PALLBEARER Forgotten Days
recensione
Niente di nuovo sotto il sole per quanto riguarda la scalata del gruppo all’attenzione del pubblico metal mondiale, che ora può godere di quella proposta doom accattivante ed accessibile anche su ampia scala.
Forgotten Days segna il ritorno del gruppo, comeback discografico che molti aspettavano al varco per poter capire se dopo la firma con Nuclear il gruppo si fosse voltato verso una incarnazione ancora più “mainstream” di una già affabile proposta melodic doom.
Il nuovo lavoro della band dell’Arkansas conferma però ciò che di buono si era ascoltato in passato, consegnandoci la giusta dose di riff dal passo pesante ed a tratti strascicato, sui quali il cantato pulito e melodico di Brett Campbell si appoggia con un fare sempre più conscio delle proprie possibilità espressive.
Se la traccia d’apertura, che è anche quella che dà il titolo al lavoro si mostra subito in tutta la sua immediatezza e capacità di conquistare l’ascolto,...
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il resto della tracklist fa sfoggio di un più alto livello di stratificazione e diversificazione strutturale.
Dai tratti slowcore di Riverbed, passando per le mire prog di brani come Silver Wings e Rite of Passage, (strascico di quanto già introdotto dal gruppo con il precedente Heartless), e arrufianandosi i fan del doom più diretto e conciso grazie a tracce quali Vengeance & Ruination oppure The Quicksand of Existing, gli otto brani di Forgotten Wings trascinano senza troppi intoppi alla conclusiva e più riflessiva Caledonia.
Se in passato i Pallbearer non erano riusciti a convincere del tutto i puristi del genere, Forgotten Days non centrerà di certo l’obiettivo, ma questo potrebbe non essere un male. Con il nuovo album della band americana si concretizza infatti quella formula heavy fatta di un doom potente, a tratti più “easy-listening”, e sempre pronto ad incorporare elementi melodici dalla componente lirica spiccata.
Arturo Celsi
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