare, di darci del tempo tra un ascolto e l’altro che ci consentisse di valutare con ragionevolezza se ci fosse stato il bisogno di modificare qualcosa o meno. Un processo che abbiamo seguito per tutti i brani e che spiega perché ci sia voluto così tanto tempo per finire il disco. In ogni caso, ogni album e ogni brano hanno una sua precisa identità e ciò che può andar bene per uno, non necessariamente va bene per un altro. Fare paragoni tra i vari nostri lavori è praticamente impossibile poiché ognuno di loro è la vera rappresentazione di ciò che siamo e che sentiamo in quel momento.
Sul disco ci sono tre cover: Moonlight Shadows di Mike Oldfield, I Got You Babe di Sonny & Cher e Long Long Time di Linda Ronstadt. Come mai le avete scelte. Avete un feeling speciale che vi lega a questi tre brani?
(((CN) ))A dire il vero, non c’è nessun legame specifico tra questi tre brani ma, in ogni caso, il loro inserimento sul disco non è casuale. I Got You Babe è stato inciso perché ci ha sempre divertito suonarlo e poi anche per motivi nostalgici e molto personali. Anche Long Long Time è un brano che ho sempre amato ed ho insistito per suonarlo in un disco prima o poi. Diverso è il discorso riguardo a Moonlight Shadow che è stato un po’ il brano che ha ispirato tutto il progetto Blackmore’s Night e a cui abbiamo pagato tributo anche nel titolo del primo album (Shadow Of The Moon). Tuttavia, proprio per questo motivo, abbiamo sempre esitato a proporlo in veste “ufficiale”, perché non volevamo fosse una semplice cover, fatta esattamente come l’originale. Solo quando Ritchie l'ha pensato col quel particolare up-tempo, abbiamo capito che si trattava della volta buona per inciderlo e... pagare così il nostro piccolo debito.
(((RB) ))Quello che facciamo a casa o in studio, è molto diverso da quello che proponiamo poi sul palco. Prendiamo decine di canzoni dalle riunioni serali che facciamo con i nostri amici almeno una volta a settimana, quando ci troviamo tutti per suonare strumenti acustici e riscoprire canzoni del passato che oggi sono state dimenticate. In questa ottica nascono le cover che decidiamo di inserire poi su un nostro disco.
Pensate di aver dato un contributo fondamentale alla rinascita della musica neo-folk e rinascimentale?
(((RB))) Forse, ma non è una cosa che ci ha mai interessato veramente. Voglio dire che fare parte di un movimento o di un filone musicale, è qualcosa che per noi non ha alcuna importanza. Suoniamo per passione e perché ci dà gioia, non per altri motivi né, tanto meno, per ottenere riconoscimenti.
Quali strumenti d’epoca e rinascimentali hai suonato in questo disco?
(RB) Per la maggior parte, gli stessi che ho utilizzato negli ultimi dischi, ovvero mandola, mandolino, nyckleharpa [strumento scandinavo molto simile alla viola d’amore italiana] e hurdy gurdy. Oltre, naturalmente, a molte chitarre acustiche ed anche qualche elettrica...
Di questi strumenti possiedi esemplari originali dell’epoca? Ti è mai capitato di averne qualcuno sotto mano?
(((RB))) No, sfortunatamente nessuno: credo che solo qualche ricco collezionista ne abbia. Oppure li ritrovi nei musei, ma non sono di certo suonabili... Tutti gli strumenti rinascimentali che sono in giro oggi, sono riproduzioni basate su di un unico testo, ovvero il Syntagma Musicum di Michael Praetorius, un compositore e teorico del XVII secolo. Sono fortunato a conoscere liutai che conoscono bene quel testo e sanno riprodurre in maniera molto fedele quegli strumenti sulle poche indicazioni trascritte su quelle pagine.
All’inizio dell’avventura Blackmore’s Night quanto è stato difficile per te suonare, comporre ed arrangiare con strumenti differenti dalla chitarra elettrica e per di più inusuali nel mondo moderno?
(((RB))) I primi tempi è stata una vera sfida, anche se molto, ma molto eccitante. Non tanto per la difficoltà di suonarli – la tecnica prima o poi si impara – ma perché ambivo a scrivere brani imbracciando quegli strumenti: cosa che non ero in grado di fare, soprattutto i primi tempi. Così finivo per comporre brani con la chitarra e poi riadattarli. Poi ho capito che soltanto componendo i brani con quegli strumenti potevo ottenere i risultati che mi ero ripromesso e far rivivere realmente la musica rinascimentale. Del resto, i compositori dell’epoca non usavano di certo le chitarre elettriche! [ride] Così ho ripensato ai tempi dei Rainbow, quando avevo composto il riff di Gates Of Babylon col violoncello. Non mi sarebbe mai venuto in mente se avessi imbracciato una chitarra. Oltretutto, riguardo a questi particolari strumenti, ho dovuto (re)imparare a suonare in fingerstyle, pur non avendo le caratteristiche fisiche più idonee. Per il fingerstyle, infatti, l’ideale è avere dita lunghissime... che, viceversa, non servono per l’hard rock, anzi... sono un problema. Per non parlare del fatto che ho suonato quasi esclusivamente col plettro per almeno 30 anni!
Quando rivedi te stesso nei video degli anni ‘70 o ‘80, cosa pensi del modo di suonare allora? Ti piacerebbe tornare indietro nel tempo e cambiare qualcosa?
(RB) Non guardo mai i miei vecchi video poichè li trovo spaventosi e talvolta orribili. Musicalmente non cambierei nulla di quello che ho fatto, ma cambierei sicuramente i posti in cui mi sono trovato a suonare e tutti i viaggi incessanti che mi sono ritrovato a fare per andare in tour e che mi hanno distrutto fisicamente. Inoltre, se solo ne avessi la possibilità, cambierei tutti i miei ex manager!
Hai mai trovato la tua “chitarra perfetta”?
(RB) Non saprei dire... forse. Ma se è accaduto, non me ne sono accorto. Non ho mai raggiunto la perfezione nel suonare la chitarra, così ho sempre dato la colpa alla seicorde di turno piuttosto che a me stesso. Ne ho molte in casa ma, come sai, ogni vero chitarrista è sempre alla ricerca di quella perfetta che, in realtà, non esiste. Sta al chitarrista rendere perfetta la sua chitarra e non viceversa...
Lo scorso 15 aprile hai festeggiato i tuoi 70 anni. Molti tuoi colleghi coetanei continuano a fare rock, mentre tu hai deciso da tempo di (re)inventarti in una nuova dimensione: musicale ed esistenziale. Ritieni che ci sia un’età limite per la musica e per il rock in particolare?
(((RB))) No, francamente non penso che ci sia. Credo che il fattore determinante non sia l’età, ma l’artrite. Quanto più riesci a starne lontano, tanto più puoi continuare a suonare. Conosco gente di 90 anni che – fortuna loro – sono stati risparmiati dall’artrite e continuano a suonare meravigliosamente. Io devo combattere con questa malattia al pollice e a un altro dito e so di moltissimi altri chitarristi che hanno questo problema. Fondamentalmente dipende dal super-utilizzo di certe parti del corpo.
Di recente, in un’intervista al settimanale francese Le Parisien, hai dichiarato che tornerai a suonare i brani dei Deep Purple e dei Rainbow. Lo farai con alcuni show nel giugno del 2016. Hai già deciso chi ti accompagnerà sul palco in quei concerti?
(RB) Al momento ho in programma solo quattro o cinque spettacoli in Europa, probabilmente a Helsinki (Finlandia), e poi in Svezia, Germania e Inghilterra. Ad oggi i contratti non sono stati ancora firmati per cui non ti so dire chi ci sarà nella band. Tuttavia, ti anticipo che queste date sono programmate solo ed esclusivamente per ragioni nostalgiche e per accontentare i fan che me lo hanno chiesto con così tanta insistenza in questi anni. Non smetterò di suonare musica rinascimentale con Candice, né i Blackmore’s Night avranno una battuta d’arresto. Questo è il mio mondo e continuerà ad esserlo...
Blackmore’s Night - discografia
1997 Shadow of the Moon – 1999 Under A Violet Moon – 2001 Fires At Midnight – 2003 Ghost Of A Rose – 2006 The Village Lanterne – 2006 Winter Carols – 2008 Secret Voyage – 2010 Autumn Sky – 2013 Dancer And The Moon – 2015 All Our Yesterdays
RITCHIE BLACKMORE in breve...
Richard Hugh Blackmore nasce a Weston-super-Mare il 14 aprile 1945. Imbraccia la chitarra a soli sette anni (una sei corde acustica Framus) e diventa l’allievo prediletto del richiestissimo e pregiatissimo sessionman “Big” Jim Sullivan (già maestro di Jimmy Page).
Nel 1962, quando Roger Mingway lascia i Savages – la formazione capitanata da Lord Davis – Ritchie prende il suo posto. Il temperamento del giovane Blackmore si mostra da subito focoso e poco incline alla “convivenza”, ed è così che prende a cambiare diverse band, tra cui Wild Boys e Crusaders per poi tornare nei Savages.
Tenta un esperimento che non ha precedenti: portare sul palco uno spettacolo musicale, accompagnato da coreografiche esibizioni “rinascimentali” con tanto di spade e cappelli piumati. Il progetto prende il nome di Three Mosketeers e si rivelerà un fiasco colossale, con all’attivo una sola esibizione allo Star Club di Amburgo, dove peraltro verranno cacciati senza mezze misure.
Joe Vescovi comprende il momento difficile del chitarrista anglosassone e lo assolda nei suoi Trip. Ma la vera fortuna arriva tramite un telegramma: il visionario tastierista, Jon Lord e l’ex batterista dei Searchers, Chris Curtis, hanno in mente di formare un super gruppo composto da virtuosi. Dopo aver ascoltato alcuni lavori di Ritchie, decidono di arruolarlo a tutti i costi. Il progetto, chiamato Roundabout, ha però vita breve dati i gravi problemi psichici di Curtis e così – siamo nel 1968 – Blackmore decide di imbastire una formazione che ripercorre la stessa filosofia e di nominarla Deep Purple. Al suo fianco chiama Jon Lord (tastiere), Ian Paice (batteria), Rod Evans (voce) e Nick Simper (basso). Assieme ai Led Zeppelin danno vita a quel che viene definito hard rock, mettendo a punto album-capolavoro che hanno segnato la storia della musica. (Da citare, a titolo di esempio, Deep Purple In Rock, Fireball e Machine Head).
La chitarra di Blackmore è sempre più protagonista, rivoluzionaria, e dalle dita del guitarist britannico, nasce il più celebre riff della storia del rock! L’attacco del brano – Smoke On The Water – entra da subito nell’immaginario collettivo. L’atteggiamento duro e appassionato del sound di Ritchie, spiana la strada a uno nuovo genere: l’heavy metal, un hard rock più spigoloso e cupo, portato al definitivo successo dai Black Sabbath.
Nella fase più fiorente dei Deep Purple, iniziano i diverbi fra Blackmore e il nuovo singer della band, Ian Gillan. Nel 1975 Blackmore decide di lasciare e inizia a lavorare su una nuova idea: questa volta con il nome di Rainbow. La forte e predominante personalità del chitarrista britannico mette a dura prova i diversi componenti che entrano nella band – tra cui Ronnie James Dio – mentre la sua visione di musica si fa sempre più ricercata e poliedrica. Prendono a delinearsi approcci melodici ed empirici: la sua idea di musica si fa ancora più vasta e sconfinata. Giunto quasi alla fine dell’idillio con i Rainbow, Blackmore decide di farsi accompagnare addirittura dalla London Philarmonic Orchestra in un tour dalle proporzioni faraoniche. Cosa che, in parte, gli riesce anche.
Nel 1984 Blackmore si stacca completamente dal suo “arcobaleno” [Rainbow] stuzzicato dall’idea di tornare nei Deep Purple: anche questa volta – nonostante l’ottimo Perfect Strangers – i rapporti con Gillan non decollano e sono costretti a sciogliersi per l’ennesima volta.
Nel 1994 Blackmore riporta in vita i Rainbow ma la reunion – dopo il fortunato Stranger In Us All – perde quota e finisce con la definitiva separazione. E’ con questo ultimo disco che Blackmore prende a delineare quello che sarà il suo futuro musicale: la rilettura di sonorità antiche.
La passione per queste ultime spingono infatti Blackmore a chiudersi in studio alla ricerca di certi sound rinascimentali e medioevali: con lui c’è la flautista Candice Night (sua futura moglie) e con tale obiettivo si distacca definitivamente dalla realtà rock. La coppia dà vita al progetto Blackmore’s Night e una nuova frontiera musicale prende vita!
Con i Deep Purple
1968 Shades of Deep Purple. 1968 The Book of Taliesyn. 1969 Deep Purple. 1970 Deep Purple In Rock. 1971 Fireball. 1972 Machine Head. 1973 Who Do We Think We Are. 1974 Burn. 1974 Stormbringer. 1984 Perfect Strangers. 1987 The House Of Blue Light. 1990 Slaves & Masters.1993 The Battle Rages on...
Con i Rainbow
1975 Ritchie Blackmore's Rainbow. 1976 Rising. 1978 Long Live Rock 'N' Roll. 1979 Down to Earth. 1981 Difficult To Cure. 1982 Straight Between The Eyes. 1983 Bent Out Of Shape. 1995 Stranger In Us All
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