Judas Priest "Firepower"

di Nicola Vitale
23 marzo 2018
Già dal titolo dell’album – "Firepower" – i Judas Priest sembrano voler ribadire, ancora una volta, che il loro nome equivalga alla definizione stessa di heavy metal, sia dal punto di vista sonoro che da quello prettamente estetico e immaginifico. E sì, perché i Priest di questo genere di musica che è diventato un vero e proprio movimento sociale e culturale (per la fede con cui è stato amato da milioni di seguaci in tutto il mondo), hanno forgiato le coordinate ed estetiche, attraverso quell’immaginario fatto di motociclette ed abiti di pelle e borchie.
A quattro anni dalla tiepida accoglienza di "Redeemer of Souls", l'album dei Priest del 2014, arriva ora "Firepower" e con esso la conferma della potenza della band!

JUDAS PRIEST – Firepower lineup
Rob Halford (vocal) – Glenn Tipton (guitar) – Richie Faulkner (guitar) – Ian Hill (bass) – Scott Travis (drum) – In tour: Andy Sneap (guitar)


Ad oggi, il gruppo di Birmingham è orfano anche di Glenn Tipton, indebolito dal morbo di Parkinson (l’ulteriore chitarrista storico, K.K. Downing, ha lasciato nel 2011) e al suo posto è arrivato Andy Sneap (peraltro produttore di Firepower), pur se Rob Halford giura che è stato Tipton...

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a suonare la chitarra su Firepower (Epic Records). In ogni caso, la coppia Tipton/Richie Faulkner, è ben rodata, e la band britannica pubblica questo nuovo disco superiore rispetto al precedente e scialbo Reedeemer Of The Souls (2014).

JUDAS PRIEST – 17 giugno 2018 – Firenze Rocks

"Firepower" apre le danze, ed è già un potenziale classico a-là Priest, con un riff secco e sferzante che introduce una melodia dal sapore inconfondibile di un inno. Qualcuno ha commentato quanto brani come Lightning Strike e Children Of The Sun, col loro incedere “glorioso e magniloquente”, ricordino alcuni episodi di band come Manowar e Running Wild ma, in realtà, la componente epica è sempre stata una caratteristica di Halford & Co. ed ora, tra le tracce del nuovo lavoro, offrono una vera e propria rilettura delle tante anime che li caratterizzano.

Se Necromancer, in quanto a riffing e struttura (oltre che nel cantato ringhiato, con la strofa scandita dai cori) ricorda il piglio di certi brani di Painkiller (1990) e l’intro di Never The Heroes fa lievemente eco alle atmosfere di Ram It Down (1988), è la melodia irresistibile di No Surrender e l’intensità di Sea Of Red (una delle ballad dei Priest più belle dell’ultimo ventennio…) ad essere il sigillo che chiude il loro disco più convincente degli ultimi anni.

Non è un capolavoro, Firepower e non può competere con i loro classici, ma è giusto dire che i Judas Priest sono tornati in gran forma e, a quanto pare, non hanno alcuna intenzione di fermarsi...

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