MARC RIBOT Nelle mie corde
recensione
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acustica logora e scarna, Marc Ribot seduto su una sedia in preda a contorsioni e mugolii, il fantasma di Blind Willie Johnson nell’aria, rievocato da una versione da manuale della leggendariaDark Was The Night, Cold Was The Ground .
Ad altri ancora, infine, il chitarrista e sideman originario di Newark, New Jersey, farà venire in mente Vinicio Capossela e alcune famose partecipazioni a brani comeIl ballo di San Vito oBilly Budd; le collaborazioni con Alison Krauss e Robert Plant ( … cercate tra gli scaffali della vostra discografiaRaise The Roof ) ; gli album targati Ceramic Dog o, last but not least, le connessioni che legano il chitarrista statunitense ad una vera e propria autorità per quel che riguarda la classic musica di Haiti, che risponde al nome di Frantz Casseus. L’elenco potrebbe essere ancora lungo.
Musicista eclettico, versatile, aperto ad ogni tipo di orizzonte musicale;dalla classica al blues, dal jazz sperimentale al noise,Marc Ribot(classe 1954)è uno dei primi nomi a cui solitamente si pensa quando si vuol far riferimento a suoni, passaggi e tessiture chitarristiche etichettabili come “strane”. Così strane da risultare al contempo intriganti, ricche di fascino e, ascolto dopo ascolto,indimenticabili.
Ribot, come tutti i più grandi musicisti di ogni tempo,haun tocco unico, una firma chiara e uno stile a dir poco inconfondibile. E questo, che si gusti il suo playing mentre imbraccia l’ormai iconica chitarra acustica Gibson HG-00 Sunburst del 1937,oppure una Gibson SG rosso fuoco, una Gibson ES-125TDC del 1962, una Gretsch G6122T-59 Vintage Select Edition '59 Chet Atkins,oppureuna Harmony H-44 Stratotone…magaricollegate a un rovente Fender ’65 Deluxe ReverbAmp.
“Ciao. Mi chiamo Marc. Sono un chitarrista che si spara amplificatori a tutto volume dritto in faccia. Spesso e volentieri…” Ecco come si presenta lo stesso Ribot nel suo recente esordio letterario dal titoloNelle mie corde ; un chitarrista noise, rumoroso e scomodo fino al midollo (basti ricordare in suoi numerosi interventi a favore delle royalties dei musicisti e le lotte per i diritti civili) ma anche delicato e passionale, capace di invenzioni melodiche tanto semplici, a volte, quanto disarmanti in termini di bellezza. Già … perché sia chiaro , Marc Ribot è oggi uno dei più richiesti e stimati chitarristi su scala mondiale. Elvis Costello, John Zorn, Diana Krall, Allen Toussaint, Caetano Veloso, Madeleine Peyroux, il già citato Tom Waits , sono solo alcuni dei grandi nomi a cui la chitarra di Ribot si è affiancata nel corso degli ultimi quattro decenni fino a sfociare, in tempi recentissimi, anche nel campo della moda: suo è infatti il suono che ha accompagnato la sfilata di Gucci a Milano per la presentazione della nuova collezione uomo autunno-inverno.
Definito libro-mondo così come anche libro-mente e libro-collage,Nelle mie corde potrà letteralmente spalancare, pagina dopo pagina, le convinzioni di chi, a proposito di Ribot, credeva di conoscere tutto (o quasi) e potrà indubbiamente saziare la sete di conoscenza dei tanti chitarristi che come lui amano suonare a volumi esagerati. Un libro che è tante cose, dunque, ma forse in fondo anche un vademecum per accompagnar e il lettore , in maniera divertente (e divertita) tra gli aneddoti, gli sproloqui, i racconti e le esperienz e di vita e musica di un professionista della sei corde tanto colto quanto imprescindibile.
“Nelle mie corde ha tutta l’onestà, l’originalità d’approccio, la bellezza e il fragore che troviamo nella musica di Marc Ribot …” – Elvis Costello
Ceramic Dog,Connection(Yellowbird, 2023)– E’ i l nuovo disco di Marc Ribot (voce/chitarra) alla guida di Ceramic Dog, il trio che lo vede accanto a Shahzad Ismaily al basso e Ches Smith, alla batteria: premiata ditta free jazz, punk, noise che dal 2008 porta avanti la propria filosofia a base di ibridazione di generi, imprevedibilità, sperimentazioni e groove. Uscito quasi in contemporanea a l libro di Ribot Nelle mie corde , l’album è l’ultima fatica in studio del poderoso trio . Come i predecessori, anche in questo disco non mancano le immersioni nelle acque torbide di un blues distorto, melmoso e rivisitato (la titletrack, posta all’inizio della scaletta), le incursioni in territorio latin (Ecstacy ), le atmosfere da western apocalittico della lungaSwan , con tanto di slide, e una sorta di singolare omaggio al carnevale di Rio De Janeiro in chiusura (Crumbia ). Da ascoltare assieme ad un utile ripasso dei capitoli precedenti: in particolar modo,Party Intellectuals (2008) eYRU Still Here? (2018).
Umberto Poli
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