DESTRAGE SO MUCH. too much.
recensione
Rappresentanti nostrani nel mondo heavy dal 2007, quando pubblicavano quell’ Urban Being un po’ ruvido ma già estremamente promettente, i Destrage sono una delle manifestazioni più fervide del nostro paese in ambito metal, e l’esperienza accumulata dopo ben cinque produzioni discografiche non poteva non tornare utile per un album che arriva come uno schiaffo in faccia agli eventi dei recenti anni di COVID. Figlio della pandemia e del suo strascico pestilenziale lasciato sulla società, SO MUCH. too much. si offre come una straniante sonorizzazione di un immaginario che è tanto fervido da poter sembrare quasi “visibile”. La potenza espressiva dei Destrage si eleva in questo album concretizzando un processo di affinamento che riesce a portare su nuove altezze l’idiosincrasia sonora del quintetto milanese.
SO MUCH....
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too much. suona serrato, ricchissimo di informazioni sonore che vengono distribuite con la solita, determinata, efferatezza che contraddistingue la band. Sicuramente complici la produzione di Matteo Tabacco ed il mixaggio di Will Putney, il quintetto questa volta riesce a prodursi in un’affilata vivisezione uditiva. Il singolo di lancio, Everything Sucks And I Think I Am A Big Part Of It, ne è un perfetto esempio, ed infatti oblitera - letteralmente - l’ascolto con stop & go al fulmicotone, break down in grado di depressurizze l’aria, ma anche con il giusto - sempre ben piazzato - apporto melodico.
Italian Boi è un altro perfetto esempio dello stato di grazia dei Destrage a quest’altezza temporale. Con cambi armonici spigolosi (ma estremamente acuti) ed una scansione al limite dell’asfissiante, riesce a defilarsi in maniera quasi “intellettuale” da un titolo apparentemente semplicistico. Niente è scontato, o semplice, in SO MUCH. too much., dalla rabbia di Venice Has Sunk, passando dal refrain di A Commercial Break That Lasts Forever, per arrivare alla furia mitigata di Unisex Unibrow: il design sonoro dei Destrage è un’opera dalla chirurgica attenzione tecnico-esecutiva.
A volte vien quasi da pensare che se una pandemia è servita a piantare i semi per album come SO MUCH. too much., allora guardare al bicchiere mezzo pieno non è poi così difficile... Ma sempre accompagnandolo con sorsate di riff acuminati e cambi di rotta che sembrano poter spezzare la schiena.
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