Mantar "The Modern Art of Setting Ablaze"
intervista
Formatisi nel 2012 i Mantar, forti dell’originalità del loro sound e dalla tutto sommato fruibilità dei loro riff, propongono brani caratterizzati da ritmi solidi e potenti e da un songwriting di qualità, quasi totalmente ad opera di Hanno.
Se i loro primi due album – "Death By Burning" (2014) e "Ode to The Flame" (2016) – sono stati una piacevole sorpresa per gli appassionati del genere e raccolto all’istante i consensi dei più, per il nuovo "The Modern Art of Setting Ablaze", i Mantar hanno mirato più in alto, seriamente intenzionati a proporre un climax ancora più forte ed immediato dei precedenti... Vediamo quel che ci racconta Hanno Klanhardt.
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Modern Art of Setting Ablaze è il terzo album dei Mantar: ritieni che segnerà una tappa fondamentale per la vostra carriera?
Chissà, sarà il tempo a dircelo… io però ci spero! Il nostro primo album è piaciuto alla gente e così abbiamo vissuto un bel po’ di pressione nel momento di realizzare il secondo. Anche quello è andato molto bene e, ad essere onesti, devo ammettere che per noi questo terzo disco era davvero importante. A un certo punto abbiamo sentito l'esigenza di fare ancora meglio e non a caso direi che c’è ancora più energia nel nuovo The Modern Art of Setting Ablaze. Secondo me, quando arrivi al terzo disco, indipendentemente dal genere di musica che fai, devi dimostrare di aver sviluppato il tuo proprio stile e mood: quello che la gente riconosce alla prima nota. Penso che con questo nuovo disco ci siamo riusciti. Quindi, per tornare alla tua domanda, sarà il tempo a darci le risposte adeguate.
Come mai avete scelto Age Of The Absurd come primo singolo?
Perché riteniamo che rappresenti lo spirito dell’album. Un brano con una melodia orecchiabile, un beat potente e un testo che a mio parere rimangono impressi.
Avete dovuto affrontare qualche difficoltà nel registrare i brani del nuovo album?
In generale direi di no, ma se proprio vogliamo entrare nei dettagli, citerei la intro di chitarra acustica di The Knowing: io sono un chitarrista acustico molto “rumoroso” mentre invece in quel caso era necessario creare un’atmosfera sottile e impalpabile. Non sono così eccezionale in questo genere di cose… Dal punto di vista del drumming, nessun intoppo: Erinç è stato grandioso ed è riuscito registrare tutte le sue parti in soli due giorni.
Il format del duo rende il lavoro generale più facile o più difficile?
Lo rende molto più facile e, tanto per cominciare, è più facile instaurare la democrazia! Non è come in un trio dove magari due persone concordano su una cosa e la terza resta scontenta; qui o tutti e due siamo d’accordo sul da farsi, oppure quella cosa non si fa. Anche il songwriting è molto più agevole: scrivo i brani per conto mio e va bene così. Viceversa, quando ci sono troppi cuochi in cucina, la ricetta finisce per non procedere nel verso giusto. Faccio ascoltare le cose a Erinç [batterista] ci mettiamo a lavorarci sopra assieme e vengono fuori le nostre song. Anche il fatto di viaggiare è molto più confortevole perché siamo solo in due e la cosa ci consente di condividere le stesse situazioni… siamo come una coppia di marito e moglie! [ride] Al contempo, non nego che talvolta è un po’ pesante, ma abbiamo imparato a risolvere da subito ogni tipo di incomprensione… In tutti i casi, siamo l’uno il miglior amico dell’altro, con i reciproci pregi e difetti.
Quindi presumiamo che allargare la lineup non sia nei piani dei Mantar…
A mio avviso, non sta tutto nel numero di persone coinvolte, ma nella creatività, nel feel che nasce tra un musicista e un altro. Oggi ritengo che aggiungere ai Mantar un terzo o un quarto elemento creerebbe confusione e sarebbe controproducente. Siamo stati noi due a creare tutto questo, quindi non serve nessun altro che venga a scompigliare le carte...
Come si è sviluppata la tua partnership musicale con Erinç negli anni?
Quando circa cinque anni fa abbiamo dato vita al progetto, avevamo bisogno di fare prove e jam continue; poi abbiamo cominciato ad andare a suonare in giro per il mondo e da quel momento in poi non abbiamo avuto più il tempo di trovarci per le prove. Oltretutto, oggi sarebbe dura visto che io vivo in Florida ed Erinç in Germania e così ci incontriamo e proviamo quando decidiamo di fare un disco.
C’è qualche rock band della tradizione che ti ha influenzato?
Assolutamente sì. Ad esempio, io ho preso in mano la chitarra a 6/7 anni grazie agli AC/DC, ma mi hanno influenzato parecchio anche i Motorhead e i Thin Lizzy. Per me loro sono autentiche classic rock band, con un autentico groove. E il groove è la cosa più importante nella musica… altro che suonare hard o velocissimo! Quando ascolti i pezzi di queste band, non riesci a stare fermo, il ritmo e la melodia ti prendono e ti coinvolgono nel profondo. Raggiungere un risultato del genere con i Mantar è la mia maggior ambizione… ma non è facile.
Tu suoni la chitarra ma sei anche un cantante: trovi particolarmente impegnativo sostenere entrambi i ruoli, soprattutto sul palco?
Direi proprio di sì. Il fatto di suonare e cantare bene al contempo, non è semplicissimo, ma che si può fare? In tutti i casi è molto divertente.
I Mantar non hanno un bassista, lo sappiamo, ma se proprio dovessi coinvolgerne uno, per chi opteresti?
In un contesto come quello dei Mantar direi che non serve nessuno ma in generale adoro il sound di Cliff Burton (Metallica) e Lemmy (Mortorhead). Entrambi suonavano il basso come fosse una chitarra, che è un po' quello che faccio anch’io. Suono la chitarra con le corde per basso e in tutti i casi, ero un bassista prima che un chitarrista e dunque il mio stile vuole essere semplice ed efficace al contempo.
Torniamo a te chitarrista… c’è una sei corde che prediligi su tutte?
Direi la classica Stratocaster dei ‘70, preferibilmente bianca… ma anche la Telecaster è super! Io ho diverse chitarre e quella che mi piace di più probabilmente è la mia Fender Tele JV Japan in finitura Butterscotch. Anche se con i Mantar non la uso, in realtà io mi definisco un tipo da Fender. Ho varie Strat e Tele ed amo il loro suono. Anzi, a mio avviso non c'è niente di meglio di una classica Fender collegata a un amp Fender old style… ad esempio, adoro i Deluxe Reverb e i vecchi Champ.
Hanno Klanhardt equipment
LTD Guitars: Viper Baritone VB-400 (con pickup Bill Lawrence XL500 e L500) – Eclipse Baritone (con pickup Bill Lawrence XL500 e L500) – Danelectro Guitars: 56 Baritone – Amps: Petersburg P-100. Orange OR 120 (1976). Fender Deluxe Reverb (1979). Nunez Amps Annex MKII – Cabinets: Orange (o Marshall) – Stompbox: TC Electronic Polytune Mini. Lehle Sunday Driver. Musicom Lab MK3+ Looper/Switcher. Catalinbread SFT. Mooer Black Secret e Blade. Boss DS-2 Turbo Distortion, DD-5 Delay, PS-5 PitchShifter e OC-3 Octaver. EHX Micro POG – Orion Effekte Blackmail – SansAmp Bass Driver
The Modern Art of Setting Ablaze - tracklist
1 The Knowing
2 Age of the Absurd
3 Seek + Forget
4 Taurus
5 Midgard Serpent (Seasons of Failure)
6 Dynasty of Nails
7 Eternal Return
8 Obey the Obscene
9 Anti Eternia
10 The Formation of Night
11 Teeth of the Sea
12 The Funeral
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