THE ROLLING STONES Blue & Lonesome

di Arturo Celsi
18 febbraio 2017

recensione

THE ROLLING STONES
Blue & Lonesome
Polydor
Invincibili. Piacciano o non piacciano – cosa probabilmente impossibile per chi legge frequentemente le nostre pagine (!) – è obbligatorio dare loro quello che gli spetta di diritto: i Rolling Stones sono ciò che di più vicino c’è alla definizione di “immortale”.

54 anni di servizio, la maggior parte dei quali spesi senza riserve nel dare personificazione ad ogni singola leggenda che la mitologia del rock ‘n’ roll abbia mai creato; pagine e pagine di brani che hanno fatto, e continuano a fare, scuola a sé; tutt’oggi non perdono colpi per quanto riguarda le esibizioni dal vivo, per le quali potrebbero fungere da buon esempio per svariati loro coetanei.
Quindi, cosa volere di più? Assolutamente nulla…
Non c’era necessità di ascoltare nient’altro per convincersi del fatto che il gruppo sembra aver ingaggiato una vera e propria lotta contro le leggi della natura, eppure Blue & Lonesome ha toccato gli scaffali dei negozi di tutto il mondo lo scorso 2 dicembre 2016, riportando i nostri lì dove mancavano da ben 11 anni.

Come succede da tempo, ogni volta che Jagger e soci tornano sulle scene per una release discografica di qualsiasi natura, sorge il dubbio,...

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più che lecito, che si tratti dell’ultima della loro carriera, e sarebbe assurdo dire che con questo nuovo album in studio la premonizione sia sparita... Pertanto è giusto dire che se Blue & Lonesome fosse l’ultimo album in studio della band, sarebbe anche il miglior modo di abbandonare le scene per loro che, col trentesimo capitolo discografico, ricongiungono gli estremi di un cerchio aperto svariati anni orsono.

È proprio a partire dal “Blue” del titolo che tutto prende la forma di un perfetto ritorno a casa, perché Blue, come se fosse un personaggio dotato di vita propria, torna a far parte delle vite di Mick Jagger e Keith Richards che, nell’aprile del 1962, si facevano ancora conoscere con il nome di Little Boy Blue e The Blue Boys ma che, pochi mesi dopo – grazie all’arrivo di un certo Elmo Lewis, meglio conosciuto come Mick Jones – avrebbero forgiato uno dei nomi più emblematici che la storia della popular music possa ricordare!
Dimenticando echi coloristici di confine, è la musica a parlare chiaro, perché Blue & Lonesome riporta il calendario ai tempi dei piccoli club di inizio anni Sessanta e dei Blues Incorporated, band con la quale Charlie Watts e Jagger seminavano il verbo del blues americano in quel ribollire che di lì a poco sarebbe sfociato in una vera e propria rinascita inglese del repertorio proveniente da oltreoceano.

La storia parla chiaro, pertanto sappiamo che gli Stones sono sempre stati definiti in molti modi, ma di certo non si può dire che siano stati una band in grado di meditare troppo a lungo sulle proprie mosse. Questo particolare ha trovato piena realizzazione nella fitta produzione musicale, che ha proseguito nel dare regolari frutti dal 1964 fino ad inizio anni Novanta, ed anche il nuovo album, sempre in virtù di quel ritorno alla fonte da cui tutto è partito, si è materializzato velocemente, portando con sé il ruvido dell’istinto e la carica del momento.
Tre giorni di registrazioni, ricavati nelle pause tra un live show e l’altro, hanno permesso ai quattro ragazzacci britannici di mettere nero su bianco uno spassionato e più che meritevole tributo alla musica che li ha ispirati da giovani e, senza nessuna autoreferenzialità, un tributo al loro incredibile viaggio. Il luogo delle registrazioni ha offerto inoltre un ulteriore gancio di connessione con il passato della band, perché i British Grove Studios, dove l’album ha preso forma, si trovano nel sobborgo londinese di Richmond, non lontano dal luogo dove si trovata il Crawdaddy Club, il locale in cui la band suonava come act stabile nel 1963. (Dopo gli Stones, la band stabile del locale furono gli Yardbirds).

Il risultato è che Blue & Lonesome suona bene, schifosamente bene (!), e ne emerge palpabile il divertimento di tre settantenni più uno, intenti nel riportare in scena una delle loro più sentite esibizioni. La cosa migliore di questo album è che nelle sue trame non c’è traccia di nostalgia; ci sono solo tanta energia, un mood accattivante, ed una manciata di ottimi brani a traghettare in quello che è senza ombra di dubbio uno dei più roboanti ascolti rock/blues dell’anno appena terminato!

Prima di cominciare l’ascolto di Blue & Lonesome si potrebbe scommettere che Richards e Woods ne escano i protagonisti principali ed invece, mentre il dischetto gira, è bello rimanere (totalmente) disorientati dal lavoro di una band coesa, intenta a suonare per il gusto di farlo.
Watts è sempre sul pezzo, le chitarre di Keith e Ronnie si sbeffeggiano a vicenda, talvolta mostrando i denti ed altre volte tirandosi risolini di scherno, mentre Jagger, mattatore da copertina, si pronuncia in una performance bastarda, sensuale, grezza e coinvolta.
Chuck Leavell – e soprattutto Eric Clatpon – contribuiscono a suggellare quella che è una rinvigorente e appagante riunione fra vecchi amici e compagni di liceo, celebrata al suono di grande musica, e senza dover pensare troppo alle conseguenze delle proprie gesta.
È sicuramente il privilegio di una band di questa caratura, quello di poter spendere denaro e tempo (seppur poco) in una produzione discografica di “personale intrattenimento”, ma è pur vero che si tratta di un privilegio rivendicato nel 2016, guadagnato con mezzo secolo di laboriosa attività...

Malgrado ciò, probabilmente ci sarà chi non vede di buon occhio la scelta di realizzare un album di cover, ma per essere completamente onesti nei confronti del lavoro in questione, occorre guardare anche a ciò che la band, ormai da qualche anno, sembra aver dato per confermato. La vena autoriale del duo Richards/Jagger è arrivata a non avere più frecce a disposizione e, a conti fatti, non è una novità visto che dall’uscita di A Bigger Bang (2005, Virgin Records) non si è più ascoltato nulla di inedito. Ragionando inoltre sul fatto che il capitolo del 2005 presentava già qualche importante crepa strutturale, non si può certo biasimare l’allegra combriccola per aver preferito puntare su un repertorio più “comodo”, piuttosto che andare a forzare la mano su qualcosa che si sarebbe potuto rivelare non proprio all’altezza del blasone.

Howlin Wolf, Magic Sam, Jimmy Reed e Little Walter… e poi Buddy Johnson, Memphis Sam, Otis Hicks & Jerry West, Miles Grayson & Lermon Horton, Eddie Taylor e Willie Dixon… La scaletta di Blue & Lonesome è una prelibatezza per tutti gli amanti del genere e l’esecuzione non da meno, grazie ai muscoli di Ride ‘Em Down e Hoo Doo Blues; al kick di Just Like I Treat You e I Gotta Go, e al chillin’ mood di Everybody Knows About My Good Thing e I Can’t Quit You Baby.
La produzione è essenziale, la coesione pressoché perfetta, il risultato è di quelli da prendere ad esempio. I Rolling Stones hanno nuovamente mostrato quel che tutti sapevamo, ovvero che band simili non nascono così di frequente… God Save The Stones.

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