Graham Bonnet Band "Meanwhile, Back In The Garage"

di Patrizia Marinelli
20 giugno 2018

recensione

Graham Bonnet Band
Meanwhile, Back In The Garage
Frontiers Records
Britannico, classe 1947, Graham Bonnet non è soltanto un interprete rock, ma una vera e propria rockstar pur se, curiosamente, ha ottenuto i suoi primi successi con la dance music di The Marbles e gli hit scritti dai Bee Gees. La sua virata verso il genere più hard è stata rapida e progressiva: con i Rainbow, poi con gli MSG, gli Alcatrazz, Impellitteri e Michael Schenker, tanto per citare gli act di larga fama. Proprio con essi, Bonnet ha forgiato il suo stile: amato da alcuni e meno apprezzato da altri per la sua tendenza a un marcato egocentrismo o addirittura al cosiddetto operatic rock. Quel che è certo, è che la voce di Graham Bonnet, a tutt’oggi non passa inosservata (come il suo look del resto…) ed è l’elemento su cui poggia la produzione di "Meanwhile, Back In The Garage".

Tredici brani, più una versione live in chiusura, "Live from Daryl’s House" (New York 2018) e nessuna concessione alle mode e al mainstream di maniera: è questo il succo del discorso condotto da "Meanwhile, Back In The Garage". Un album in cui, a partire dal brano omonimo che dà il via alla scaletta, Bonnet si impone senza...

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troppe difficoltà: cantando ma anche interpretando, con tanto di inflessioni e repentini cambi di tonalità.
Di sicuro, la spalla ideale di Bonnet in questo album è la chitarra impeccabile (ritmica e lead) di Joey Tafolla, affiancata in "Livin’ In Suspicion", da quella di Kurt James.

"The Hotel" apre con un sound dal sapore anni Ottanta che, per certi versi, riconduce ai Whitesnake pur se molto più hard. Segue la succitata "Livin’ In Suspicion", sorta di mini-opera rock à-la The Who che vede impegnata la band in grande spolvero: Bonnet, Tafolla, James, oltre che Beth Ami Heavenstone al basso, Jimmy Waldo alle tastiere e Mark Benquechea alla batteria. Una compagine decisamente coesa, impegnata con riff di chitarra tiratissimi, supportati da una sezione ritmica fast che richiama i Rainbow dello Bonnet, ma anche il beat di Ronnie James Dio, Ozzy Osbourne, Deep Purple.

Un heavy metal dalla cadenza grintosa e possente, caratterizza "Long Island Tea" che precede "The House", uno degli episodi più interessanti dell’album in questione; poi arriva "Sea of Trees" con la sua atmosfera avvolgente creata dalle tastiere, seguito da "Man On The Corner" con la ritmica di una chitarra cristallina proprio in apertura.
Terminata questa sezione dalle atmosfere pacate, l’assalto della chitarra elettrica riparte. Influenze dark e marcati spazi destinati alle dissonanze, sono gli elementi che distinguono "Meanwhile" da un classico à-la Yngwie Malmsteen e, su tutto, la teatralità dell’interpretazione di Bonnet.
A sorpresa arriva la cover "We Don’t Need Another Hero" di Tina Turner, in cui Bonnet riesce a non far rimpiangere la ruggente versione della diva americana, rendendo giustizia ad uno dei più celebrati hit degli ultimi 30 e più anni.

Dopo "America Where Are you Gone" è la volta di "Heading Towards The Light", un brano à-la Led Zeppelin con tanto di intro e coro ed un assolo di chitarra che non lascia indifferenti.
L’unica concessione alla ballata, se tale può essere definita, arriva dopo "Past Lives" e ha per titolo "The Crying Chair": un gran bel brano che potrebbe appartenere ai classici degli Scorpions se non ci fosse un Graham Bonnet a dominare la scena in maniera così prepotente.

Che piaccia o meno, un fatto è certo: Bonnet resta fedele al passato e, senza lasciarsi contaminare da trash, speed o doom, riesce a fare a tutt’oggi del buon, vecchio e sano heavy rock.


Meanwhile, Back in the Garage - tracklist
• 1.2 The Hotel
• 1.3 Livin' in Suspicion
• 1.4 Incest Outcest U.S.A.
• 1.5 Long Island Tea
• 1.6 The House
• 1.7 Sea of Trees
• 1.8 Man on the Corner
• 1.9 We Don't Need Another Hero
• 1.10 America... Where Have You Gone?
• 1.11 Heading Toward the Light
• 1.12 Past Lives
• 1.13 The Crying Chair
• 1.14 Starcarr Lane (Live From Daryl's House 2018)

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