Nine Inch Nails "Bad Witch"

recensione
Bad Witch dovrebbe essere considerato un EP, ma i trenta minuti che lo compongono hanno immediatamente fatto gridare al miracolo i tanti fan di Reznor, da tempo in attesa di un nuovo long play. La verità è che la mezzora di musica firmata NIN arriva come il perfetto lenitivo per curare l’assenza dagli scaffali della band, ma soprattutto consegna nelle nostre mani la tanto agognata e più che degna celebrazione di una carriera spesa rincorrendo continuamente...
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nuovi mondi sonori.
Il nuovo EP dei Nine Inch Nails segna i trent’anni di attività del progetto: 30, cifra che appare impossibile anche soltanto da immaginare quando legata a Reznor, e questo accade proprio perché l’intraprendenza sonora messa in campo fino ad oggi ha sempre proiettato la band in una sfera atemporale e apparentemente immune allo scorrere dei giorni. Bad Witch sottolinea questa indole cangiante e mutevole, e lo fa con una violenza a tratti insopportabile per quanto sorniona e dalle movenze sinuose.
Dal synth pop di Over and Out per approdare alle spinte industrial di Ahead of Ourselves, Bad Witch non solo rappresenta al meglio tutte le anime musicali di Reznor, ma le amplifica e le trasmette in una forma articolata ed in grado di riempire ogni cellula che compone lo spazio d’ascolto. Bad Witch è denso ma comunque in grado di graffiare, apre squarci sonori per poi infilarcisi ed esplodere sottopelle. Siamo di fronte ad un lavoro maturo, eppure - in qualche modo non completamente chiaro così da essere compreso - fresco di una voglia di ricerca che solitamente non dialoga bene con la coscienza dell’età adulta. Got a new face, it feels alright, recita Reznor in Shit Mirror, e nient’altro potrebbe racchiudere più semplicemente la natura di un album che in maniera epicamente sommessa riporta sulle scene una delle più coraggiose e temerarie idee che i generi “estremi” abbiano mai visto. Lunga vita al Re.
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