Il "Dobro" e la "National Steel Guitar"

GuitarClub Aprile 1985
di Stefano Tavernese
18 novembre 2016

test

Dobro
Dobro
Chitarra
Di pochi strumenti musicali si può dire che si identifichino così completamente con il nome del costruttore o della fabbrica come il ‘dobro’. Questa singolare chitarra , particolarmente diffusa oggi nel blues e nel bluegrass, nasceva negli Stati Uniti negli anni venti ad opera di una famiglia di immigrati cecoslovacchi, i fratelli Dopyera o D'opera, associati alla compagnia National.

Il nome da loro scelto per l’invenzione era quello di chitarra "resofonica" già dal primo modello, la National Triplate interamente metallica e provvista internamente del ‘risuonatore’ (in cui risiedeva la particolarità principale) di tre coni di alluminio da sei pollici di diametro su cui poggiava la struttura del ponte a forma di T. Questo succedeva nel ‘26 e, già due anni dopo, i fratelli si mettevano in proprio fondando la DOBRO (DO-pera BRO-thers) COMPANY e specializzandosi questa volta in strumenti dalla cassa in legno e il solo risuonatore metallico, in diretta competizione con gli ex-soci.

Negli anni trenta, poi, le due compagnie riescono a dimenticare le rivalità fondendosi nella “NATIONAL DOBRO” e raggiungendo anche l’unitarietà nella produzione. Comunque, durante la guerra, il nome DOBRO si perse in favore di altri di secondo piano...

l'articolo continua...

e, per ritrovarlo, dobbiamo arrivare fino al ‘71 quando Ed Dopera riuscì finalmente a sbloccare la lunga vicenda legale e, da allora, questi strumenti vengono costruiti in California alla Original Musical Instrument Company di Long Beach.

I ‘dobro’ prodotti oggi sono sia del tipo con cassa interamente in metallo sia con cassa di legno e il solo risuonatore in lega. L’interno di quest’ultimo è di due tipi, importanti al fine di determinare il timbro: in uno abbiamo un semplice cono metallico molto sottile sulla cui sommità è incollata la piastra di legno con al centro il ponte (ed è il modello originale National), nell’altro il cono è rovesciato verso l’interno, convesso, e il ponte è situato al centro di una struttura metallica a forma di ragnatela detta ‘spider’, i cui bracci (otto) poggiano sui margini dell’apertura della cassa dove alloggia il risuonatore. In tutti e due i casi questo è coperto da un piatto metallico convesso e forato secondo un paio di disegni ben precisi, mentre le corde vengono fissate ad una cordiera separata. Altri due fori principali sono in genere presenti ai lati dell’ultima parte della tastiera, a forma di ‘f’ di violino nei modelli metallici (o a graticcio come nelle Tri-plate) o tondi e coperti da una fitta rete metallica in quelli con cassa in legno.

Il corpo delle vecchie National era costruito in diverse leghe metalliche come il nickel-argento delle preziose Tri-plate modello ‘Silver’. o il bronzo, cromato o anche ricoperto da una speciale verniciatura a mogano (modello Triolian). La superficie degli strumenti era quasi sempre decorata con motivi ornamentali spesso riferiti alle Hawaii, come palme e scene balneari, e il catalogo era arricchito da altri modelli ‘resofonici’ come mandolini, ukulele, chitarre tenore (a quattro corde) ed altri, come la “National Hawaiian Electric Guitar” e un tipo di violino elettrico. Per quanto riguarda le chitarre vere e proprie, queste erano disponibili in versione normale e ‘hawaiiana’, quest’ultima con manico a sezione quadrata e le corde più alte sulla tastiera per un esclusivo uso con lo stile omonimo.

Il fascino del dobro, usando ora il nome in senso lato, è legato, visivamente, proprio alla sua originalità, a questo ibrido di forme chitarristiche classiche e linee ardite futuristiche che sembrano ammiccare ad una elettrificazione peraltro inesistente, anche se i costruttori parlavano di strumenti ‘amplificati’. D’altro canto il suono stesso è inconfondibile, così grezzo, ruvido e sporco ma, allo stesso tempo, morbido e sensuale, specialmente se viene usato lo ‘slide’.

E’ in quest’ultimo contesto che tutti maggiormente lo conoscono, con i vibrati ed il fraseggio di origine hawaiiana ormai da tempo assimilati dalla country music e dal blues. Quest’ultimo genere in particolare ha permesso allo strumento di varcare l’oceano e di affacciarsi anche alle platee del rock. Tra i dobroisti illustri ricordiamo Duane Allman e Dicky Betts (Allman Brothers), Ry Cooder, Johnny Winter, ed anche Eric Clapton, che proprio da Allman aveva imparato ad amare la ‘slide’ (ricordate ‘Layla’?) e in Italia Roberto Ciotti, Il chitarrista romano Maurizio Bonini, altro noto interprete di blues elettrico ed acustico, è uno dei pochi fortunati possessori di una National ‘Duolian’ dei primi anni trenta, con cassa metallica e attaccatura del manico al 14* tasto; e la ritiene senza dubbio superiore ad ogni altro dobro moderno da lui sperimentato.

Tutti i personaggi citati hanno sfruttato specificamente lo strumento in funzione della tecnica slide e del bottleneck, ma, a volte, il dobro continua ad essere sfruttato seplicemente per le sue qualità di chitarra ‘resofonica’: potenza di suono e timbro; generazioni di bluesmen ne hanno tramandato la voce e l’immagine, da Tampa Red a Son House e Bukka White, fino a Taj Mahal. Essendo ormai rari gli strumenti originali i musicisti di oggi si avvalgono perloppiù di quelli costruiti nell’ultimo ventennio, quando un’aumentata richiesta di mercato ha fornito le premesse per riprenderne la produzione.

Ci sono anche i prvilegiati come Bob Brozman, membro dei “Cheao Suit Serenaders” del disegnatore Robert Crumb (‘Fritz il gatto’), che sembra essere in possesso della famiglia originale National al completo, ed è uno dei pochi oggi a riproporre fedelmente l’antico stile hawaiiano. A proposito di queste isole è opportuno ricordare che gli inventori della ‘steel bar’, la barra di metallo che si fa scorrere sulle corde (‘slide’), sembrano essere stati proprio i musicisti delle Hawaii nel secolo scorso, adattando il nuovo stile alle accordature aperte, già in uso nel cosiddetto “slack key” (‘accordatura allentata’), una tecnica preesistente, e alla caratteristica chitarra di ridotte dimensioni in koa, fiammantissimo e compatto legno locale.

L’introduzione negli USA avveniva dunque già dalla fine dell’800 con le prime tournées dei musicisti hawaiiani, popolarizzando gradualmente il nuovo stile per il tramite di alcuni grandi virtuosi, fino all’arrivo delle National, le Triplate in particolare, che diventano immediatamente lo strumento preferito da tutti grazie a timbro e ‘sustain’ (lunghezza di suono) decisamente superiori alle vecchie chitarrem in koa, favorendo un ulteriore sviluppo dello stile in funzione melodica e solistica. Diretta conseguenza di tutto ciò è per gli hawaiiani l’assorbimento di influenze americane come il ragtime e il blues e, negli USA, il definitivo affermarsi della ‘steel guitar’ (ridotta praticamente alla sola tastiera e chiamata anche ‘lap steel’ perché suonata sulle ginocchia), sia nelle mani del bluesmen, sia di particolari virtuosi come il grande Roy Smeck, noto polistrumentista del vaudeville, sia pure nell’ambito del cosiddetto ‘western swing’ negli anni ‘30 e ‘40. Ricordiamo in questo caso la figura di Leon McAuliffe, solista di ‘electric steel’ con l’orchestra di Bob Wills, la più famosa del periodo.

Tornando allo strumento acustico, avendo questo ormai attraversato musica etnica delle Hawaii, blue, ragtime, ed anche lo swing, negli anni trenta trova posto anche in quel di Nashville, dove compare quanto prima al Grand Ole Opry, tempio della country music in pieno sviluppo, nelle mani di Pete ‘Oswald Kirby del gruppo di Roy Acuff e, qualche tempo dopo, anche del bluegrass di Bill Monroe. In quest’ultimo genere le National vengono messe in secondo piano, rispetto ai Dobro di nome e di fatto con cassa di legno, e lo strumento riceve un ulteriore e consistente apporto stilistico, trovando impiego come efficace antagonista del banjo 5 corde grazie alla figura di Buck Graves, primo dobroista bluegrass con i Foggy Mountain Boys di Flatt & Scruggs. Proprio ad Earl Scruggs, il grande innovatore del banjo, Graves dichiarava di esseren debitore di parte della tecnica della mano destra; lo stile si è ormai differenziato notevolmente da quello hawaiiano. I grandi di oggi nel bluegrass sono Mike Aulridge dei Saldom Scene, maestro di gusto e raffinatezza, e il più giovane Jerry Douglas, incredible strumentista in grado di passare con noncuranza dalle scarne melodie delle canzoni di Emmylou Harris a brani complessi come le composizioni di Chick Corea o altri musicisti jazz. Per quanto riguarda la tecnica, già alla fin e dell’800 nelle Hawaii erano in uso le accordature aperte, poi passate anche negli USA assieme alla ‘steel bar’, nella forma ancora in uso di cilindretti metallici abbastanza pesanti per generare una buona sonorità, ed anche capotasti particolari per tenere le corde sollevate dalle barrette, prima che queste venissero brutalmente eliminate perché inutili nelle versioni ‘hawaiian’ delle National e delle Dobro. In queste versioni infatti, come abbiamo detto in precedenza, le chitarre sono fornite di un manico a sezione quadrata (square neck) e, al capotasto le corde sono tenute ben alte sulla tastiera, onde facilitare il lavoro con la ‘steel bar’. Rimane legata al blues invece l’invenzione del cosiddetto ‘bottleneck’ (collo di bottiglia), generalmente in vetro come dice il nome, e sfruttato in generale con lo strumento tenuto parallelo al busto, come nella normale tecnica chitarristica, al contrario di quella hawaiiana in cui è poggiato sulle ginocchia, da seduti (salvo nel bluegrass in cui viene spesso suonato in piedi, con l’ausilio di una tracolla, ma sempre con la cassa rivolta verso l’alto).

A differenza della normale ‘steel bar’ in metallo pieno, tenuta tra le dita della sinistra, il ‘bottleneck’ viene infilato ad una di queste dita, generalmente l’anulare o il mignolo, dando modo al resto della mano di agire normalmente sulla tastiera. Anche i ‘fingerpicks’, i plettro metallici applicabili alle dita della destra per ottenere maggiore volume e niditezza, sembrano essere originari delle Hawaii dove venivano ricavati da pezzi di lamiera. Tutt’oggi sono prodotti e apprezzati quelli National e, in genere, si applicano all’indice e al medio, raramente all’anulare, mentre per il pollice quasi tutti preferiscono ‘thumb-picks’ di plastica.

Per le accordature più in uso, essendo moltissime e dipendendo spesso dal singolo musicista, cito solamente quella più comune nel bluegrass, che è anche il genere in cui la tecnica del dobro si è più sviluppata. Si tratta di un’accordatura in SOL nella quale, partendo dalla 6° corda, abbiamo: SOL SI RE SOL SI RE; oppure RE SOL RE SOL SI RE.

Podcast

Album del mese

Willie Nelson
My Life, è una lunga storia...
Il Castello/Chinaski Edizioni

My Life, è una lunga storia... Ebbene sì, si tratta dell’autobiografia che Willie Nelson ha messo a punto con David Ritz, tradotta in italiano per...

The Decemberist
As It Ever Was, So It Will Be Again
Yabb Records

Tredici nuovi brani, di cui – dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo – una lunga suite di circa 20 minuti: si tratta...

Ray Lamontagne
Long Way Home
Liula / Thirty Tigers

Se c’è una domanda che possiamo rivolgere a Ray LaMontagne, è questa: com’è che ogni suo nuovo lavoro si impone a rotazione e non lascia...