MALACARNA Malacarna
recensione
Malacarna segna il debutto dell’omonima band italiana capitanata da Vince Pastano (che si cimenta egregiamente anche con basso, synths e piano) e Tony Farina (voce solista). Completano la lineup Donald Renda (batteria) e Fabrizio Luca (percussioni).
Prima di addentrarci tra le pieghe dell’album in questione, delineiamo in breve la figura di Vince Pastano, uno dei chitarristi più interessanti dell’odierno panorama musicale italico. Oltre a portare la sua chitarra sul palco di Vasco Rossi da diversi anni, Pastano è un valente arrangiatore e produttore, dunque, uno particolarmente attento ai suoni. Dal 2018, con la prematura scomparsa di Guido Elmi, lo storico produttore di Vasco, Pastano finisce per assumerne il ruolo, occupandosi della scaletta e dell’arrangiamento-live dei brani del Blasco nazionale. Come dicevamo sopra, stiamo parlando di un musicista che sa il fatto suo, la cui cosa, inevitabilmente, finisce per riflettersi sul sound generale dell’album dei Malacarna.
Il progetto Malacarna nasce nel 2016 e prevede dapprincipio brani con i testi in inglese, fino a che la band decide di adottare il dialetto lucano: una scelta coraggiosa ma rivelatasi vincente, come testimonia il loro omonimo album di debutto di cui andiamo a parlare.
La traccia di apertura – Nunn’è relore...
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– mette in evidenzia quelli che sono i tratti distintivi del progetto Malacarna. Il cantato di Farina sa essere inquietante [a parere di chi scrive, ricorda a tratti quello del Capossela più istrionico e gigione] e l’utilizzo dell’idioma lucano si innesta alla perfezione con i suoni abrasivi e sbilenchi della chitarra di Pastano. A rendere ancora più interessanti le cose, l’originale connubio di linee melodiche di matrice etnica, sottolineate da un sound indirizzato verso i territori di industrial, tribal, noise…
Proprio questo genere di atmosfere, con il perdurare di un certo minimalismo melodico/armonico di fondo, sono il focus del progetto musicale in questione, con i suoni (estremamente curati) a fare da collante, così come le tematiche che attingono a piene mani dalla cultura popolare/tradizionale del Sud Italia. L’amore, la morte, il dolore e, per esteso, la vita, ricorrono in tutte le liriche dell’album, descrivibile a questo punto come una sorta di concept. Prova ne è l’evocativa Maria Lou, una donna indicata come una poco di buono (“Malacarna”), condannata e giudicata sulla base di infondate dicerie di paese; un appellativo utilizzato per condensare concetti e credenze popolari meridionali verso una figura che incute rispetto e timore al contempo. Il ritmo tribal, sottolineato dalle chitarre sghembe di Pastano (una goduria!), arrecano a alla suddetta traccia un’atmosfera volutamente malata, dal forte impatto emotivo.
In quanto ai suoni, non è un caso che Malacarna sia prodotto da Marc Urselli, vincitore di ben tre Grammy Awards. I più smaliziati noteranno riferimenti ad atmosfere da film: nella traccia conclusiva, Resta Cu mmi, sono evidenti infatti i parallelismi con le ambientazioni musicali di “Twin Peaks” del genio visionario David Lynch, ma c’è anche chi ci vede dei rimandi al cinema di Robert Eggers, tra i noti registi del cosiddetto New Horror. Un progetto, questo disco, davvero interessante e da seguire con la giusta attenzione.
Dario Guardino
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