Dark Tranquillity

di Maurizio Mazzarella
31 gennaio 2017

recensione

Dark Tranquillity
Atoma
Century Media
Ci sono degli album che scrivono la storia di una band e paiono insuperabili. Nel caso dei Dark Tranquillity, è certamente "The Gallery" (1995) il punto fermo della loro carriera. Un disco superlativo, nonché un punto di riferimento per molte band di tale ambito e non solo.
Eppure, la forza del combo scandinavo è stata anche quella di mettersi in discussione, provando a rinnovarsi, mantenendo la costante coerenza di fondo. Ci sono stati anche dei passi falsi nella loro 25ennale carriera, vedi il caso di "Projector" (1999) o "Haven" (2000) considerati da molti, viceversa, ottimi lavori: ma, in tutti i casi (controversie incluse…) ogni capitolo ha consentito ai Dark Tranquillity di consolidare il proprio stile e mood, il loro format personale ed identificativo che li ha portati nell’olimpo metal, o per meglio dire, nel novero di chi è stato in grado di lasciare il proprio segno indelebile.

In funzione di tali considerazioni, "Atoma" è un disco che la scena attendeva a braccia aperte per capire fino a dove la genialità di Mikael Stanne e Co. si sarebbe spinta questa volta. L’album non ha deluso le aspettative, proponendo musica con il tipico marchio dei Dark Tranquillity con tanto di...

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melodie catchy, rabbia e sofferenza, tecnica e ispirazione. La musica di un album che avvolge, ipnotizza e coinvolge l’ascoltatore dall’inizio alla fine.
"Encircled" segna una partenza di forza: quasi come a dire che le origini, la band, non le ha dimenticate! Una sorta di richiamo a "The Mind’s I" che prosegue poi nella titletrack, uno dei (tanti) fiori all’occhiello dell’album in questione.

"Forward Momentum" denuda il lato più malinconico nascosto nell’album, che poi esplode in "Neutrality", una sorta di "Skydancer" moderna. Arriva poi "Force Of Hand", brano crepuscolare e dai connotati oscuri, mentre "Faithless By Default", differentemente, mostra l’attitudine più evoluta del combo svedese, con la minuziosa cura degli arrangiamenti e delle linee vocali.

I richiami al passato proseguono con "The Pitiless", "Clearing Skies" e poi con "When The World Screams", mentre con "Our Proof Of Live", l’album va a prendere un passo diverso, riconducibile a "Projector "(1999), in grado di rimarcare la versatilità della voce di Mikael Stanne, supportato da un letto di chitarre da idillio.

Arriva quindi il momento dell’estasi, rappresentato da "Merciless Fate", dark song che poggia i cardini su tappeto strumentale tecnicamente perfetto. Con "Caves And Embers" l’album trova la parola fine: brano molto intenso e di impatto, ideale anche per la chiusura di un live show.


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