Tolo Marton, "My Cup of Music"

di Gaetano Menna
07 luglio 2017

recensione

Tolo Marton
My Cup of Music
Rockland.it
Non fatevi ingannare dalla seconda traccia (“Vendo Musica”) e dal disegno del carretto nel folder (di Barbara Badetti) di Battistiana memoria… Certo, guardandolo viene alla mente la splendida “I giardini di marzo” in cui Lucio cantava: «Il carretto passava e quell’uomo gridava "gelati!"»… ma nulla a che vedere! “My Cup of Music” – il nuovo album di Tolo Marton – è un’altra cosa e del tutto… spiazzante!
65 minuti e 18 brani che fotografano il celebre chitarrista trevigiano… sì, quello della “svolta americana” de Le Orme con "Smogmagica", il loro album registrato a Los Angeles nel 1975…

La tazza messa in primo piano sulla copertina di “My Cup of Music” pare quasi un oggetto misterioso ma forse, più semplicemente, vuole essere un simbolo della vita che scorre “vendendo musica in città”. Già, “vendere”… ma il suo non è mercimonio; il chitarrista trevigiano non si è mai “venduto” davvero, mantenendosi coerente con i suoi principi e il suo modo di vivere la musica: “Tutto quello che c’è dentro questo album, è frutto di esperienze personalissime, che partono dall’infanzia. I temi sono stati composti, anzi sono arrivati, con la mente e l’anima sgombre da qualsiasi legame con l’esterno sonoro e liberate dalle influenze...

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di qualsiasi genere. Sarei contento se da questo album trasparisse prima di tutto il lato compositivo, prima che chitarristico. Le chitarre sono parte di una virtuale piccola orchestra…” – dichiara Tolo.

Muse ispiratrici sono alcune vecchie musiche da film: musiche che Tolo ascoltava da bambino, quando ancora non suonava ed infatti il titolo dell’album inizialmente doveva essere “Music for Movies”.

“My Cup of Music” è suddiviso in tre parti: la tazza fantasy, quella sentimentale e l’ultima misteriosa, pur se è il sentimento a pervadere tutti i brani della scaletta. Certo, in alcuni casi, il discorso si fa più intimistico: ad esempio, quando Tolo “parla con le note” al suo bambino (“Where do you come from little Baby?” brano del 1977); oppure quando la musica la dedica a suo fratello (“So Sad”).
C’è anche un brano autobiografico – no, non è “Vendo Musica”, ma “Suite and Bitt” – che si ricollega alla foto nel folder di un giovale Tolo [Vittorio] in camicia e cravatta che si cimenta con la chitarra classica. “Suite and Bitt” rappresenta bene l’alternanza tra musica classica e beat, tra le note limpide della chitarra classica e quelle ruvide e sporche dell’elettrica.

Apre “I Gotta Get Rid” ed è il canto del gallo che dà la sveglia: un brano che punta il dito sugli inutili orpelli di cui una persona vorrebbe sbarazzarsi senza riuscirci. Spiega Tolo: “pensa che il canto del gallo è la sveglia del mio cellulare che si è messa a suonare nel bel mezzo della registrazione. Mi piaceva come stava con quel brano e ho deciso di lasciarcela e di replicarla poi in altri momenti…”

C’è il piano honky-tonk in “Expression Miracle”, che riporta nei saloon del Far West (della serie, “non sparate al… chitarrista!”) e c’è lo slide in “Blackbird Song”.
[Slide – ricordiamolo – è la tecnica che adottavano alcuni chitarristi del blues delle origini, per imitare le sonorità dei colleghi hawaiiani, facendo scivolare sulle corde un collo di bottiglia infilato su un dito della mano sinistra, oppure la lama di un coltello]

In “Chet” c’è tutta la stima per Chet Atkins a cui si deve l’origine del cosiddetto Nashville Sound, così come in “Blue Sunday” ci sono umori jazz e suoni che riportano alla mente il vibrafono di Gary Burton ed il suo Modern Jazz Quartet. Infine, c’è l’omaggio al melodic country degli Everly Brothers con “So Sad”, l’unica cover della scaletta dedicata al fratello Paolo, scomparso.

“Wedding” (dedicato al recente matrimonio della figlia) apre e chiude con una dolce ninna nanna: in mezzo, è una sorta di felice danza paesana. “Mero Mero” è un allegro girotondo per bambini, quasi una sorta di vecchio cartone animato.

Chiude “Red Box”, una sorta di scatola nera (… dovremmo dire rossa) del disco, che tiene memoria degli eventi, utile per comprendere cosa è accaduto... In questa scatola, giusto per chiudere il cerchio, c’è anche “Vendo Musica”, la canzone da fischiettare, con il riferimento (spirituale?) al grande Liutaio e al patto con la Musica e non con il diavolo!

“My Cup of Music” è suddiviso in tre parti: la tazza fantasy, quella sentimentale e quella misteriosa. [Cup= tazza] Perché tre tazze?
Perché ognuna delle tre è un capitolo a sé stante – Fantasia, Sentimento e Mistero – e quel che le unisce è la melodia, presente in ogni brano dell’album. Il simbolo della tazza è anche per suggerire all’ascoltatore un messaggio: prendersi delle pause. Lo ritengo un album da assimilare senza fretta, un po’ alla volta.        
  
Hai fatto tutto da solo?
Sì, nel mio piccolo home studio. Un lavoro durato un anno e mezzo, senza tenere conto dei 10 anni di gestazione, raccolta delle idee e ispirazioni.

E’ giusto definirlo un disco autobiografico?  
Diciamo che è il più sincero che ho fatto. Senza curarmi di ciò che poteva aspettarsi chi mi conosce... Non ci sono assoli o quasi. Avevo il bisogno di sentire temi, melodia pura; avevo bisogno di sorprendermi e lasciare che la musica entrasse in me. Qui il musicista non ha deciso, ma ha lasciato decidere alla musica.

C’è tanto amore in questo album: per tuo figlio, tuo fratello, per la vita… 
Sì, “Where Do You Come From Little Baby” è del 1977, mentre “So Sad” è per mio fratello maggiore, Paolo, che ammiravo tantissimo. Lui ascoltava tanto la musica classica ma una volta, quando io ero un bambino, mise sul giradischi questa canzone degli Everly Brothers che mi è sempre rimasta impressa. Ne ho fatto una mia versione ma purtroppo non ho fatto in tempo a fargliela ascoltare... “Espressione Miracle” è del 1975 ed è dedicata alla madre di mio figlio, così come “Flamìca”. L’avevo composta al pianoforte ma non l’avevo registrata e quindi me l’ero dimenticata… Un anno fa mi è tornata in mente d’improvviso e così ho deciso che doveva fare parte del disco!

LE CHITARRE
Per i brani di questo suo disco, Tolo Marton ha utilizzato due chitarre classiche: “acquistate al mercatino! Una vecchia di chissà quando, fatta in Romania ed una Giannini del ’74…”
Riguardo alle Stratocaster, ha utilizzato quelle che aveva a portata di mano: “sono molto disordinato e vivo fra strumenti, cavi, fogli sparsi e cianfrusaglie varie…”
Per l’assolo in “Valentino 7” ha utilizzato una Gibson ES225TD, mentre in “Vendo Musica” ha utilizzato una vecchissima chitarra giocattolo. Riguardo alle acustiche, ha utilizzato una Aria 12 corde ed una Martin D35. Come basso ha utilizzato un Gibson EB3. Le chitarre sono state registrate in presa diretta, ad esclusione del brano “So Sad” per il quale ha utilizzato un Fender Princeton Amp.





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