Steve Tyler "We’re All Somebody For Somewhere"
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recensione
Per realizzare il suo album, Tyler non ha lasciato nulla al caso, a partire dal luogo in cui We’re All Somebody For Somewhere è stato registrato. Stiamo parlando di Nashville, sorta di Mecca della musica odierna (denominata dagli addetti ai lavori Music City), nonché imprescindibile quartier generale del country.
Lo stesso Tyler ha dichiarato: “Sono appositamente andato a Nashville questa primavera per lavorare su questo mio progetto; ho scritto qualche canzone da urlo assieme ai migliori autori del luogo, e ora siamo pronti a condividerle con il mondo. Country music is the new rock & roll!... E non si tratta soltanto di case col portico, cani, e di infilarsi gli stivaletti. Nashville è una realtà…”
La prima traccia dell’album – My Own Worst Enemy – fa letteralmente sobbalzare dalla sedia... Si tratta di una ballad stupenda, senza mezzi termini, malinconica e raffinata, con un Tyler decisamente sugli scudi. Segue la traccia che dà il titolo all’album: un tiro bluesy nella linea melodica, pur se un tantino patinata nel mood...
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generale, quello che gli addetti ai lavori denominerebbero AOR Rock.
Hold On (Wont Let Go), song dal clima tetro, scorre via senza sussulti, poi si passa a It Aint Easy che colpisce da subito per la sua linea melodica ispirata, arricchita da archi in linea con la song e mai invadenti, facendo di essa un ulteriore potenziale hit radiofonico.
I primi spazi di modern country arrivano con la successiva Love Is Your Name e la sua bella intro di chitarra acustica. Tuttavia, siamo lontani dalle atmosfere country roots degli ultimi lavori di John Mayer, ad esempio…
I Make My Own Sunshine suona sin troppo istrionica e scontata, mentre Gipsy Girl fa tornare la mente alle ballad dei Mr Big, suonando un tantino caramellosa pur se impreziosita dalla notevole vocalità di Tyler. Something New, con tanto di mandolino in sottofondo, non riesce ad invertire il trend pur godendo di un arrangiamento interessante. Segue Only Heaven, puro AOR Rock che riporta a certe atmosfere à-la Brian Adams.
Arriva quindi The Good The Bud The Ugly And Me a risvegliare gli animi: un bel brano pop/rock, dritto in pancia e senza fronzoli. Red White And You¸ riporta all’easy listening gradevole, mentre Sweet Louisiana, a dispetto del titolo, di country ha ben poco. Segue What I Am Doin Right, ballad che scorre via piacevole e poi Janie’s Got A Gun (brano del 1989 a firma Tyler/Hamilton, bassista degli Aerosmith) che riporta ai fasti della traccia introduttiva: brano struggente al punto giusto e con un Tyler sempre in gran forma. Toccante il tema di questo brano (uno dei cavalli di battaglia degli Aerosmith) che narra di donne vittime di abusi ed abbandono. Un tema che sta a cuore al celebre artista americano e che lo ha portato a fondare, nel novembre 2015, la Janie’s Found il cui intento è di offrire loro tutela e restituire la speranza.
Fear The Loving Mary Band Piece Of My Heart chiude l’album in bellezza.
In buona sostanza, si tratta di un album ottimamente suonato, magistralmente cantato da Tyler e registrato con una cura inverosimile dei suoni. Un album che ha chiamato in causa il gotha dei produttori (9 per la precisione, tra cui T Bone Burnett, Marti Frederiksen, Dann Huff... più lo stesso frontman) e realizzato, come è facile intuire, in maniera impeccabile. Il tutto, per un album perfetto e patinato ma che si allontana dal vero spirito del country, il genere di musica che sta affascinando oggi lo stesso Tyler... Un album probabilmente più rivolto ai suoi fans e a coloro che amano un certo tipo di rock melodico.
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