BEN HARPER Bloodline Maintenance

di Umberto Poli
02 ottobre 2022

recensione

Ben Harper
Bloodline Maintenance
Chrysalis Records
Quando, nell’autunno del 2020, lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita di Winter Is For Lovers, Ben Harper ci aveva confidato che il suo album successivo sarebbe stato interamente dedicato al reggae. Dall’epoca, però, molte cose sono successe: tra queste, la morte improvvisa del bassista e collaboratore storico del nostro, Juan D. Nelson. Virtuoso dello strumento, elemento cardine degli Innocent Criminals, amico fraterno del cinquantaduenne cantante e chitarrista californiano. Vita personale e ispirazione hanno dunque portato al confezionamento di un nuovo lavoro, sì, ma completamente permeato da suoni ed influenze black. Bloodline Maintenance, secondo lo stesso Harper è infatti una personale e originale sintesi tra elementi hendrixiani e radici, quelle che portano il nome di Robert Johnson, Sam Cooke, Marvin Gaye, Stevie Wonder. Niente reggae, perciò, ma corpose dosi di blues e soul declinate in più modi e attraverso la caleidoscopica lente dell’autore, un artista ormai maturo e libero da vincoli, forte di sè e di un suono divenuto unico nel corso di una carriera iniziata nel lontano 1992.

Da notare come, sulla scia del precedente Winter Is For Lovers , anche in questo caso l’album sia accreditato al solo Harper. Nessun accenno ai fidati...

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Innocent Criminals o ad altri fedeli compagni di studio e tour. Si tratta infatti di un viaggio in solitaria che denota un nuovo passo in avanti nella ricerca personale (e artistica) condotta dal songwriter di Pomona, il quale - nelle 11 tracce presenti - suona quasi tutto da solo (chitarre, basso, batteria, ecc.) avvalendosi di tanto in tanto delle percussioni di Leon Mobley, dei fiati di Geoff Burke o delle voci di Chavonne Stewart ,  De’Ante Duckett e Alethea Mills. Era già successo in passato, ma - ora più che mai - questo aspetto appare evidente anche dalle scelte di missaggio. Si ha da subito infatti la sensazione che il sound - in più momenti - non sia quello di una band “catturata” in presa diretta: si avverte una sorta di scollamento, come se i brani scorressero fluidi ma al tempo stesso sembrassero appositamente assemblati ad hoc. La conferma arriva dai credits, che mostrano come Harper appunto abbia optato per incidere tutto, o quasi, in autonomia, partendo dalle quattro corde del basso.

Detto ciò, a rendere l’ascolto di Bloodline Maintenance estremamente piacevole, sono le canzoni che - ancora una volta - risultano accattivanti, ben costruite, profonde per quel che concerne le tematiche (in primis, schiavitù e razzismo). Below Sea Level, l’iniziale traccia a cappella, vale da sola l’intero album ed è forse la canzone più emozionante in scaletta. La grintosa We Need To Talk About It e la solare Need To Know Basis sono esercizi di stile realizzati in maniera ineccepibile, ma non aggiungono nulla a quanto di buono ci si possa ancora aspettare da Ben Harper. D’altronde, come testimonia la foto di copertina, la sensazione generale che emerge dall’ascolto dell’album è quella di un costante - e urgente - ritorno al passato, alle origini, agli affetti più cari. Musicali e non.

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