Testament,The Brotherhood Of The Snake

di Maurizio Mazzarella
31 gennaio 2017

recensione

Testament
The Brotherhood Of The Snake
Nuclear Blast
La capacità dei Testament di sfornare album di qualità in maniera costante, ha del sovrannaturale. La nuova era della band di Chuck Billy – iniziata probabilmente nel 1999 con l’uscita di “The Gathering” e rafforzatasi ancora di più quasi dieci anni dopo grazie al matrimonio con Nuclear Blast – ha portato alla produzione di album all’altezza dei grandi classici degli Ottanta, col supporto della crescente consapevolezza nei propri mezzi e di un appeal sempre più moderno ed incisivo.

Se “The Formation Of Damnation” (2008) e “Dark Roots Of Earth” (2012) sono perle musicali la cui qualità delle composizioni, associata a una potenza esecutiva fuori dal comune, sembravano difficile da ripetere, ecco che “The Brotherhood Of The Snake” (2016) è arrivato nel momento giusto: a confermare la statura della metal band californiana e a stupire l’ascoltatore.

“The Brotherhood Of The Snake” è un album dominato dalla potenza: in ogni brano, la band trasuda rabbia, sudore, sofferenza, ma porta anche quella sana dose di violenza musicale benefica. Ogni elemento della band si distingue con il suo strumento, a partire dalla sezione ritmica, con il basso di Steve DiGiorgio e la batteria di Gene Hoglan in piena sintonia. Tuttavia, sta nelle chitarre...

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il vero punto di forza, con Eric Peterson e Alex Skolnick a spartirsi le parti lead e le ritmiche.

Apre la titletrack, che racchiude certa versatilità nel suo essere tagliente e grintosa. Differentemente, “The Pale King” è una vera e propria dichiarazione di guerra, il brano che più conferma il ruolo centrale di Chuck Billy dietro il microfono. “Stronghold” è un brano attuale ma dal sapore antico, quasi riconducibile a “The Legacy” (1987), il disco di esordio dei Testament.

Arriva quindi “Seven Seals”, il brano più chitarristico e tecnico; probabilmente il migliore del lotto ma certamente la fotografia perfetta di quello che sono i Testament oggi. “Born In A Rut” si ricollega al disco precedente (“Dark Roots Of Earth”, 2012) in quanto a matrice oscura e crepuscolare, mentre “Centuries Of Suffering” è un brano talmente cattivo e diretto che riconduce a certi episodi di “Demonic” (1997), l’album più violento della discografia dei Testament.

“Black Jack” pare riecheggiare quel che erano Chuck Billy e compagni all’epoca di “The New Order” (1988) o “Souls Of Black” (1990), mentre a mettere ordine al tutto ci pensa “Neptune's Spear”, puro thrash in stile Bay Area.

E’ quindi la volta di “Canna-Business”, che si differenzia dal mood degli altri brani per il suo arrangiamento strutturato ed articolato, e poi è la volta della chiusura, affidata a “The Number Game”, una fucilata di assoli di chitarra che rimarca lo stato di salute di una band in grandissima forma sotto il profilo tecnico, compositivo ed esecutivo.

I Testament paiono non sbagliare mai un colpo e questo “The Brotherhood Of The Snake” ne è una nuova ed ulteriore testimonianza…


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