Mike Campese arriva a maggio con il suo Guitar Clinic Tour

di Redazione
15 aprile 2017
Sugli scorsi numeri di ottobre e novembre 2016 di Guitar Club magazine, abbiamo pubblicato Acoustic Melodic Phrases, la rubrica di Mike Campese tramite cui ci ha proposto lo studio di alcuni estratti del suo ultimo album che ha titolato "Chapters". Riportiamo di seguito un breve estratto di tali contenuti.

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"Chapters" (2016) è il nono album di Mike Campese: 15 tracce, 67 minuti di musica che il virtuoso chitarrista statunitense ha composto in viaggio tra le città italiane che ha visitato e poi alle isole Hawaii.

Considerato tra i melodic shredder di gran calibro, Mike ama spaziare tra rock, funk e jazz, creando groove accattivanti e ritmiche coinvolgenti: quel che ha fatto anche in questo suo album, privilegiando questa volta la chitarra acustica, ma senza dimenticare i ficcanti interventi della sua elettrica, con qualche aggiunta di un sinuoso mood di slide. (www.mikecampese.com)
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CHAPTERS studiamo assieme qualche estratto (prima parte)

Cari amici di Guitar Club, ci siamo conosciuti su queste pagine un paio di anni fa con "Chameleon", il mio precedente album da solista, dal quale abbiamo estratto e studiato alcuni episodi salienti. Il vostro feedback era stato entusiasmante e così, assieme alla redazione, abbiamo pensato di proporvi qualche nuova lezione....

l'articolo continua...



Nel precedente ciclo di lezioni abbiamo studiato le cosiddette Melodic Shredding Phrases sulla chitarra elettrica, mentre questa volta ci traghettiamo sulla chitarra acustica, prendendo a prestito degli estratti dal mio nuovo album che ho titolato "Chapters". Come ormai sapete, potrete contattarmi per ogni dubbio e chiarimento: nel contempo, auguro un buono studio a tutti voi! (www.mikecampese.com)

"Chapters" si compone di 15 tracce, per una durata di 67 minuti dedicati alla chitarra acustica, più qualche breve intervento dell’elettrica aggiunto nel mix, giusto per conferire al mood maggiore espressione. Prendendo alcuni estratti riferiti a certe melodie ed assoli, cercherò di insegnarvi le tecniche principali che ho adottato per la loro esecuzione.
[continua su Guitar Club magazine, ottobre 2016]

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Tratto da Guitar Club magazine - ottobre 2013

Disco d’oro con la Trans-Siberian Orchestra, il noto chitarrista newyorkese ci apre le porte del suo iperbolico mondo chitarristico... un luogo in cui versatilità e devozione la fanno da padrone...

Nato in una famiglia di musicisti, il piccolo Mike, si innamora ben presto della sei corde affascinato dai corposi riff di Tony Iommi. Successivamente inizia a sperimentare mondi musicali diversi spingendosi addirittura nell’ambito della classica, studiando Paganini, Beethoven, Mozart, Bach e Vivaldi. Tuttavia, il tassello fondamentale della formazione di Mike Campese, ha luogo fra le aule del Musicians Institute (sezione GIT - Guitar School) di Hollywood, una struttura scolastica i cui insegnanti sono stelle internazionali del calibro di Paul Gilbert, Scott Henderson, Norman Brown e Keith Wyatt. Una tappa cruciale del suo percorso che consegna a Mike Campese la spinta decisiva che lo porterà a prendere parte a numerosi progetti internazionali, alla conquista di un disco d’oro e alla pubblicazione di otto album, incluso l’ultimo nato, Chameleon.

Nella chiacchierata che segue Mike Campese ci racconta di quanto sia stato importante essere un chitarrista versatile e di quella volta in cui Yngwie Malmsteen corse fuori dal camerino per gustarsi una sua esibizione...

Ascoltavi l’heavy metal quando eri ragazzino?
Sì, ascoltavo molto i Black Sabbath, anzi diciamo che ne andavo pazzo! Ricordo che andai al centro commerciale per comprare il loro primo album, Black Sabbath. Poco dopo acquistai tutti gli altri; pensa che da ragazzino ho indossato un paio di volte una giacca dei Black Sabbath per andare in chiesa! Mi piacevano anche durante il periodo Ronnie J. Dio: gli album Heaven And Hell e Mob Rules li adoravo. Allo stesso modo, ho apprezzato i lavori solistici di Ronnie James Dio: trovo che nei suoi dischi ci fossero dei brani chitarristici notevoli e carichi di energia. Successivamente mi avvicinai a Van Halen, Iron Maiden, Ozzy, Hendrix e Led Zeppelin... insomma tutta quella musica in cui la chitarra aveva un ruolo predominante. Vedere queste band in concerto è stato incredibile per me: ricordo che cercavo di avvicinarmi il più possibile al palco. Quando andavo dal mio maestro di chitarra, gli chiedevo di insegnarmi gli assoli delle band che adoravo, ma devo ammettere che la maggior parte li trascrivevo a orecchio.

Ti sei anche avvicinato alla musica classica?
Sì è così. La musica classica è una costante della mia vita e mi ci sono avvicinato in giovane età. Un giorno, mio padre, mentre mi stava accompagnando a scuola, accese la radio e stavano trasmettendo un brano di musica classica: “Dio, ma che noia questa musica!” esclamai. Mio padre mi disse allora che se avessi voluto diventare un bravo musicista, avrei dovuto ascoltare tutta la musica. Feci tesoro del suo consiglio e iniziai ad ascoltare Paganini, Beethoven, Mozart, Bach e Vivaldi. Il mio primo insegnante di musica, mi fece conoscere alcuni brani di Tarrega e di Bach: adoravo convertire sulla chitarra i brani suonati con il violino, specialmente quelli di Paganini. Tutto questo avveniva nel periodo più fiorente di Yngwie Malmsteen, il quale mi influenzò parecchio facendomi avvicinare allo shredding e all’ambito neoclassico in generale. Prima di appassionarmi a Yngwie, ascoltavo Al DiMeola, pertanto si può dire che ero affascinato dai chitarristi veloci prima ancora che lo shredding diventasse popolare. Fondamentalmente sono aperto a qualsiasi tipo di musica e, come diceva mio padre, se davvero vuoi diventare bravo, devi essere versatile. Inoltre, ritengo sia bene appassionarsi a strumenti musicali diversi, poiché ti aiuta a trovare uno stile originale e unico.

Sei cresciuto in una famiglia di musicisti, questo ha favorito il tuo approccio alla chitarra?
Mio padre era un violinista virtuoso e mio fratello suonava la chitarra. Ero affascinato dalla sei corde e volevo imparare a suonarla. Tuttavia, ricordo che iniziai a chiedere ai miei genitori una batteria, ma non presero nemmeno in considerazione l’idea di acquistarmene una! Mia sorella e il suo fidanzato, mi acquistarono un basso di seconda mano che scambiai con una chitarra il giorno stesso! Iniziai a prendere lezioni e a suonare nei garage insieme ai miei amici: suonavo giorno e notte! Mio fratello mi faceva ascoltare grandi chitarristi come Al DiMeola, Carlos Santana e Stevie Ray Vaughan, giusto per citarne alcuni, ma, come dicevo prima, è stato mio padre a farmi avvicinare alla musica classica e a quel genere di cose. Ricordo che quando iniziai ad ascoltare Paganini, mio padre mi disse: “se riuscirai a suonare la sua musica... beh potrai suonare qualsiasi cosa tu voglia!” Ovviamente quelle parole mi spronarono moltissimo.

Dopo il liceo ti sei trasferito a Hollywood, in California, per frequentare il Musicians Institute. Lì hai avuto l’opportunità di suonare al fianco di chitarristi di prima grandezza, come Paul Gilbert, Scott Henderson, Norman Brown e Keith Wyatt. Ci racconti che cosa hai provato in quei momenti?
Quando arrivai in quella scuola, fu come entrare in paradiso! Nella sezione del GIT [Guitar Institute of Technology] in un’aula c’era Paul Gilbert e in quella accanto Scott Henderson... ciò ti permetteva di jammare con tutti quei musicisti incredibili e condividere con loro i trucchi del mestiere. Ogni giorno imparavo qualcosa di nuovo grazie a musicisti del calibro di Norman Brown e Keith Wyatt. In quella condizione, sorretto da quegli insegnanti, potevi avvicinarti a qualsiasi genere di musica. Non è tutto: ogni settimana arrivavano famosi musicisti da tutto il mondo a tenere lezioni e concerti. Credo fermamente che il GIT mi abbia aiutato a diventare un chitarrista versatile... insomma, è stata un’esperienza fondamentale per la mia carriera di musicista.

Quando sei tornato a New York, hai iniziato a collaborare con diverse band e progetti. Cosa ricordi di quel periodo?
Non appena tornai dalla California, mi misi a suonare con diversi musicisti, poi imbastii una band assieme a un batterista. Suonammo davvero parecchio in giro e aprimmo gli show per diverse band. Dopo di che, quando ci sciogliemmo, decisi di formare un gruppo assieme a un altro batterista: facemmo molte date e anche un paio di dischi. Dopo un paio di anni, decisi che era arrivato il momento di fare da solo e così registrai il mio primo disco solistico. Un album senza band al seguito, solo brani strumentali per chitarra. Un giorno ricevetti la proposta di aprire una data dei The B-52 e mi avvisarono soltanto tre giorni prima dell’evento: doveva essere una breve esibizione che precedeva il loro show. Fu la prima volta in cui suonai i miei brani su un palco... da solo, senza band! Diciamo che ho preso parte a numerosi progetti, ma stiamo parlando di altri tempi... in quel periodo riempivi i locali ogni sera, oggi le cose sono cambiate, sfortunatamente.

Con la tua chitarra sai bazzicare ambiti diversi: rock, fusion, jazz, passando per blues e afro. La versatilità ti contraddistingue da sempre?
Il mio primo insegnante di musica era un grandissimo chitarrista jazz e, sebbene io fossi attratto dallo shredding e affini, mi insegnava gli accordi di jazz e le scale più importanti. Successivamente, al GIT, sebbene la mia inclinazione prediletta era il rock e la sua immensa energia, presi confidenza con moltissimi altri generi di musica, come blues, country, fusion e funk,. Mi piace mescolare tutte queste sfaccettature nei miei brani. Pensa che per un periodo ho suonato in un gruppo afro ed è stata un’esperienza favolosa e, soprattutto, particolare!

Hai avuto l’occasione di suonare con musicisti leggendari. C’è un ricordo particolare tra queste esperienze?
Ho potuto suonare e aprire show per diversi musicisti internazionali... sono molto fortunato, è vero. Ci sono esperienze e storie che non potrò mai scordare. Ho fatto parte della Trans-Siberian Orchestra ed è stato magico: mi scelsero tra 100 chitarristi e di questo ne vado ancora fiero... insomma fu un sogno diventato realtà! Ricordo l’apertura di un concerto di Yngwie [Mike Campese ha aperto diversi spettacoli di Yngwie Malmsteen, nda]... a fine esibizione, il mio guitar tech mi disse che Yngwie era uscito di corsa dai camerini per raggiungere il lato del palco e guardarmi suonare. Mi disse che aveva un sorriso stampato in faccia... Beh, questo è uno degli episodi che mi porterò per sempre nel cuore...

Parallelamente hai realizzato otto album da solista. Ci descrivi i tratti essenziali dell’ultimo uscito, Chameleon?
Chameleon è il mio ultimo disco e se hai avuto modo di ascoltare gli altri miei lavori, ti accorgi di come io ami miscelare gli stili più diversi: mi piace definirla semplicemente “musica”. Lo stesso titolo del disco – Camaleonte – suggerisce l’essenza; la musica che ho composto è come la tavolozza di un pittore, piena di colori che mutano proprio come un camaleonte. Si passa dalle sonorità heavy a quelle più soft e così via. Scrivo ciò che in quel momento sento e non mi prefiggo mai il genere di musica. Tutto quello che nasce dal mio cuore viene tradotto in musica, ossia ogni esperienza che la vita mi porta a vivere. Ci tengo a dire che sono felice che Vernon Reid dei Living Colour, sia fra gli ospiti del disco. Sul mio sito vi sono parecchie informazioni al riguardo.

Organizzi svariate clinics: ci parli del tuo approccio nei confronti di questa attività?
Ho fatto diverse clinics negli anni e sicuramente ne farò altre. Generalmente eseguo le mie canzoni lasciando che i presenti possano interagire con domande o richieste particolari. Di solito affronto le diverse tecniche chitarristiche e, in qualche caso, preparo degli esercizi da distribuire ai partecipanti. Il mio obiettivo è quello di insegnare più cose possibili e di rendere la clinic stessa un’occasione per interagire con chi hai di fronte. Inoltre, ho l’opportunità di vendere i miei dischi che taluni ragazzi mi chiedono di autografare! Alla fine di questo mese sarò da voi in Italia per alcune clinics... pertanto, vi aspetto numerosi.

E per quanto riguarda i tuoi metodi didattici?
Sono insegnate privato ormai da moltissimo tempo, perciò è diventata una cosa piuttosto naturale per me. Insegno qualsiasi genere musicale dedicandomi a diversi aspetti fondamentali, come: accordi, scale, teoria musicale e lettura degli spartiti. Sono molto spontaneo quando insegno, non ho dei metodi prefissati, anche perché ogni studente è diverso, ma soprattutto non tutti sono allo stesso livello. È come per i medici, ogni giorno arrivano pazienti diversi con altrettanti sintomi e tu devi cercare di risolvere i loro problemi. Mi occupo anche di lezioni on line e collaboro con diverse riviste specializzate. In questo periodo impartisco lezioni anche via Skype: è semplice basta iscriversi sul mio sito!

Qual è stata la tua prima chitarra?
 La mia prima vera chitarra era una Aria Pro Cardinal Series nera. Per essere la prima sei corde devo ammettere che era davvero un ottimo strumento. Penso che la scelsi perché mi ricordava la SG nera di Tony Iommi, sebbene non avesse proprio lo stesso design di una Gibson SG.

Oggi invece quale chitarra utilizzi?
Utilizzo principalmente le Tom Anderson. Sono fatte a mano, hanno un sound pazzesco e si prestano a qualsiasi genere. Le uso ormai da molto tempo e prediligo quelle con il corpo a mo’ di Strato. Come chitarra acustica ho un Ovation; ho davvero tante guitars e ho lavorato anche con le GJ2, sono fatte a mano dal Signor Grover Jackson.

Ampli, effettistica e corde?
 I miei amplificatori principali sono i Mesa Boogie e li uso ormai da molti anni. Adoro il Dual Rectifier! Ho diversi modelli tra cui la testata Rectifier, DC-5 Combo, Recto Cab, Mesa Preamp e Power Amp. Il loro sound sposa perfettamente quello della mia Anderson. Durante i live utilizzo il Rectifier e il Cab, mentre per esibizioni più contenute mi porto il mio DC-5 Combo. Possiedo anche due vecchi Marshall 4x12 cabinets. Per quanto riguarda l’effettistica, possiedo un TC Electonics G-Force per il delay, chorus e reverbs. La mia pedalborad nei live è composta da un Bradshaw Midi Foot Controller, un Vox Wah, un Digitech whammy, un MXR phase 90 e un BB preamp prodotto da Xotic Effects. Tuttavia non mi piace usare tanti effetti, preferisco lasciare il sound pulito degli amplificatori. In studio mi attacco direttamente all’ampli, alle volte uso diversi pedali boost e cerco le combinazioni migliori per l’amplificazione, ma dipende sempre dal tipo di canzone. Parlando di corde invece, uso le D’Addario, 10-46 per le chitarre elettriche, a parte sulla Stratocaster sulla quale monto una 11-46; per l’acustica adotto una 12-46.

Progetti futuri?
Continuerò a scrivere musica nuova e a pubblicare dischi. Cercherò di stare più tempo possibile on the road per suonare in giro i miei pezzi. In questo momento mi sto dedicando ad alcuni brani strumentali. Parallelamente ho un paio di video lezioni che stanno girando in rete, ma mi piacerebbe scrivere al più presto alcuni libri didattici. La mia carriera è come un viaggio sulle montagne russe, non sai mai quello che potrà succedere!



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