JACK WHITE Fear Of The Dawn
recensione
Il fatto che White abbia sempre avuto una predilezione per suoni delicati quanto una badilata nei denti non è certo una novità, ma ci sono buone probabilità che Fear Of The Dawn possa concorrere per il primo posto nella classifica degli album più perforanti in del 2022. La carriera di White, inclusi gli Stripes, vive in bilico tra accomodanti suoni acustici, e chitarre elettriche spinte verso l’autodistruzione. Fear Of The Dawn è l’equivalente sonoro del concetto di distopia, un tripudio di Korg Univox, fuzz declinati in ogni forma e colore, e amplificatori lasciati gridare senza nessun tipo di limite.
Una masterclass in pittura noise, guidata proprio dalla titletrack, che - in realtà - segue l’esempio idiosincratico dell’apertura eseguita da Taking Me Back. Tutto in Fear Of The Dawn punta a smembrare l’essenza più lineare dei brani, così da trasformarli in temperamentali ready made. Ed anche quando -...
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come in The White Raven - pare possibile ri-assestarsi sul White più conservatore, prestso si comprende che l’unica verità di questo album è quella di non avere punti fermi.
Lo stesso Cab Calloway è campionato in Hi-De-Ho per essere a poco a poco traslato in una forma perfettamente calzante con l’odierna scena hip-hop. Ogni elemento, qui, è passibile di trasformazione, e se fino ad ora pensavate che un pedale come il Korg Miku non potesse trovare alcuna reale applicazione, allora non avevate preso in considerazione il fatto che Jack White riesce laddove molti non osano tentare ( Into The Twilight) .
Fear Of The Dawn è un carnevale sonoro intriso di linfa degenerante. La fiera delle illusioni, per dirla come farebbe Guillermo del Toro, o ancora meglio Freaks Out, per seguire la lezione del nostro Gabriele Mainetti. White è uno degli strambi più furbi che possiate incontrare, delle sue stranezze sa fare virtù anche quando sembra impossibile cavare un ragno dal buco. E pensare che con Boarding House Reach ci eravamo chiesti in quale direzione avrebbe potuto proseguire... Non ci sono direzioni, non c’è nemmeno un “programma”, l’unica verità è che l’inafferrabilità è una condizione di vita, non una scelta.
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