PAPA ROACH Crooked Teeth

di Arturo Celsi
27 giugno 2017

recensione

PAPA ROACH
Crooked Teeth
Elevenseven Music
Alcune band portano in sé i tratti distintivi di un determinato periodo storico, ed è questa una maledizione ed una benedizione, perché seppure questo implichi un immediato riconoscimento di connotati sonori inconfondibili, spesso è anche sinonimo di staticità e immobilismo artistico. La vita dei Papa Roach è indubbiamente legata alla scena “nu-rap” della prima parte degli anni 2000, e conseguentemente a quella commistione di rap e nu-metal disgregato rispetto alle sue origini di metà anni ’90. La formula ha accompagnato il gruppo californiano lungo tutta la sua esistenza, di tanto in tanto colorandosi con accenti di estrazione pop, punk e hardcore, ma senza mai distaccarsi radicalmente da ciò che aveva posto le basi per il successo discografico.

Lineup: Jacoby Shaddix – lead vocals - Jerry Horton – lead guitar, rhythm guitar, backing vocals - Tobin Esperance – bass, programming, backing vocals - Tony Palermo – drums, percussion

I Papa Roach sono inoltre una di quelle band troppo spesso date per scontate, non sul piano uditivo, quanto piuttosto su quello discografico, ovvero sono una di quelle band che dalla fine degli anni novanta aleggiano sulla scena musicale mondiale come una...

l'articolo continua...

presenza costante, magari senza farsi sentire in continuazione con nuovo materiale, ma comunque sopravvivendo allo scorrere del tempo in maniera encomiabile. Con una perseveranza pressoché perfetta i Papa Roach hanno pubblicato un album ogni due/tre anni dal 1997 ad oggi, arrivando così con il nuovo Crooked Teeth a conquistare il traguardo del nono capitolo discografico. Vale decisamente la pena sottolineare certi dati, perché per una band che ha fatto di una proposta heavy orecchiabile e meno spigolosa rispetto al più diffuso trend del genere (senza in alcun modo voler utilizzare tali termini con accezione negativa), è sicuramente interessante constatare come alla costanza delle uscite discografiche non sia corrisposta anche un sovraffollamento di materiale, che negli anni è sempre stato presentato in maniera bilanciata.

Crooked Teeth è quindi il nono album in carriera per la band originaria di Vacaville, che per questa nuova avventura discografica si è inizialmente affidata al crowdfunding tramite PledgeMusic, per poi approdare invece su ElevenSeven Music; anticipato dai singoli Help e Crooked Teeth, il nuovo album firmato Papa Roach arriva sugli scaffali dei negozi di dischi il 19 maggio con il grande obbiettivo di voler rinfrescare i ricordi di un gruppo la cui proposta musicale è ancora fortemente ancorata a ciò che l’ha resa celebre. Missione compiuta? In parte.

Cercare strade nuove è difficile, e solitamente non è una di quelle cose che accadono a comando o con il semplice schioccare di dita, ma provare a mescolare le carte sul proprio tavolo aiuta la creatività a trovare vie inedite, e alcune delle scelte che hanno portato alla realizzazione di Crooked Teeth hanno fatto esattamente questo. Dopo F.E.A.R. (2015), prodotto da Kevin e Kane Churko, i Papa Roach si sono affidati ad una coppia di produttori alle prime armi, mossa che ha concesso ai nuovi brani di rifarsi direttamente al periodo di slancio iniziale del gruppo, senza però finire nel nostalgico o nell’autocelebrazione. Nicholas “RAS” Furlong e Colin Brittain hanno seguito la band nella produzione di tutte le tracce, ad eccezione di Born For Greatness che è stata invece realizzata insieme all’autore e produttore Jason Evigan, noto ai più per il suo lavoro con Jason Derulo, Demi Lovato e Maroon 5.

Sento sicuramente un cambio di sound su questo album, più che in passato. – ha detto Jacoby Shaddix - Volevamo qualcosa di diverso, quindi quando si è trattato di scegliere il produttore, abbiamo puntato su due giovani di Los Angeles: Nick [Nicholas ‘Ras’ Furlong] e Colin [‘Doc’ Brittain]. Siamo entrati in studio con questi ragazzi e gli abbiamo detto: “Forza, siete cresciuti ascoltando i PAPA ROACH, quindi sapete di cosa stiamo parlando. Mischiamo un po’ le carte”.

Il primo elemento a saltare all’orecchio rispetto al precedente capitolo discografico è l’asciugarsi del tessuto elettronico che aveva caratterizzato F.E.A.R., che lascia così spazio ad una produzione potente ma più secca, poco interessata a fronzoli ed orpelli e concentrata sul lasciar esplodere i brani in tutta la loro forza. Sì, perché se c’è una qualità di cui la scaletta di Crooked Teeth gode sicuramente, quella è proprio la forza. Piaccia o non piaccia, il nuovo lavoro dei Papa Roach ha una forza d’urto che difficilmente lascia indifferenti, i brani si susseguono con un incedere deciso e coeso, lasciando poco campo ai momenti d’attesa.

È una controparte sonora che si sposa bene con il grande tema che si articola fra i versi dei vari brani: la lotta. Sia essa una sfida con i demoni che abitano gli angoli più bui dell’animo, o sia piuttosto una corsa a testa bassa con ostacoli e barriere che dividono dal raggiungere il proprio obbiettivo, il nuovo album dei Papa Roach picchia duro e senza timore. Ad aprire le danze sono stati i singoli Help e Crooked Teeth, entrambi ottimi esempi di melodia e di slancio furente, ovvero due elementi sonori cardine di questo album così come della stessa carriera del gruppo. Ad arricchire questa nuova manifestazione dei Papa Roach ci sono infine Skylar Grey e Machine Gun Kelly, ospiti di due brani che sono anche per i momenti più riusciti e compiuti della tracklist.

Le grandi rimostranze rivolte a band come i Papa Roach da parte di tutti gli appassionati ascoltatori dei generi più spinti, sono sempre state quelle riguardanti l’essenza “zuccherina” della proposta musicale, quella sorta di patina dorata che non è mai stata digerita completamente da chi si aspetterebbe piuttosto un arrembaggio spietato ad accompagnare tematiche che non disdegnerebbero certo una vena più marcatamente metal. Nel cuore del gruppo batte però da sempre un’attitudine che a che vedere con delle influenze più pop e mainstream, che si manifesta in maniera prepotente nel comparto melodico che fa da traino ai lavori del gruppo, e che anche in Crooked Teeth non si tira certo indietro dal cavalcare le serrate e ben strutturate trame ritmiche che conducono i brani.

Help (che non a caso ha raggiunto tre volte la vetta della Mainstream Rock Chart di Billboard prima ancora che l’album uscisse ufficialmente), ma anche la stessa titletrack, o ancora My Medication e Born For Greatness, sono tutti brani che fanno di melodie orecchiabili e refrain cantabili la propria forza, ma che a ragion del vero rendono anche variegate e più dinamiche le tracce del lotto. L’album è in grado di sfoggiare un range dinamico sufficientemente ampio, ma che gioca le sue carte migliori là dove serve calcare maggiormente la mano. Una menzione separata va fatta per il brano Periscope, che con la sua atmosfera tersa e diradata arricchita dal duetto di Shaddix con Skylar Grey, mette a segno il colpo grosso della nuova produzione. È proprio quest’ultimo brano a tirare le somme di una rivisitazione delle sonorità più consone alla band che, seppur non riuscendo appieno, è percepibile comunque come un felice esperimento.

All’inizio del presente articolo si era posta la domanda riguardante l’effettiva riuscita del restyling messo in atto dal gruppo, alla quale si era data una risposta di comodo, precisando come gli sforzi avessero sì prodotto risultati tangibili, ma senza dare un completo senso di novità. Questa è infatti la lettura generale di Crooked Teeth, che è un album contenente idee nuove ma formule già sentite nel corso della discografia del gruppo. Il trademark sonoro non è scardinato rispetto a quanto ascoltato in passato, anzi, questo nuovo capitolo potrebbe fungere bene da introduzione al gruppo se mai ci fosse da fare una presentazione a ipotetici nuovi ascoltatori. Sì, perché Crooked Teeth contiene tutti gli elementi base dei Papa Roach, ne esprime la forza e l’aggressività, ma anche l’introspezione melodica e la pulizia esecutiva, e pertanto è un buon sunto di quello che ha fatto la loro fortuna. È proprio questo il motivo per cui, seppure la grande novità non si rintracci in questo nono capitolo discografico della band americana, si riceve però un lavoro ispirato, ben suonato e prodotto altrettanto bene, ed in fin dei conti questo è ciò che importa realmente.

Podcast

Album del mese

Willie Nelson
My Life, è una lunga storia...
Il Castello/Chinaski Edizioni

My Life, è una lunga storia... Ebbene sì, si tratta dell’autobiografia che Willie Nelson ha messo a punto con David Ritz, tradotta in italiano per...

The Decemberist
As It Ever Was, So It Will Be Again
Yabb Records

Tredici nuovi brani, di cui – dulcis in fundo, è proprio il caso di dirlo – una lunga suite di circa 20 minuti: si tratta...

Ray Lamontagne
Long Way Home
Liula / Thirty Tigers

Se c’è una domanda che possiamo rivolgere a Ray LaMontagne, è questa: com’è che ogni suo nuovo lavoro si impone a rotazione e non lascia...