NEIL YOUNG Peace Trail

di Arturo Celsi
13 marzo 2017

recensione

NEIL YOUNG
Peace Trail
Reprise Records
Con la vittoria di Trump ad aver scosso l’intero mondo politico, è facile comprendere da dove sia scaturito il nuovo album di Neil Young. È possibile dire che molti dei migliori album del cantautore canadese siano nati proprio nei periodi più turbolenti e Peace Trails (che segue a distanza di un solo anno The Monsanto Years) è esattamente ciò che ci si potrebbe aspettare: figlio del suo tempo...

Era dai tempi di Living With War (2006), che Neil Young non dava in pasto al mondo un prodotto così strettamente legato al momento storico da cui è nato, e ciò si tramuta in una manciata di brani che arrivano all’orecchio talmente veloci da graffiare e sfregiare. Dieci brani che sviscerano con gran furore alcuni degli argomenti più scottanti che hanno caratterizzato l’anno appena conclusosi, sul suolo americano e non solo; in Peace Trails c’è la crisi acquifera di Flint, la protesta contro la Dakota Access Oil Pipeline che minacciava le lande sacre dei Sioux, la progressiva obsolescenza della stampa, ma anche la crisi mondiale indotta dal terrorismo e, quasi in maniera ovvia, l’incedere titanico e sovrastante della tecnologia sulla vita dell’uomo. Sembra...

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quasi una scaletta di sfogo quella di Young, che per cucire la veste del nuovo album è ricorso alla più diretta forma di produzione, spogliandosi di ogni gingillo e portando così alla luce il legno, la polvere e la terra.

Per la quasi totalità dell’ascolto, minuto più, minuto meno, Young fa accompagnare la sua acustica ed i rantoli della sua elettrica da un basso “appoggiato” qua e là, e da una pressoché ininfluente selezione di pattern percussivi. È consolante veder tornare il nostro in buonissima forma, soprattutto dopo un 2016 capace di privarci di troppi grandi autori, ma vista la caratura del personaggio, Peace Trails non può accontentarsi di esistere. Nel tentativo di chiudere i brani prima che il fervore dell’istante generatore si affievolisse, il nostro ha disseminato elementi di fattura discutibile, se non deludente, o perlomeno rivedibile.

Si storce un po’ il naso nell’ascoltare (in più di un’occasione) frasi di banale retorica romantico-cantautorale-di primo pelo, o piuttosto stralci provenienti dal Manuale Base del Sentimentalismo di Protesta, malgrado ciò ci si accorge presto trattarsi di piccoli, lievissimi, episodi.
E quindi è tempo di essere nuovamente felici, perché c’è ancora chi, come Neil Young, risponde al passare degli anni con costante determinazione.

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