GIORGIO MASTROCOLA On The Rope
recensione
Si comincia con un biglietto d’ingresso dal titolo eloquente, Intro. È così, infatti, che ritmo, padronanza tecnica ed eleganza ci guidano nelle pieghe nascoste di un mondo misterioso, passo passo tutto da scoprire. Immaginate una landa desolata, la foschia, l’alba, in lontananza il fantasma di John Fahey (radicata fonte di ispirazione del chitarrista e nume tutelare dell’intera opera) che si...
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appresta a scomparire con il sopraggiungere dei primi fiochi raggi di un pallido sole autunnale. È mattina, è un nuovo giorno, è l’ora di Robin Goodfellow, splendida seconda traccia di On The Rope: quasi un inno alla natura e a secoli di immortali leggende anglosassoni, un brano che scalda come un fuoco e che di quest’ultimo incarna calore, magia e crepitio. Di tutt’altra foggia è la successiva Plaza de Mayo, una composizione - spiega Mastrocola - nata «dopo aver visto un documentario sull'organizzazione argentina per i diritti umani Nonne di Plaza de Mayo, che ha come finalità quella di localizzare e restituire alle legittime famiglie tutti i bambini sequestrati nell'ultima dittatura militare». Meravigliosa. Forse la traccia più rappresentativa del disco, anche per la sua posizione centrale. Un caso? Può essere, ma di On The Rope rappresenta sicuramente il cuore pulsante tornando addirittura in veste di bonus track con l’aggiunta di un quartetto d’archi condotto dal maestro Feyzi Brera. Non è da meno la suggestiva Pompon Lilliput Tip Tap che si ricollega al brano Robin Goodfellow per i riferimenti agresti, questa volta più precisi e mirati. «La Zinnia Pompon Lilliput è una pianta dai fiori bellissimi a forma di pompon» - racconta l’autore. «Il brano nasce osservandola muoversi freneticamente in una giornata di vento, fra turbinii improvvisi e momenti di quiete». E la quite, il relax (con tanto di fischiettio iniziale) torna ad essere protagonista assoluto della bella Sunday… preludio indicatissimo per la traccia che, prima dei bis, ha il compito di suggellare con la parola “fine” la chiusura del cerchio simbolico ricamato dall’EP. Il suo nome è Tibetan Bell ed è una piacevole sorpresa per tutti coloro che pensano che l’ukulele sia un qualcosa di limitato e limitante, troppo connotato, persino banale. Giorgio Mastrocola sfida il pensare comune e si lancia in un sentito omaggio alle quattro corde di quel piccolo versatissimo strumento facendolo esprimere (e vibrare) ai massimi livelli.
Franco Battiato, Morgan, Gianna Nannini, Max Pezzali, i nomi altisonanti si sprecano scorrendo il curriculum vitae dell’ideatore di On The Rope, il quale non solo ha calcato palchi da capogiro ma ha anche inciso dischi, curato arrangiamenti e collaborato al fianco di artisti di chiara fama nazionale. Eppure, come spesso capita quando si depongono i panni “istituzionali” e si va a scavare dentro di sè, emerge la vera anima, il cosiddetto diamante allo stato grezzo. Giorgio Mastrocola, qui alla sua prova di debutto, lo ha trovato e noi non possiamo che essere felici di poterne godere assieme a lui con la mente, con la pancia e con il cuore.
Umberto Poli
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