BRIAN MAY & KERRY ELLIS Golden Days
di Katia Dell'Eva
20 luglio 2017

recensione
BRIAN MAY & KERRY ELLIS
Golden Days
Sony Music Cmg
È un album di difficile definizione, Golden Days, seconda collaborazione, a distanza di sette anni, tra Brian May e Kerry Ellis. Composto da otto cover e cinque inediti, il nuovo LP del duo sembra non avere un vero e proprio filo rosso di fondo, rivelandosi piuttosto una matassa di progetti vari, che spaziano dall'ambientalismo (la versione di Amazing Grace incisa in nome della salvaguardia dei porcospini britannici e la cover di Born Free di Sinatra per la difesa dei leoni sudafricani), al rifacimento di brani importanti per May e la Ellis (compresa I Who Have Nothing, eseguita sul palco dell'Ariston nel 2012), all'incisione di pezzi già presentati e apprezzati dal pubblico nei live degli scorsi anni.
Il risultato è un potpourri dal sapore rockkeggiante, ma non fino in fondo: se infatti nel precedente Anthems l'impronta del chitarrista dei Queen si imponeva forte, spingendo la Ellis verso sonorità rock e tonalità profonde, in Golden Days la sensazione che si ha è che May abbia “castigato” la sua vena creativa e la sua Red Special, obbligandole a fare da accompagnamento all'acuta e cristallina voce da principessa Disney...
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Il risultato è un potpourri dal sapore rockkeggiante, ma non fino in fondo: se infatti nel precedente Anthems l'impronta del chitarrista dei Queen si imponeva forte, spingendo la Ellis verso sonorità rock e tonalità profonde, in Golden Days la sensazione che si ha è che May abbia “castigato” la sua vena creativa e la sua Red Special, obbligandole a fare da accompagnamento all'acuta e cristallina voce da principessa Disney...
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della cantante inglese.
Nonostante l'interessante presenza di risonanze orientaleggianti e etniche (nella seconda metà di Love In A Rainbow e nel brano che dà il nome all'album) e di brevi ma intensi guizzi chitarristici, l'effetto è dunque quello di un appiattimento nello stile e nel mood lezioso e sovraccarico propri dei musical. Degni di nota, tuttavia, alcuni brani, come il delicato omaggio a Gary Moore di Parisienne Walkways e l'inedita It's Gonna Be All Right (The Panic Attack Song). Più “queeniana” tra le tracce dell'LP già a partire dall'intro tachicardica, quest'ultima racconta l'esperienza personale del chitarrista e, finalmente, torna a imporre la voce della chitarra, dando al brano un'energia di cui purtroppo si sente la mancanza nell'album.