JAPANDROIS Near To The Wild Heart Of Life
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recensione
È regola non scritta – ma universalmente rispettata – quella che vuole un duo rock pronto a dare in pasto al pubblico ogni goccia di sudore nel tentativo di sopperire all’esiguità dell’organico. Una regola che solitamente produce adombranti rappresaglie sonore, difficilmente ripetibili per intensità; si pensi ai Royal Blood, giusto per citare una ulteriore giovane proposta, o piuttosto ai The Black Keys dei primi (ancora imbattuti…) album… ebbene, il duo rock è un concetto che affascina e funziona, soprattutto se lanciato a briglie sciolte e i Japandroids non sono certo da meno.
Dicevamo sopra che era stato Post-Nothing (Polyvinyl, 2009) ad aprire le danze, ma è stato il roboante Celebration Rock (Polyvinyl, 2012) a confermare la validità del progetto firmato...
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da King e Prowse: un garage rock esplosivo e furente.
L’attesa per l’uscita di Near To The Wild Heart Of Life faceva da tempo tribolare appassionati e addetti ai lavori che, memori delle bordate già assestate dai canadesi, erano certi di potersi preparare ad una nuova “crunch parade”. Attese rispettate? Parzialmente. Non che la band abbia tradito il proprio credo, ma il nuovo album mostra la perizia di una produzione che ha smussato pressoché ogni spigolo grezzo ed acuminato del lavoro: ovvero, proprio l’elemento che aveva marchiato a fondo i cuori dei fan.
Near To The Wild Heart Of Life sarà probabilmente l’album della conferma per le grandi masse, ma pecca di troppa precisione per un progetto che si era fatto largo in sede live grazie all’equivalente sonoro di sprangate sui denti. Il cambio di rotta più netto si rintraccia nei ritornelli dei vari brani, i quali, ora indugiano troppo sulla cantabilità rispetto all’impatto dinamico, optando per un ritocco pop/rock, piuttosto che per una sporca, sputacchiante e vorace grinta. Per una volta è il caso di dirlo: qualche difetto, avrebbe giovato!
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